Nei giorni scorsi è stato compiuto un passo importante nella lotta all’evasione fiscale in tutto il mondo. Dopo anni di tentativi per disincentivare le aziende a spostarsi nei cosiddetti “paradisi fiscali” e pagare meno tasse, 136 Paesi, che contribuiscono al 90% dell’economia globale, hanno trovato un accordo per imporre una tassa minima globale del 15% sugli utili delle grandi multinazionali che generano un fatturato superiore ai 750 milioni di dollari annui.
Non solo. L’accordo prevede anche, per le società con oltre 20 miliardi di dollari di fatturato e margini superiori al 10% dei ricavi, che circa un quarto dei profitti in eccesso rispetto a quel 10% sia tassato nei Paesi in cui le società generano ricavi.
L’obiettivo è duplice: da un lato scongiurare la fuga delle grandi multinazionali verso dimore fiscali più favorevoli, dall’altro spostare la base imponibile delle aziende nei Paesi dove operano concretamente.
Obiettivo: ridurre il divario tra i Paesi
In buona sostanza, quindi, con il nuovo accordo le multinazionali saranno obbligate a pagare l’imposta minima del 15% ovunque esse operino e non solo – com’è stato finora – dove hanno la propria sede legale.
Il percorso per tradurre in realtà l’accordo coordinato dall’Ocse è ancora lungo: bisogna definire una lunga serie di dettagli tecnici e politici – manca l’approvazione del Congresso Usa, per dirne una. Ma il solo fatto che si sia trovato un terreno comune è sintomo del ritorno a un clima di maggiore collaborazione tra Paesi dopo l’“America First” portato avanti dall’ex presidente Usa Donald Trump.
Ad oggi solo quattro dei Paesi coinvolti nelle trattative – Kenya, Nigeria, Pakistan e Sri Lanka – non hanno firmato.
Le nuove regole potrebbero contrastare alcuni degli effetti di quella che i politici chiamano “la corsa al ribasso” nella tassazione alle aziende in tutto il mondo, riducendo il divario tra i Paesi con le aliquote più alte e quelli con le aliquote più basse.
Secondo le stime Ocse, a partire dal 2023 la nuova tassa minima globale consentirà di riattribuire ai Paesi del mondo i benefici per oltre 125 miliardi di dollari l’anno realizzati da 100 aziende multinazionali tra le più grandi e più redditizie al mondo.
Stop alla corsa ai paradisi fiscali
Stando alle stime del nuovo Osservatorio fiscale europeo, per l’Italia l’incasso annuale sarebbe di 2,7 miliardi di euro, mentre l’intera Ue incasserebbe 48,3 miliardi di euro. Queste risorse dovrebbero arrivare dalla tassazione delle proprie multinazionali: ogni Paese, infatti, applicherà l’imposta minima alle grandi aziende e banche con sede centrale nel proprio territorio. La “corsa ai paradisi fiscali” verrebbe disincentivata proprio dalla presenza dell’accordo internazionale.
“Questa è una grande vittoria per un multilateralismo efficace ed equilibrato”, ha detto il segretario generale dell’Ocse Mathias Cormann. “Si tratta di un accordo di vasta portata che garantisce che il nostro sistema fiscale internazionale sia idoneo in un’economia mondiale digitalizzata e globalizzata”.
Quante tasse pagano le imprese nel mondo?
Secondo l’Osservatorio Tax Foundation, dal 1980 ad oggi l’aliquota media globale sulle società, ponderata per le dimensioni di ciascuna economia, è scesa da oltre il 46% al 26%. Quella che sembra essere una buona notizia per le aziende e gli investitori, tuttavia – scrive Ispi in un approfondimento dedicato al tema – ha determinato un danno per i governi alle prese con budget sempre più ridotti per finanziare programmi, servizi e riforme.
In quest’ottica, “la minimum tax costituirebbe la svolta più significativa nelle regole fiscali globali degli ultimi 100 anni”, si legge ancora su sito dell’Istituto per gli studi di politica internazionale.
Va detto che le nazioni del G7 e del G20 si erano già accordate questa estate sull’introduzione di una tassa globale sulle imprese. A sbloccare lo stallo è stata la firma dell’accordo da parte di una manciata di Paesi rimasti restii fino all’ultimo momento, prima tra tutti l’Irlanda.
È un cambio di passo notevole da parte di un Paese che, storicamente, ha sempre seguito una politica di imposte ridotte all’osso per attrarre le aziende – ad oggi nella Repubblica d’Irlanda l’imposta per le imprese è appena del 12,5%, una delle più basse in Europa.
Il ministro delle Finanze irlandese ha spiegato che l’accordo siglato dal governo rappresenta a suo parere un giusto compromesso e riflette gli interessi dei molti Paesi coinvolti nelle negoziazioni.
Una tassa per i giganti tech
In realtà, l’accordo va oltre la messa a punto di un’aliquota globale: mira a creare una cornice normativa adatta alla nuova era digitale. Tra le più grandi aziende interessate dalla nuova tassa ci sono infatti colossi tech come Facebook, Amazon, Google, Netflix, che tipicamente collocano la propria sede fiscale dove la tassazione è molto bassa, e che ora invece dovranno pagare le tasse nei Paesi in cui i loro beni o servizi sono venduti, a prescindere dalla presenza fisica.
“Facebook chiede da tempo una riforma delle regole fiscali globali e riconosciamo che ciò potrebbe significare pagare più tasse e in luoghi diversi”, ha detto Nick Clegg, vicepresidente di Facebook per gli affari globali e la comunicazione. “Il sistema fiscale deve conquistare la fiducia del pubblico, dando certezza e stabilità alle imprese. Siamo lieti di vedere che sta emergendo un consenso internazionale”.