Rientrata da un periodo di ferie, ho sperimentato sulla mia pelle come anche gli inguaribili ottimisti come la sottoscritta arrivano a veder vacillare la fiducia del sogno europeo.
Nell’ultimo anno ho fatto indigestione di “sberloni” da parte dei mercati e di una serie lunghissima di incontri “decisivi”: Ecofin, summit, Eurogruppo… nei quali ogni rinnovata speranza è stata annegata dalla marea crescente di parole e dichiarazioni che mostravano solo scarso coordinamento e difformità di intenti tra i governanti europei.
Si è palesata sul mio conto corrente un discreto ammontare di liquidità in seguito alla scadenza di un BOT. Dovendo decidere in cosa investire non ho avuto esitazioni e mi sono messa ad analizzare quello che nella mia mente è l’unico vero “bene rifugio”: il dollaro USA, con diverse gradazioni di rischio, dagli ETF legati ai Fed Funds (i tassi ufficiali americani) agli ETF azionari più o meno rischiosi, ai TIPS (titoli legati all’inflazione).
Di recente ho pubblicato e condiviso nella Community di Advise Only – il primo social network per investitori e risparmiatori, il mio portafoglio d’investimento: Serena mid2012. Chiunque può accedere a www.adviseonly.com e controllare la composizione e l’andamento quotidinado per performance, rischio e liquidità.
Come potrete vedere c’è un’ingente percentuale di BTP e titoli di Stato europei (circa il 20%), azioni europee e azioni bancarie italiane (che dolore!) per l’1%. Non credo che li venderò a breve ma, seppur a livelli molto interessanti, ad aumentare i miei investimenti nell’area euro non ce la faccio proprio più!
Durante le mie vacanze ho avuto modo di leggere con più calma i quotidiani e ad avere un’ottica più distaccata di ciò che accade, il che aiuta a riflettere. Nella situazione attuale, più che gli attacchi speculativi, emerge la semplice assenza di nuovi investitori e una patetica carenza politica di determinazione a risolvere la crisi in uno modo soddisfacente per l’Europa e gli Europei.
Il senso di inevitabilità legato alla rottura dell’euro si rafforza, i disordini civili in Spagna e la disperazione dei Greci sembrano ormai accettabili, i Paesi del nord Europa continuano inesorabilmente a dispensare lezioni di etica ai cugini spendaccioni del Sud, mentre i politici dei vari Paesi mettono in cima alle loro agende le scadenze elettorali con vari gradi di autoreferenzialità (al congresso del PD italiano, ad esempio, è andato alla grande il tema delle unioni omosessuali, certo rilevante, ma forse non in cima ai pensieri dei cittadini italiani!).
Ripensavo alla situazione degli USA, che non è certo scevra da problemi, ma dove lo Stato federale insieme a una forma più matura di capitalismo sono riusciti a creare un contesto straordinariamente dinamico, dove l’individualismo più sfrenato, tipico di quella cultura, è riuscito ad arrivare ad un compromesso con un’ideale più grande, cioè la consapevolezza di far parte di un grande Paese dove dalla contaminazione culturale e dalla condivisione delle idee nascono progresso e innovazione.
Mi sono imbattuta alcune settimane fa in questo sito: www.coursera.org , un progetto straordinario, dove alcune tra le migliori Università del mondo come Stanford, Princeton, il Caltech, ma anche la svizzera Ecole Politechnique Federale di Losanna, danno la possibilità di seguire online, gratuitamente, molti corsi avanzati su tematiche diverse come biologia, informatica e scienze sociali. Questo si chiama futuro!
Oppure vogliamo parlare dell’altrettanto imperdibile www.ted.com, sito di conferenze online su tutti i temi possibili, dall’astronomia all’arte e alla medicina per divulgare idee e creare conoscenza?
L’Europa sarà pure la culla della cultura ma dove è nato il Web, Wikipedia, Facebook, l’iPhone o il concetto di open source?
Gli Americani hanno il coraggio di osare e hanno capito che dal condividere idee e conoscenze nasce una vera ricchezza di pensiero e di progresso, la quale alla fine fa crescere tutti. Sicuramente negli USA ci sono forti problematiche sociali, diseguaglianze, ingiustizie, ma anche molti strumenti per superarle e una fede incrollabile nella possibilità di cambiare, di crescere.
Noi Europei ci consideriamo in primis Italiani, Tedeschi, Spagnoli, Francesi, se va bene, e spesso Lombardi, Sassoni, Catalani e Alsaziani. Partiamo già “piccoli”, buffi puntini sul mappamondo, piuttosto di ripensarci come federazione e mettere in comune scoperte, conoscenze, cultura.
Noi, pur con una demografia in contrazione, guardiamo agli immigrati con diffidenza e sospetto mentre negli USA sanno bene che dalla multiculturalità si è guadagnato moltissimo …. non a caso c’è un Presidente nero che non ha ancora 50 anni!
I governanti europei hanno fatto un ben misero lavoro a presentarci le cosiddette “esternalità positive” degli Stati Uniti d’Europa che, se ci pensate, ad oggi ammontano alla possibilità di non cambiare la valuta alla frontiera o la possibilità per i nostri figli di fare l’Erasmus. Ben piccola contropartita rispetto agli svantaggi percepiti come conseguenza dell’euro: controlli sui deficit nazionali, tagli alla spesa, che rischiano di strozzano i cittadini con tasse crescenti, e la triste prospettiva di anni di sacrifici.
Gli Americani si sentono soprattutto Americani e non Californiani o cittadini del Michigan; questo fa una grossa differenza, per fare l’Europa bisogna volerla.
Come può un continente diviso da localismi e pregiudizi arrivare alla mutualizzazione del debito, cioè agli Eurobond (che implicano una reale unione politica) ovvero l’unica soluzione all’eurocrisi? Anche gli Stati Uniti hanno avuto problemi che somigliano a quelli europei, era però il 1860 ed era ancora legale avere gli schiavi. I politici europei si stanno invece comportando come i capponi di Manzoni, sono troppo impegnati a beccarsi l’un con l’altro per preoccuparsi di trovare una strategia comune per uscire dalla crisi.
E con questa riflessione vado a comprare un po’ di biglietto verde…