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Un italiano su 5 investe in fondi comuni (e agli under 40 piace il PAC)

Assogestioni ha presentato oggi a Milano l’aggiornamento dell’Osservatorio annuale sui sottoscrittori di fondi comuni, curato dall’Ufficio Studi dell’Associazione.

I risultati dell’Osservatorio, aggiornati a dicembre 2023, tracciano l’identikit degli investitori individuali italiani, analizzandone la composizione di genere e anagrafica, la distribuzione geografica, i numeri sugli investimenti in fondi, le preferenze su prodotti e asset class e le modalità di sottoscrizione. Una fotografia che l’Ufficio Studi aggiorna dal 1996 con l’obiettivo di comprendere meglio come evolvono le preferenze e le esigenze del risparmiatore italiano.

 

Ma un solo identikit non basta

Sono 11,1 milioni gli italiani che sottoscrivono fondi comuni di investimento, per un valore totale investito che ha raggiunto quota 546 mld euro. Il dato censito dall’Osservatorio di Assogestioni rapportato all’intera popolazione del Paese implica un tasso di partecipazione del 18,8%, il che significa che quasi 1 italiano su 5 affida almeno parte dei propri risparmi a questa tipologia di strumento.

Il valore medio dell’investimento è di 49.000 euro. Un importo che però varia a seconda del tipo di prodotto scelto: più basso per i sottoscrittori di fondi italiani (30.000 euro), più elevato per i sottoscrittori di fondi esteri. Tra questi, il valore dell’investimento medio in fondi cross border si attesta a 55.000 euro.

Cifre che però necessitano di una attenta lettura. Così commenta Riccardo Morassut, Senior Research Analyst presso l’Ufficio Studi di Assogestioni.

 

Una evidenza che emerge molto chiaramente dall’Osservatorio è che un solo identikit non basta. L’insieme dei sottoscrittori al suo interno presenta molteplici peculiarità: ad esempio, il patrimonio resta concentrato sul quartile più alto, i cui sottoscrittori detengono circa tre quarti dell’investimento totale”, , aggiungendo: “Metà degli 11 milioni circa di investitori accede ai fondi con cifre inferiori alla mediana che è pari a circa 20mila euro.

 

Alessandro Rota, Direttore Ufficio Studi di Assogestioni, aggiunge quanto segue.

 

Il risultato sulla concentrazione del patrimonio è in linea con le stime di Banca d’Italia, che attribuiscono al 30% delle famiglie più abbienti l’80% della ricchezza finanziaria complessiva. Tuttavia, l’elevato numero di italiani che scelgono i fondi allocando anche cifre più contenute ci dimostra come questo sia uno strumento realmente democratico. Inoltre, l’investimento in fondi rappresenta di per sé un atto basilare di educazione finanziaria, che può aiutare a trasferire i valori della diversificazione, programmazione e gestione professionale dei risparmi.

 

Il gap generazionale c’è, ma gli under 40 si fanno avanti

La dimensione più “pop” dei fondi comuni di investimento emerge anche dai risultati sulla modalità di sottoscrizione e dallo spaccato demografico dei dati, che confermano come questi strumenti consentano a chiunque l’accesso alla gestione professionale dei risparmi e non siano di appannaggio esclusivo di coloro che possiedono grandi patrimoni.

Sul fronte demografico, infatti, l’età media nazionale dei sottoscrittori è di 61 anni, con la generazione dei Boomers che pesa per il 41% del totale. A seguire, i risparmiatori della Generazione X con il 29%, le generazioni più anziane (ultra 78enni) che rappresentano il 16% e infine i risparmiatori più giovani (Millennials e Generazione Z), la cui partecipazione è più contenuta e si attesta al 15%.

L’investimento medio per fasce di età sottolinea il gap generazionale: per i Boomer, che detengono da soli il 48% del patrimonio complessivo, si attesta a 58.000 euro, cifra che sale a 66.000 per la Silent Generation e 83.000 per la Greatest Generation. Sotto media, ma con un importo comunque rilevante, la Generazione X con 42.000. Per i Millennials, invece, l’investimento medio è di 21.000 euro e per la Gen Z di 13.000, e insieme detengono il 6% del patrimonio.

Ma come accedono a questi strumenti? In media, il versamento unico (PIC) rimane la forma prevalente, scelta dal 62% dei risparmiatori, mentre la quota dei sottoscrittori che investe tramite piani di accumulo (PAC) è pari al 21% e in forma mista al 17%. Percentuali, però, ancora una volta stressate dallo spaccato per età, che dimostra comportamenti differenti tra under 40 e generazioni più anziane.

Infine, un ultimo argomento conferma la natura democratica dei fondi. Infatti, sulla scia di un trend in corso da anni, la differenza uomo-donna nell’universo dei sottoscrittori italiani si sta progressivamente annullando, in favore di un sostanziale equilibrio tra i generi, con le donne che oggi rappresentano il 47% degli investitori contro il 53% degli uomini. Anche l’investimento medio di uomini e donne si sta avvicinando nei valori: infatti, i primi investono circa 51.000 euro, contro i 47.000 delle donne.

 

L’affetto per lo sportello bancario e l’home bias, due miti da sfatare

Due aspetti indagati dall’Osservatorio riguardano alcuni cliché sugli investitori locali. Il 95% dei fondi italiani viene distribuito tramite gli sportelli bancari, ma il canale di distribuzione delle reti di consulenti finanziari ha un peso maggiore per i fondi cross border, acquistati in questa modalità per il 48% e solo per il 52% tramite le banche.

A livello di asset allocation, l’Osservatorio evidenzia valori differenziati in base alla tipologia di prodotto. Tra i fondi di diritto italiano prevale la componente obbligazionaria (36%) e flessibile (34%), a cui seguono gli investimenti in fondi bilanciati (19%) e azionari (11%). Tra i prodotti esteri è più marcata la componente azionaria, con il valore per i fondi cross border che si attesta al 50%. Resta stabile attorno al 30% il peso dei fondi obbligazionari, mentre diminuisce la quota dei fondi flessibili e bilanciati (all’11% e 10%).

Lo studio del portafoglio dei sottoscrittori italiani per aree geografiche mostra infine una prevalenza di Europa e America, entrambe al 32%. L’allocazione all’Italia pesa per il 16% del portafoglio generale, di cui il 13% in obbligazioni e il 3% in azionario italiano. “Un 16% di home bias non è poco, considerando che Borsa Italiana pesa lo 0,6% della capitalizzazione mondiale”, sottolinea Morassut.

 

Un’Italia che appare divisa a metà

In aggiunta al quadro nazionale, è interessante notare le diverse specificità geografiche, a cominciare dal tasso di partecipazione, che indica la percentuale di sottoscrittori in rapporto alla popolazione residente (dati Istat). Anzitutto, i dati delineano un Paese spaccato in due, con il 64% dei sottoscrittori che risiedono in Nord Italia.

La regione con il tasso di partecipazione più alto è l’Emilia-Romagna con il 29,3%, seguita da Lombardia (27,1%), Piemonte (26,6%) e Liguria (25,1%). Liguria, Lombardia e Piemonte sono anche le regioni in cui l’investimento medio è più alto e pari rispettivamente a 55.212, 54.971 e 54.841 euro. In Emilia-Romagna si attesta a 53.184 euro.

Le Regioni del Nord d’Italia sono le prime per investimento complessivo: i sottoscrittori residenti in questa area detengono il 69% del totale. Nel dettaglio, al Nord-Ovest va il 43%, mentre al Nord-Est il 26%. Gli investitori del Sud hanno il 9% del portafoglio generale e quelli delle isole il 4%.

 


 

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