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#IlGraffio: Quanto vale il sogno di una startup?

Quanto vale una startup? La risposta è tutt’altro che scontata: le imprese “innovative” infatti sono difficilmente incasellabili e sfuggono agli usuali criteri di valutazione di impresa, come il discounted cash flow o il rapporto P/E. Cerchiamo innanzitutto di spiegare il “perché” e analizziamo i metodi utili per capire il vero valore di una start-up, sia dal punto di vista dell’imprenditore, che sogna di ripetere il successo di Facebook e di tanti “Unicorni” (le start-up con valutazioni sopra il miliardo di dollari) sia dal punto di vista dell’investitore, che cerca un ritorno sull’investimento altrettanto “stellare”.

Perché le startup sono “diverse”? 

  • Tanto per cominciare, per loro definizione le startup non hanno alle spalle una “storia” da mettere sul tavolo di una trattativa: molte imprese non fanno utili, e spesso non lo faranno per molti anni; basano la ricerca di capitali sulla forza di un’idea che deve ancora essere messa alla prova del mercato e hanno come “elemento distintivo” la capacità e l’intelligenza dei fondatori, che però non sono ancora imprenditori con una esperienza “da vendere”. Il loro “asset” più importante è quindi “intangibile” essendo costituito da valorizzazione del know-how, brevetti e, solo successivamente, marchi e nomi commerciali.
  • Queste imprese hanno spesso una vita breve: una “buona idea” di oggi potrebbe essere superata e resa obsoleta da una nuova “buona idea” domani: i cicli di vita dei prodotti high-tech, in particolare, sono sempre più rapidi, spesso durano mesi e non anni; un investitore “avveduto” dovrà tenerne conto nell’analizzare l’investimento (e sicuramente nella fase iniziale e cruciale della startup).
  • Le startup richiedono investimenti spesso elevati e per lunghi anni, prima di vedere qualche risultato.
  • Presentano un elevato rischio di insuccesso, superiore a quello di società già sul mercato da tempo; la “mortalità” delle startup è superiore al 50% nei primi 2 anni di vita.
  • Sono “visionarie”: immaginano uno rapido sviluppo ed una forte crescita basata su assunzioni, che per loro natura sono ancora “tutte da dimostrare nei fatti (futuri)”.
  • Hanno una componente “intangibile” elevata, difficile da “scalare”: in altre parole, la possibilità di moltiplicarsi e aggiungere nuovi prodotti/servizi/utilizzi/mercati è limitata e legata alle persone che hanno sviluppato l’idea.

Queste aziende sono quindi intrinsecamente diverse dalle altre: per questo, quando le si analizza, ci si trova a considerare soprattutto criteri “insoliti”, come il numero di utenti (telefonia mobile, social network, siti, app), pagine visitate del sito internet, altri criteri “proxy”.

Tutto questo porta a risultati “non convenzionali”: multipli spesso “infiniti” di risultati inesistenti se non negativi; valori “da visionari” che solo in caso di grande successo commerciale daranno ragione, a posteriori, a chi ci ha creduto e vi ha investito.

Alla ricerca di capitale

Ma quali sono gli aspetti importanti per chi investe nelle startup? Facciamo un  passo indietro. Tipicamente i fondatori di un’impresa innovativa che partono alla ricerca di capitale hanno in mente un “numero” spesso legato a casi di successo (le Facebook ed Uber di questo mondo innovativo e “challenging”), e lo inseguono senza tener conto che, a fronte di una società di successo, ce ne sono tante altre che non ce l’hanno fatta. Ma la situazione è ben chiara all’investitore a cui si rivolgono, che solitamente conosce il mercato dei capitali meglio di chi va a cercare nuova liquidità.

L’investitore interessato ad una startup – definito con una serie di neologismi come “business angel”, “startupper”, “seed capital” – si porrà sostanzialmente quattro domande:

  • Per quanto tempo la start-up non farà utile e quindi richiederà il sostegno finanziario da parte degli azionisti?
  • Quanti investimenti aggiuntivi saranno richiesti agli investitori, nel prossimo futuro?
  • Quanto “forte” è il management rappresentato dal fondatore (o fondatori) e quali sono le competenze distintive, che ne possono fare il caso di successo?
  • Quanto “difendibile” sono idea e business della start-up?

Cosa succede Oltreoceano

Come fare per tutelarsi? Negli USA, l’investitore si “protegge” dai rischi derivanti da un investimento in una startup inserendo nel contratto di finanziamento alcune clausole, chiamate “backroom agreements”: ecco le principali.

  • Senior liquidation preference”: garantisce in via preventiva all’investitore il rimborso di quanto investito, maggiorato di un tasso di rendimento prefissato, in caso di Ipo o vendita della società.
  • Downside protection” o “free additional shares”: prevede che, in caso la valutazione, al momento dell’Ipo, fosse inferiore a quanto pre-concordato fra investitore e società, l’investitore riceverà una certa quantità addizionale di azioni, senza ulteriore esborso di denaro; la stessa clausola si applica in caso la società debba far ricorso ad ulteriore capitale, nel caso la valutazione fosse inferiore a quella pre-concordata. Questa clausola riduce per l’investitore, spesso in modo sostanziale, il rischio di perdita di valore della società.

In questo modo, l’investitore cerca di trovare un punto di equilibrio fra la (elevata) valutazione richiesta dal fondatore e il rischio sostenuto con l’investimento; generalmente, queste clausole non sono rese note a terzi, e quindi al mercato e ai possibili ulteriori investitori (come nel caso di Ipo).

La prima “partita” si gioca quindi fra i fondatori e i primi investitori, che cercano un vantaggio rispetto al mercato, che arriverà solo dopo con le sue generose valutazioni e i suoi giudizi e con repentini crolli del valore, se le startup non riescono a mantenere le promesse, spesso fantastiche, ma irreali (come gli unicorni).

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