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Regno Unito: alla ricerca di un’identità perduta

Con l’avvento della Brexit, il Regno Unito si ritrova spaesato, tra proclami populisti e una realtà tutt’altro che semplice. Quale sarà il nuovo ruolo di Londra nello scacchiere mondiale?


Il Paese in cifre

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Contesto socio-politico

Da confine remoto dell’Impero Romano, a culla della rivoluzione industriale all’inizio del XIX secolo, fino a essere il cuore dell’impero britannico, il più vasto impero conosciuto nella storia dell’umanità. Oggi il Regno Unito racchiude al suo interno quattro Home Nations: Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord [1]. Monarchia parlamentare dal 1689, rientra nella sfera giuridica dalla Common Law e non è regolata da una costituzione. Il parlamento è diviso in due Camere, la Camera dei Lords e la Camera dei Comuni, ma solo a quest’ultima spetta il potere legislativo. Il potere esecutivo viene invece esercitato dal Governo, il cui Primo Ministro è oggi Theresa May, leader del partito conservatore insediatasi nel luglio dello scorso anno dopo le dimissioni di David Cameron, a seguito della sconfitta subita dall’esito del referendum sulla Brexit.

Una leadership debole: le elezioni dello scorso 8 giugno, indette con lo scopo di rafforzare la presenza dei Tories (gli esponenti del partito conservatore) alla Camera dei Comuni, hanno invece restituito un Parlamento ancora più politicamente frammentato. Il fronte laburista, guidato dal socialista Jeremy Corbyn, ha ripreso quota ed ora l’incertezza intorno a quello che sarà l’impatto ufficiale della Brexit, e di conseguenza il destino del Regno Unito, è aumentata. I negoziati tra il ministro per la Brexit, David Davies, e il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Junker (insieme a Michel Barnier, negoziatore dell’Unione), sono cominciati il 19 giugno e si dovranno concludere entro il marzo del 2019: si prospettano due anni di fuoco tra Bruxelles e Londra.

Punti di forza e di debolezza

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Contesto economico

Indicatori principali 2015 2016 Stime 2017 Stime 2018
Variazione % PIL Reale 2,2%  1,8%  1,4% 1,0%
Disoccupazione 5,4%  4,9% 4,7% 5,0%
Debito/PIL % 89%  89,3%  89,6% 90,0%
Inflazione 0,4%  0,7% 2,7% 2,6%
Debito totale estero (% sul PIL) 295%  314% 318% 320%
Saldo di conto corrente (% sul PIL) -4,3% -4,4% -3,4% -3,1%

Fonte: World Bank, UK Statistics Authority

Quadro macroeconomico

Fotografando il Paese tra il 2015 e il 2016, prima che si abbattesse la tempesta della Brexit, emergono le principali caratteristiche economiche del Regno Unito. Quinta potenza mondiale, PIL in crescita di circa il 2% e tasso di disoccupazione tra i più bassi dei Paesi del G20. Il saldo di conto corrente, ampiamente negativo, descrive un Paese importatore e, di conseguenza, esposto ai rischi del commercio con l’estero. Se da un lato il Paese risulta sopportare un livello di indebitamento pubblico in linea con quello dei Paesi sviluppati, dall’altro spicca la quantità di debito in mano estera: siamo intorno al 300% del PIL. Un evidente punto debole per il Regno Unito, che si trova in una posizione non invidiabile nel caso il cui la valuta continuasse a perdere terreno, l’inflazione continuasse a penalizzare il potere d’acquisto della famiglie e i tassi d’interesse continuassero a salire.

L’avvento della Brexit ha inevitabilmente rimescolato le carte in tavola e reso il futuro estremamente incerto; Hard Brexit o Soft Brexit che sia, ci saranno importanti implicazioni, ma con i negoziati alle prime battute è ancora presto per fare delle stime precise. Tuttavia, dopo questo primo anno post-referendum, si possono tirare le prime somme. La crescita del PIL ha subìto un rallentamento nel primo trimestre del 2017: +0,2%, rispetto al trimestre precedente, aspetto che ha determinato una correzione al ribasso delle stime di crescita per l’anno in corso, dall’1,8% all’1,4% attuale. Una dinamica dettata per lo più dalla riduzione del consumo privato, fermo al +0,3% nel primo trimestre dell’anno (ai minimi dal 2014), e dal crollo degli scambi commerciali, con le esportazioni che sono cadute del 1,6% nell’ultimo trimestre. A subire questo rallentamento è stata anche la sterlina che, perdendo valore, ha contribuito all’ascesa dell’inflazione, ora al 2,7%. Ripercussioni anche per il popolo britannico, che nell’ultimo anno si è visto ridurre il valore reale dei salari dello -0,2%. Infine è emblematico l’aumento dell’80% di operazioni di M&A[2] messe in stand-by, in attesa che la Brexit e il nuovo quadro normativo prenda forma.

