Vabbè, lo sapete, no? Ieri sera, lunedì 21 febbraio, Putin ha annunciato la firma dei decreti che riconoscono le repubbliche popolari separatiste di Luhansk e Donetsk, nella regione del Donbass, Ucraina dell’est. Ha firmato anche accordi di cooperazione e amicizia con le aree secessioniste e ordinato operazioni di mantenimento della pace: il che implica che la Russia inizierà (anzi, pare abbia già iniziato) a fornire ai separatisti supporto militare.
Sembrano così mestamente avviarsi al tramonto tutte le residue possibilità di uno sforzo teso a trovare una soluzione diplomatica alla crisi. L’annuncio, infatti, potrebbe compromettere le ultimissime chance di evitare una guerra in piena regola in Europa. E adesso?
“S’ode a destra uno squillo di tromba… ”
“Noi ora vediamo una probabilità del 50% che il conflitto rimanga contenuto nell’Ucraina orientale”, scrivono questa mattina gli analisti di Danske Bank in un loro report sul tema. Dal loro punto di osservazione, la probabilità di un attacco russo su larga scala in Ucraina – con tanto di invasione di Kiev, che dell’Ucraina è la capitale – si attesta al 30%. Alla probabilità di una de-escalation come risultato di un accordo diplomatico è attribuito il restante 20% di probabilità.
Anche tanto, considerando come si sono messe le cose nelle ultime ore: ma la fiammella della speranza – che, come ricordano gli analisti nel report, “è l’ultima a morire” – è tenuta accesa dall’incontro in calendario giovedì 24 febbraio (e che mentre scriviamo non è ancora stato cancellato) tra il ministro degli Affari esteri russo Sergej Lavrov e il segretario di Stato Usa Antony Blinken. Veniamo però a noi: come stanno reagendo i mercati?
Effetto Putin sui mercati occidentali
Da quando, nel pomeriggio di lunedì 21 febbraio, è arrivato l’annuncio dell’imminente intervento televisivo del presidente russo Vladimir Putin, i mercati del Vecchio Continente, che avevano un po’ rimbalzato dopo il minimo registrato nel primo pomeriggio, si sono inabissati di nuovo, come ricostruisce Giuseppe Sersale, strategist di Anthilia Capital Partners Sgr, nella sua nota quotidiana. Finendo per accumulare “perdite rilevanti in chiusura”.
Giù i rendimenti, in rialzo lo spread, l’euro ha chiuso in calo. Tra le commodities, neanche a dirlo, l’oro e soprattutto il petrolio sono andati su. Tutti movimenti probabilmente accentuati dall’assenza degli Stati Uniti, che ieri erano chiusi per il Presidents’ Day, e dalla liquidità ridotta, in particolare dopo la chiusura europea. Quanto agli asset russi, il Micex ha perso il -13%, mentre il rublo è arrivato a toccare il -3%.
Qui di seguito, la sottoperformance fotografata nel report di Danske Bank.
Fari puntati (finora) sugli asset legati al rublo
E che siano stati gli asset legati alla valuta russa a risentire più di tutti dell’escalation delle tensioni in corso da novembre lo sottolineavano qualche giorno fa in una nota anche gli esperti di Pictet (era il 16 febbraio). Per il resto, in termini di mercati, fino a pochissimi giorni fa il conflitto latente Ucraina-Russia ha avuto un impatto molto limitato, come confermano gli analisti di Danske Bank nel report fresco di diffusione.
Ma attenzione anche ai Credit Default Swap russi che, insieme agli spread delle obbligazioni in valuta estera, sono ai massimi dall’emergenza Covid: “in caso di una guerra vera e propria”, si legge questa mattina sul report di Danske Bank, “questi premi di rischio potrebbero raddoppiare o triplicare, ma per ora sembrano ben in linea con il livello del conflitto”.
E gli altri mercati a livello globale?
Va anche detto, però, che da venerdì 18 febbraio è aumentata la correlazione tra gli asset denominati in rublo e quelli in altre valute, in tandem con le crescenti aspettative di un conflitto non più latente ma conclamato. Quindi, come abbiamo detto, azionario in calo, materie prime in rialzo. E il focus ora, in attesa di capire cosa accadrà, è proprio su queste ultime.
La Russia è infatti un produttore ed esportatore chiave di petrolio, gas e metalli. Quindi, una guerra potrebbe comportare gravi perturbazioni per i mercati delle materie prime. Il prezzo del Brent è già salito dai 77 dollari al barile di inizio gennaio a 94 dollari al barile, in parte proprio a causa della situazione russa.
E non parliamo del gas. Anzi, no: parliamone. “I prezzi europei del gas rimangono lontani dai massimi di dicembre di 180€/MWh a circa 76€/Mwh, nonostante le forniture di gas russo in Europa siano al loro livello più basso da sette anni”.
Qui sotto, sempre dal report Danske Bank, l’appetito dell’Europa per il gas (e come lo soddisfa al momento).
“Abbiamo stimato in precedenza che le interruzioni delle forniture di gas russo in Europa potrebbero portare a un’impennata dei prezzi sopra i 200€/MWh, o in caso di blocco totale, oltre i 300€/MWh. Il solo aumento dei prezzi del gas potrebbe aggiungere lo 0,7-1,2% alla nostra proiezione sull’inflazione per la zona euro quest’anno”.
