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crescita economica in Italia e dati sul pil

Per la prima volta da tanto tempo l’Italia ha colto di sorpresa gli analisti uscendo dal torpore degli ultimi anni. Dopo anni di crescita a singhiozzo, il 2017 si dovrebbe chiudere con un bel +1,3% tendenziale, cifra che non si vedeva dal lontano 2003.

Cosa dobbiamo aspettarci dai prossimi anni? Abbiamo davvero smesso di essere il fanalino di coda? Ce lo auguriamo, ma al momento i dati del “medione” Bloomberg (che aggrega le previsioni degli analisti di mercato) è dalla nostra parte. Salvo un’impennata improvvisa del PIL, l’ultimo posto della fila ci spetta di diritto.
 

Il malessere italiano: la produttività

Siamo abituati a leggere il PIL in termini di domanda aggregata (consumi interni, domanda estera e investimenti) ma l’evoluzione della crescita può anche essere analizzata da un altro punto di vista, ossia in base all’apporto di tre distinti fattori: lavoro, capitale, e produttività totale dei fattori. Per produttività in questo caso s’intende la capacità del sistema paese di assorbire il progresso tecnologico e le nuove conoscenze.

Se ripercorriamo la storia recente del nostro Prodotto Interno Lordo (in questo caso valore aggiunto), si scopre che la produttività non è proprio il nostro forte. Purtroppo gli altri Paesi sviluppati sono più bravi di noi a convertire in valore aggiunto un 1 euro in più speso in investimenti e 1 ora in più di lavoro.

Nel corso degli ultimi 21 anni quello che ci ha tenuto a galla (e chi ci ha fatto crescere, anche se poco) sono stati l’accumulo di capitale in beni non propriamente innovativi e la spinta demografica del lavoro (tra l’altro incoraggiata dall’immigrazione). Al contrario la produttività totale dei fattori produttivi è stata un freno alla crescita.

Da quando l’economia è tornata a crescere, il PIL è stato trainato dalla componente lavoro, che stando alle previsioni dovrebbe continuare a migliorare anche nel biennio 2018-2019. Tuttavia, dal momento che la demografia continua ad essere un problema più che una risorsa, se vogliamo aumentare il nostro tasso di crescita dobbiamo lavorare sulla produttività.

Se cresciamo poco, non riusciamo a ridurre il debito

L’Italia ha un rapporto debito pubblico/PIL non molto invidiabile, lo sanno tutti, e questo ci rende particolarmente sensibili ai cambi d’umore dei mercati. E prima o poi le crisi bussano alla porta.

Se tutto va come deve andare nel prossimo biennio il rapporto debito pubblico/PIL dovrebbe tornare a scendere. Di quanto dipende dall’inflazione. Le stime del del Governo sono tra le più ottimiste, ma non si differenziano di molto da quelle della Commissione Europea o dal medione di Bloomberg. La vera differenza la fa la traiettoria dell’inflazione. Per il Governo nel biennio 2018-2019 i prezzi dovrebbero tornare a salire intorno al 2,0%, ma se così non fosse o se l’inflazione dovesse crescere della metà rispetto a quanto previsto dal Governo il rapporto debito /PIL potrebbe addirittura tornare a salire.

L’inflazione tende ad essere un fenomeno globale e negli ultimi anni non siamo stati molto bravi ad anticiparla. Perciò se non vogliamo dipendere completamente dal contesto internazionale (per quanto sia possibile), per abbattere seriamente il debito abbiamo bisogno di fare qualcosa in più dal punto di vista della crescita.

L’attenzione dei mercati nei nostri confronti, e sulle nostre elezioni, non è ossessione, ma puro buon senso. Chiunque abbia investito nel nostro paese si chiede (giustamente) se il gioco valga la candela. Sulla bassa crescita italiana sono state scritte tonnellate di report, e tali criticità purtroppo sono ben note a tutti gli operatori di mercato. Da questo punto di vista, sul mercato c’è totale trasparenza, l’asimmetria è tutta nostrana.
All’orizzonte non sembrano esserci crisi imminenti, né in Italia né nel resto del mondo, ma è molto difficile che agli attuali tassi di crescita il nostro profilo di rischio possa migliorare. E non è colpa della speculazione.


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Segue tematiche economiche e finanziarie per il team financial strategies group di Advise Only. Dopo aver conseguito una doppia laurea in Management all’Università di Torino e all’ESCP Europe, ha deciso di proseguire i suoi studi con un master in Economia Internazionale a Paris Dauphine. Dopo 4 anni di vita parigina ed esperienze lavorative come economista e strategist, sbarca in Advise Only con l’obiettivo di sviluppare la parte di analisi economica e congiunturale.

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