Mai, forse, come nel 2020 abbiamo avuto bisogno che la tecnologia ci salvasse. E in effetti la tecnologia ha provato a farlo, in mille modi diversi: non solo mettendoci a disposizione strumenti ragionevolmente efficienti (ma non ancora efficientissimi) per lavorare e studiare da remoto, ma anche – per esempio – fornendoci rapidamente una serie di vaccini e di cure anti-Covid.
Le operazioni di soccorso del tech, però, non sono state prive di momenti di incertezza, per così dire. Ecco allora che a fine anno, sulla MIT Technology Review, è apparsa una lista dei peggiori flop e fallimenti tecnologici del 2020
In un momento in cui, dopo la cacciata di Donald Trump dal paradiso terrestre di Twitter, i colossi multinazionali della tecnologia sono al centro di grandi polemiche e riflessioni per il loro ruolo nel dibattito politico statale e sovrastatale (questione complessissima e dalle ampie ricadute), vogliamo riportare giusto qualche voce di questo elenco.
Concludendo poi con una riflessione sulle bolle tech passate e, forse, anche future: sì, perché nell’anno in cui la tecnologia è corsa in nostro soccorso, ha anche più che mai attirato le attenzioni degli investitori in Borsa. Ma è davvero tutto oro quello che luccica?
Zoom, più Zoom, troppo Zoom
Hai mai fatto quel sogno in cui ti presenti al lavoro o a scuola in mutande? Una roba imbarazzantissima, che nella vita vera per fortuna non succede. Nella vita vera “in presenza”. Purtroppo, la pandemia ci ha impedito di vivere, studiare e lavorare carnalmente vicini gli uni agli altri. E gli incontri con tutti nello stesso luogo sono stati soppiantati da più igienici e asettici meeting online: ciò vale per la scuola e per il lavoro, ma anche per i momenti di svago e socialità.
Durante la pandemia, sottolinea Regalado, l’applicazione video Zoom è diventata il nostro ufficio, il nostro cortile della scuola e il nostro nuovo modo di socializzare. Ma se grazie a questa modalità di collegamento abbiamo abbattuto il rischio di trasmettere il virus, l’altro rischio, quello di trasmettere ciò che dovrebbe pudicamente restare privato, è salito alle stelle. Sciacquoni del bagno, dita nel naso, cambi d’abito inconsapevolmente in diretta, capricci dei bimbi e via dicendo.
Fino al caso di un noto avvocato, blogger, autore e analista legale americano che avrebbe del tutto involontariamente esposto le sue “vergogne” (come le chiamavano le mie nonne) ai colleghi mentre si dibatteva tra una call su Zoom e una conversazione decisamente più hot su un altro canale.
Supercalifragilissi-idrossiclorochina
Nell’ampio campo da gioco della tecnologia rientrano anche le biotecnologie, che riguardano l’applicazione e lo studio di ogni tecnologia al campo appunto della biologia. Tra le biotecnologie figura la cosiddetta “red biotechnology”: è il settore delle biotecnologie che si occupa della scoperta, dell’estrazione, dell’isolamento o della fabbricazione dei principi attivi, della produzione dei vaccini, dello sviluppo di tecniche di analisi e diagnosi e delle relative terapie (fonte: Wikipedia).
Se i vaccini anti-Covid sono stati il grande successo biotecnologico del 2020, l’idrossiclorochina per la cura del Covid-19 si colloca di buon diritto tra le delusioni dell’anno appena passato. Il farmaco anti-malaria è stato a lungo considerato – specialmente in alcuni ambienti cultural-social-politici (non facciamo nomi) – la cura al Covid-19. Nonostante gli studi abbiano poi rapidamente dimostrato che in realtà non è di alcun aiuto.
Purtroppo, nella nostra epoca gli studi perdono qualunque importanza davanti alla promozione di un qualunque farmaco, rimedio o medicamento da parte di influenti personalità (no, non li facciamo i nomi). Ma se, per quanto riguarda l’idrossiclorochina, all’inizio la pressione ha dato i suoi frutti, con la Food and Drug Administrations che negli Stati Uniti ha autorizzato l’uso del farmaco, alla fine ci si è dovuti arrendere ai risultati degli studi clinici. I quali non hanno individuato nella somministrazione in chiave anti-Covid di questo farmaco alcun beneficio e, anzi, hanno pure riscontrato qualche rischio cardiaco.
