Ve la ricordate la nostra agile guida agli strumenti di liquidità1? Ci eravamo lasciati con l’indicazione di tre tipi di strumento che non avevamo dettagliato, promettendo di tornare sul tema per approfondire.
Oggi siamo qui per mantenere la nostra promessa. E spiegarvi, quindi, cosa sono e come funzionano i certificati di deposito, i fondi monetari e gli ETF liquidità.
Certificato di deposito
È una forma di deposito vincolato, tramite la quale il risparmiatore, appunto, deposita presso la banca una certa somma di denaro e la banca, dal canto suo, si obbliga a restituirla alla scadenza concordata con rimborso “alla pari”.
Il deposito – la cui durata generalmente non supera i 60 mesi, vale a dire cinque anni – riconosce interessi che vengono corrisposti periodicamente oppure alla scadenza, insieme al capitale.
Il tasso d’interesse, infatti, può essere fisso, variabile o zero coupon: nel terzo caso, gli interessi vengono accreditati alla scadenza del certificato, insieme al capitale iniziale depositato.
Il certificato di deposito non è uno strumento privo di rischi: il principale è quello di controparte, ossia l’eventualità che la banca non sia nelle condizioni di procedere al rimborso, in tutto o in parte. Ma ce ne sono anche altri, in particolare:
- di liquidità: i certificati di deposito con scadenza sotto i 18 mesi non possono essere rimborsati prima di quella data, mentre per quelli con scadenza superiore ai 18 mesi si può procedere al rimborso a patto che sia trascorso il periodo di vincolo obbligatorio convenuto da contratto;
- di tasso: se i tassi di mercato salgono, si perde l’occasione di un migliore rendimento.
Al medio risparmiatore italiano i certificati di deposito offrono il vantaggio di interessi sempre costanti. Per contro, i rendimenti reali non sono da urlo.
Ciliegina sulla torta, la tassazione: prima del 2014, agli interessi generati dai certificati di deposito veniva applicata una ritenuta del 12,5%, che poi è salita al 26%. In aggiunta c’è l’imposta di bollo, pari al 2 per mille della somma depositata.
Ciò spiega come mai i certificati di deposito, che un tempo godevano di un certo successo, oggi sono tenuti molto meno in considerazione, a vantaggio di altri prodotti con rendimenti più interessanti e/o una tassazione più vantaggiosa.
Fondi monetari
I fondi comuni, lo sappiamo, raccolgono le somme di un tot di risparmiatori e le investono, come un unico patrimonio, in varie attività finanziarie, che possono essere azioni, obbligazioni, titoli di Stato o anche valute.
Chi ci segue conosce già la distinzione tra fondi aperti, che permettono di sottoscrivere le quote o di richiederne il rimborso in qualunque momento, e fondi chiusi, che invece consentono di sottoscrivere le quote solamente nel periodo di offerta, con rimborso che normalmente avviene soltanto alla scadenza del fondo.
Bene. Fra i fondi aperti si distinguono quelli “armonizzati”, costituiti nei vari Paesi UE, detti “armonizzati” in quanto seguono regole e criteri comuni. E tra i fondi armonizzati figurano quelli monetari, la cui caratteristica è investire in strumenti del mercato monetario a breve termine (cioè non sopra i sei mesi).
Dettagliamo: il mercato monetario è quell’area dei mercati finanziari in cui avvengono gli scambi di strumenti molto liquidi e a scadenza molto breve (sotto l’anno). Tipicamente, si tratta di certificati di deposito, BOT e Pronti contro Termine.
Ricordiamo che alla tassazione dei proventi dei fondi comuni è applicata l’aliquota del 26%, che scende al 12,5% per la parte investita in titoli di Stato2.
Exchange Traded Fund liquidità
Un altro modo per investire in liquidità è rappresentato dall’Exchange Traded Fund (ETF3): anche qui, chi ci segue sa già che si tratta di un fondo passivo, quotato in Borsa, che punta a replicare la performance di indici e mercati sottostanti.
In questo contesto può essere interessante sapere che alcuni ETF tracciano il mercato monetario (nelle varie valute) e/o un paniere obbligazionario contenente titoli di breve durata, tali da essere assimilabili agli strumenti monetari (com’è il caso, già visto, dei nostri BOT).
Quanto alla tassazione, come vi abbiamo spiegato in un nostro precedente post4, l’aliquota applicata ai redditi di capitale e ai redditi diversi è del 26%, ma cala al 12,5% nel caso di redditi generati dall’investimento in titoli di Stato italiani, di Paesi “White List” o emessi da enti sovranazionali.
I rischi dei fondi e degli ETF
Esistono e sono essenzialmente due: di mercato e di oscillazione della quota. A questi, nel caso degli ETF, si aggiunge un rischio di liquidità: i market maker sono tenuti a comprare e a vendere, ma potrebbero applicare alla nostra richiesta uno spread bid/ask anche elevato.
C’è poi da dire che, nel caso dei fondi, il rischio di liquidità è in realtà implicito nel rischio di mercato. Ci sono infatti fondi monetari che investono in asset con una volatilità che non è quella tipica degli strumenti di liquidità e, nelle fasi più difficili, che potrebbero venire venduti a sconto: uno sconto che l’investitore percepisce come oscillazione di quota.
1 – Conti, depositi e BOT: la tua guida agli strumenti di liquidità
2 – Financial Brief | La tassazione degli investimenti finanziari
3 – #ABCFinanza: cosa sono gli ETF e perché sono così convenienti?
4 – Qual è il regime fiscale degli ETF?