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I PIR portano in Borsa le piccole e medie imprese

I PIR favoriscono la quotazione in borsa delle pmi italiane

I PIR sono stati pensati non solo per i risparmiatori italiani, ma anche per aiutare le piccole e medie imprese a quotarsi in Borsa. A qualche mese dalla loro introduzione, quali effetti hanno avuto sul mercato delle IPO?


I PIR piacciono ai risparmiatori italiani, ormai è un dato di fatto. La detassazione ha giocato un ruolo fondamentale nello spingere un prodotto che non è certo rocket science; a dirlo sono i dati alla fine del secondo trimestre del 2017:

  • 9,05 miliardi di euro di patrimonio gestito;
  • 5,33 miliardi di euro di raccolta netta da inizio anno (circa il 10% della raccolta totale);
  • 44 fondi PIR compliant, di cui 27 di nuova istituzione.

I PIR hanno quindi battuto le migliori proiezioni del Governo: era attesa una raccolta di 2 miliardi per il primo anno, e di 10 miliardi dopo 5 anni. La chiamata all’investimento promossa dai PIR è stata quindi positivamente accolta dai risparmiatori italiani. Non sono però mancate perplessità sull’effettiva bontà di questi strumenti finanziari. Una fiducia minata per lo più dal complesso di commissioni e costi (più o meno espliciti) che rischiano di “scippare il risparmiatore del beneficio fiscale” caratteristico di questi strumenti.

Due piccioni con una fava

I PIR sono nati con un duplice obiettivo: da un lato favorire gli investimenti dei risparmiatori privati, dall’altro favorire l’ingresso in Borsa delle piccole e medie imprese italiane. Ciò per le imprese significa nuove opportunità di reperire capitali, da affiancare all’abusato canale bancario.

Sono 20 le società che in questo 2017 hanno deciso di effettuare un’IPO (Initial Public Offering) e quotarsi in Borsa. Sono tante? Sono poche?

IPO prima e dopo i PIR: che cosa è cambiato?

Con l’aiuto della statistica abbiamo analizzato il numero di IPO sulla nostra piazza finanziaria, considerando due periodi:

  • dal 1994 al 2016, cioè precedente all’introduzione dei PIR;
  • da gennaio 2017 ad oggi, successivo all’introduzione dei PIR.

Dal 1994 al 2016, c’è stato sul nostro mercato finanziario una IPO ogni due mesi, contro una media di quattro IPO a bimestre per il 2017.

Questo è ciò che emerge da un’osservazione diretta e acritica dei dati a nostra disposizione, ma non possiamo accontentarci. Quello che non sappiamo è se il risultato sia sufficientemente “solido” a livello statistico. Quindi, con l’aiuto del test di Wilcoxon abbiamo verificato se la differenza tra le medie pre e post-PIR sia rilevante, oppure se sia dovuta in qualche modo al caso.

Il test ci dice che la differenza c’è, è ampia ed è robusta: la probabilità che la differenza tra il numero di IPO pre e post introduzione sia significativa è del 95%. Non sappiamo se questa differenza sia dovuta ai PIR o meno. Ma la differenza c’è.
Purtroppo anche la diversa grandezza tra i due campioni è rilevante: 286 mesi per il periodo pre-PIR contro i 10 del 2017. Questo è un aspetto che potrebbe influire sull’esito del nostro test. Perciò “irrobustiamo”1 entrambi i campioni e ricalcoliamo il test precedente. Il risultato che emerge ora è ancora più netto: la probabilità che la riscoperta del mercato dei capitali (espresso dal numero di IPO) sia meramente dovuta a fattori casuali è mediamente pari allo 0,11%. Detto altrimenti: l’aumento di IPO su Borsa Italiana è sensibile.

 

I PIR aiutano davvero la quotazione in Borsa?

Non possiamo dirlo con sicurezza. Siamo all’interno dei confini del mondo probabilistico: le certezze non esistono, e non si possono millantare rapporti di causa-effetto per sport. Però il risultato del test evidenzia che qualche effetto è presente: lo ribadiamo, c’è stato un sensibile incremento di IPO.

Del resto, negli ultimi mesi sono stati molti i cosiddetti road show e gli incontri che hanno coinvolto gli asset manager e le imprese, con l’obiettivo di trovare nuove realtà industriali candidate ad entrare nel mondo dei PIR attraverso la quotazione in Borsa. Non è inverosimile quindi pensare che qualche “effetto PIR” ci sia realmente stato.

[1]Con la metodologia del Block-Bootstrap: in sostanza 10mila possibili nuove combinazioni di IPO, ricampionando i dati precedenti ed effettuando per ognuna di esse il test di Wilcoxon.


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