Politica monetaria

La Bank of England, in linea con altre banche centrali, ha iniziato il suo programma di Quantitative Easing (stimolo monetario) nel lontano 2009. Ad oggi l’istituto ha comprato circa 435 milioni di sterline di titoli obbligazionari (per la maggioranza titoli di Stato). Una decisione che continua a essere confermata, mentre sul fronte dei tassi c’è più incertezza. L’ultima riunione della BoE ha evidenziato una spaccatura all’interno del board: tre membri degli otto totali hanno votato per rialzare di 25 punti base il tasso di rifinanziamento principale (ora allo 0,25%), tagliato lo scorso agosto a seguito dei timori sulla Brexit. Nonostante le rassicurazioni del Presidente dell’Istituto, Mark Carney, l’andamento dell’inflazione – ben oltre il target del 2% ricercato – ha risentito della debolezza della valuta, alimentando così i timori tra i membri del board della banca centrale. Per quanto riguarda il sistema bancario, quello inglese si presenta come il più grande d’Europa (con una quota di mercato pari al 37% di masse gestite, solo il 5% invece è il peso dell’Italia), ben diversificato (le prime tre banche pesano il 23% del totale delle attività) e la quota di NPL (i crediti in sofferenza) è pari all’1,8%.

Contesto finanziario

Indice

Per quanto riguarda il mercato finanziario, l’indice principale del  Regno Unito è il FTSE 100, in larga parte dominato dal mondo dei servizi (circa il 78% del PIL) ed in particolare dal settore finanziario. Se invece volessimo osservare lo stato di salute dell’industria britannica, che ha un peso ridotto sul PIL (circa il 21%), dovremmo osservare il FTSE 250, che racchiude proprio le principali 250 società industriali del Paese. Non è un caso se all’indomani dell’esito del voto sulla Brexit sia stato proprio questo indice ad accusare la performance peggiore rispetto al FTSE 100: -7% in due sedute, rispetto al -3% dell’indice principale, dato che gran parte dell’industria britannica esporta i suoi prodotti soprattutto verso l’Europa. Esportazioni su cui ora aleggia una nube di incertezza.

Ad osservare le performance decennale dei due indici rispetto all’MSCI World, un indice azionario globale, notiamo una similitudine già analizzata anche per il mercato italiano: l’indice industriale del Regno Unito ha decisamente performato meglio rispetto al più noto FTSE 100, che ha risentito della debolezza del sistema finanziario mondiale dopo la crisi del 2008, e a quella europea del 2011.

Mercato obbligazionario

La curva del mercato obbligazionario dei titoli di Stato, rispetto ad un anno fa, risulta sostanzialmente invariata. Nel segmento a breve termine (1 mese – 3 anni) il rendimento medio offerto è di circa lo 0,24%, mentre nel lungo termine (oltre i 10 anni) i titoli di Stato del Regno Unito offrono in media l’1,7%, valori pressoché in linea con i principali paesi sviluppati. Tuttavia, al netto dell’inflazione attuale il rendimento reale risulta negativo, pari al -0,38%.

Mercato valutario

Come precedentemente accennato, dall’esito del referendum sulla Brexit, la sterlina ha perso drasticamente valore. Analizzata sia nel medio termine che nel breve, risulta deprezzata sia contro il dollaro USA che contro l’euro. Un aspetto che, se da un lato può favorire le esportazioni, dall’altro rischia di alimentare l’inflazione  e penalizzare i consumi nel breve / medio termine. Infine il dato sulla volatilità della sterlina, che oscilla intorno al 7/8% (annualizzato) contro l’euro e contro il dollaro USA, un valore in linea con gli altri principali tassi di cambio.

Come investire sul Regno Unito

Obbligazioni

Sul mercato di Borsa Italiana è presente un ETF obbligazionario:

Azioni (ETF)

Mentre per il mercato azionario sono presenti 7 ETF, ripartiti tra strumenti che applicano una politica ad accumulazione e a distribuzione:


[1] Il termine Gran Bretagna individua il territorio geografico.
[2] Merger and Acqusition: operazioni di fusione e acquisizione tra società, o in generale di finanza straordinaria.


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