Così, l’idrossiclorochina è uscita di scena. E anche chi tanto l’ha promossa (no, niente nomi), quando si è ammalato, ha ricevuto tutte le cure che i medici ritenevano utili. Tutte, eccetto l’idrossiclorochina.
Inquinamento luminoso da mega-costellazioni satellitari
Fin dalla preistoria, l’umanità ha volto lo sguardo verso il cielo in cerca di ispirazione. Accade anche oggi, nel mezzo di questo periodo così difficile. Ora, però, questa visione cosmica è contaminata dai riflessi di migliaia di satelliti commerciali a basso costo lanciati da aziende come Amazon, OneWeb e SpaceX, che vogliono coprire la Terra con connessioni internet.
Un vero e proprio sciame: “SpaceX”, scrive Regalado, “prevede di lanciare 12.000 dei suoi satelliti Starlink, mentre altri operatori ne pianificano 50.000”. Il guaio è che questi satelliti riflettono la luce solare provocando non poche noie ai super-telescopi il cui lavoro include il rilevamento degli esopianeti e/o dei corpi celesti che potrebbero a vario titolo entrare in collisione con la Terra.
SpaceX ha provato a colorare di nero un satellite, ma si è riscaldato troppo velocemente. Più recentemente, l’azienda ha iniziato a dotare i satelliti di visiere parasole per risolvere il problema. Basterà?
Tech, quanto è grosso il rischio bolla?
Nel frattempo, come sottolinea Bloomberg
- lo spread tra il forward earnings yield e il rendimento del titolo del Tesoro USA benchmark;
- il volume del Nasdaq rispetto al quello del NYSE.
Iniziamo dal primo. Lo strategist di SocGen Albert Edwards ha sottolineato come lo spread tra il rapporto utili/prezzo previsto per l’anno fiscale corrente (il cosiddetto forward earnings yield, appunto) sulle azioni tecnologiche globali e il Treasury è sceso sotto il 2,5%.
Mercoledì 6 gennaio, il rendimento del titolo del Tesoro USA che fa da punto di riferimento per il mercato ha rotto il tetto dell’1% per la prima volta da marzo, mentre il rapporto utili/prezzo a 12 mesi sul MSCI World Information Technology Index si è attestato al 3,4% secondo i dati Bloomberg.
Una differenza di appena il 2,4%: e un “livello di guardia” che in passato ha preceduto cali azionari. Non solo: secondo Tom McClellan, redattore del McClellan Market Report, il picco nel volume del Nasdaq rispetto a quello della Borsa di New York ricorda gli estremi visti durante la bolla delle dot-com.
È probabile che ciò sia dovuto ai piccoli investitori che speculano pesantemente sulle azioni a basso prezzo. Ma è anche il sintomo di un sentiment rialzista spumeggiante, dice McClellan. E l’euforia, aggiungiamo noi, se è troppa storpia. Con le conseguenze che già sappiamo.
attilio rontani / Gennaio 14, 2021
gli articoli consigliati datano giugno e nov 2020 ai ritmi di oggi non è ancora preistoria ma già storia,
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Maria Paulucci / Autore / Gennaio 15, 2021
Buongiorno Attilio,
a quali articoli si riferisce, mi scusi? L’unico citato risale a fine 2020, dunque a meno di venti giorni fa.
L’analisi di Bloomberg, invece, è di qualche giorno fa.
Sicuro che si tratti di questo post e non di altri? Ci faccia sapere!
Tenga comunque presente che noi, come regola generale, citiamo a volte report e indagini di settimane o mesi prima se per noi rappresentano interessanti spunti di riflessione, come per esempio nel caso del nostro post sulle armi da fuoco negli Stati Uniti d’America.
Consideri infine, sempre in linea generale, che si tratta spesso di report e indagini aggiornati a cadenza trimestrale o semestrale (quando non annuale), quindi ci sta che tra la loro uscita e la nostra citazione su questo blog intercorra un ragionevole lasso di tempo…
Spero di aver chiarito il punto!
Un saluto e buona giornata,
Maria
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