Ma non finisce mica qui. Un’invasione russa e le conseguenti sanzioni potrebbero anche esacerbare i colli di bottiglia nell’industria dei semiconduttori, dato che la Russia è un fornitore chiave, per esempio, di neon e palladio. Inoltre, aggiungono gli analisti della banca danese, Russia e Ucraina rappresentano quasi un terzo delle esportazioni globali di grano.
Pericolo di guerra? Attenzione agli intrecci economici in ballo
Come mi fanno notare le mie brave colleghe qui in ufficio, non sono poche le aziende energetiche occidentali quotate in Borsa che potrebbero risentire delle conseguenze di un’invasione russa, anche se per queste aziende qualsiasi “colpo” potrebbe essere in qualche modo compensato da un potenziale salto del prezzo del petrolio. Tra le molte aziende, spiccano per esempio la multinazionale britannica Shell, che detiene una quota del 27,5% nel primo impianto LNG della Russia, così come una serie di joint venture con il gigante energetico statale Gazprom. Ma anche la statunitense Exxon che opera in Russia per un progetto legato al petrolio e al gas Sakhalin-1, così come la norvegese Equinor, attiva da molto tempo nel Paese.
L’interconnessione non è certo limitata al settore energetico. E purtroppo, nel settore finanziario, il rischio è maggiormente concentrato in Europa. Una quota considerevole dei profitti delle maggiori banche europee è legata al mercato russo. Per l’austriaca Raiffeisen Bank International il 39% del profitto netto stimato l’anno scorso proviene proprio dalla sua filiale russa, per l’ungherese OTP e UniCredit si parla di circa il 7%, mentre Société Générale genera il 6% dei profitti netti del gruppo attraverso le sue operazioni retail della sua Rosbank. Anche la società finanziaria olandese Ing ha un’impronta in Russia, anche se rappresenta meno dell’1% dell’utile netto, secondo i calcoli di JPMorgan.
Guardando all’esposizione dei prestiti alla Russia, le banche francesi e austriache sono le più esposte con 24,2 miliardi di dollari e 17,2 miliardi di dollari prestati rispettivamente. Sono seguite dai “lender” statunitensi con 16 miliardi di dollari, dai giapponesi con 9,6 miliardi di dollari e dalle banche tedesche a 8,8 miliardi di dollari, secondo i dati della Banca dei Regolamenti Internazionali.
Ma non finisce qui. Anche altri settori sono esposti: Renault genera l’8% del suo ebit in Russia. I 93 negozi russi della tedesca Metro AG generano poco meno del 10% delle sue vendite e il 17% del suo profitto principale, mentre il produttore di birra danese Carlsberg possiede Baltika, il più grande produttore di birra russo con una quota di mercato di quasi il 40%.
Della serie: quali altre sanzioni si potranno mai introdurre in un intreccio come questo? La domanda, per ora, resta aperta. Concentriamoci piuttosto sugli scenari economici e d’investimento.
Effetto Putin su mercati e investimenti: la view del nostro Raffaele Zenti
“Chiaro che una guerra causerebbe un nuovo shock”, osserva dal canto suo il nostro Raffaele Zenti, co-founder di Virtual B (società cui appartiene il blog AdviseOnly.com). Uno shock che “investirebbe la ripresa mondiale, soprattutto quella europea, all’uscita (forse, parrebbe, chissà) dalla pandemia. L’ovvio caos sul fronte energetico, gli effetti sul commercio internazionale, la logistica, con il rischio che le sanzioni alla Russia scatenino ulteriori ripercussioni. Tutto molto non-lineare, e quindi difficile dire dove possa portare”.
Tra parentesi: i prezzi alla produzione sono già saliti moltissimo, in Germania siamo ai massimi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, come mostra il grafico che vi riportiamo qui sotto.
In ogni caso, continua Zenti, “i mercati hanno già fatto storni pesanti, verosimilmente scontando molti degli scenari possibili, ormai sul tavolo da settimane. Come sempre, infatti, i mercati finanziari anticipano. Ma c’è spazio per ulteriori discese? Ovvio che sì: una maggiore incertezza in riferimento allo scenario equivale a più storni e volatilità (cioè ‘swing’). Inoltre, le valutazioni (ratios prezzi/fondamentali) erano tiratissime, quindi un sacco di operatori ne hanno approfittato per realizzare plusvalenze”.
Però, aggiunge ancora Zenti, “potrebbe anche non scendere più di tanto, le Borse in particolare? Sì, potrebbe. Perché c’è bisogno di investire (c’è liquidità e da qualche parte va allocata), l’inflazione è relativamente alta e le azioni offrono (nel medio-lungo) rendimenti reali positivi, mentre oggi come oggi è difficile guardare con ottimismo ai rendimenti reali delle obbligazioni. Quindi qualcuno potrebbe pensare di cogliere l’opportunità per comprare qualcosa (per quel che vale: io)”.
Purtroppo, come vi abbiamo detto non una, non due, ma infinite volte, il “market timing” è un mito, quindi bisogna procedere con grande approssimazione, accettando il fatto che la probabilità di sbagliare è alta, qualunque cosa si faccia: vendere, comprare o stare fermi. “Va detto che stare fermi, da un punto di vista statistico/storico, è quasi sempre la miglior scelta: il mercato azionario globale storicamente ha accumulato un premio al rischio e un rendimento reale nettamente positivi, e i movimenti sono sempre più rapidi, quindi ‘stare sempre dentro’ è la scelta più razionale“.
In questi anni vi abbiamo proposto diversi post sul fatto che perdendo i pochi giorni buoni dopo una discesa, si perde tutto il rialzo. Ma ci torneremo.