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The Lost Decade – un decennio perduto per l’investimento azionario?

“The equity lost decade”: questa è l’espressione tipica con la quale il risparmiatore è solito sentir definire il decennio appena trascorso dal punto di vista dell’investimento azionario. L’argomentazione, apparentemente semplice, è la seguente: chiunque avesse investito in azioni dieci anni fa avrebbe perso soldi (a meno di aver selezionato in modo opportuno aree geografiche, settori merceologici e titoli).  L’evidenza dei fatti sembrerebbe supportare tale tesi. Consideriamo, ad esempio, il mercato azionario americano: l’indice S&P500 al 30 novembre 2000 era a quota 1314,95, mentre al 30 novembre 2010 era sceso a 1180,55, avendo fatto registrare una perdita superiore al 10%.

Come conseguenza dell’andamento di mercato, se si guarda all’industria dell’asset management, le performance della maggior parte dei fondi azionari sono state deludenti nel periodo.

Secondo i sostenitori della tesi del “lost decade” gli ingredienti affinché ciò accadesse sono stati numerosi. Per citarne solo alcuni:

  • nel 2000 è scoppiata la bolla sulla tecnologia e tutti i titoli azionari appartenenti ai settori TMT (tecnologia, media e telecomunicazioni) hanno registrato crolli senza precedenti;
  • nel settembre 2001 c’è stato l’attacco alle Torri Gemelle;
  • nel biennio 2001-2002 c’è stato un credit crunch che ha portato a numerosi fallimenti aziendali (i più eclatanti dei quali furono Enron e Worldcom)
  • verso la fine del decennio c’è stato un altro credit crunch, molto più cruento del precedente (da molti paragonato a quello della Grande Depressione del ’29), culminato col fallimento della Lehman Brothers e che obbligato i Governi di quasi tutti i Paesi industrializzati ad intervenire per  salvare i sistemi bancari.

Quanto accaduto nello scorso decennio avrebbe, quindi, dell’incredibile e dovrebbe, tra l’altro, sfatare per sempre il mito che, nel lungo periodo, le azioni costituiscono sempre un buon investimento per il risparmiatore.

Ma le cose stanno veramente così? Le azioni sono state veramente un disastro nei dieci anni appena trascorsi?

È evidente che sarebbe facile dimostrare il contrario ipotizzando il caso favorevole di un investitore particolarmente intelligente ed esperto che, selezionando in modo opportuno settori e titoli, avrebbe potuto ottenere ottimi risultati.

Noi però vogliamo fare tale dimostrazione utilizzando il caso meno favorevole, un po’ come si fa nelle dimostrazioni matematiche: si usa il caso “limite” e se la dimostrazione è vera per il caso limite, a maggior ragione sarà vera in tutti gli altri casi.

Qual è il nostro caso meno favorevole? Beh, evidentemente, quello di un investitore assolutamente non esperto che, non sapendo quali titoli selezionare, si limita, appunto, a non selezionare: li compra tutti e non sapendo quali sovrappesare e quali sottopesare, decide di assegnare lo stesso peso a ciascuno, arrivando così a costruire un portafoglio di titoli azionari “equi-pesati”.

Sarebbe possibile verificare, ex-post, qual è stato il risultato ottenuto da un investitore del genere nello scorso decennio?

Con tutti i limiti e i “distinguo” del caso e rimanendo nell’ambito del mercato americano, così come lo S&P500 (indice con peso di ciascun titolo pari alla propria capitalizzazione) è una buona proxi di quello che avrebbe fatto un risparmiatore investito in un indice di “mercato”, lo S&P Equally Weighted (ticker Bloomberg SPW), ossia l’equivalente dello S&P500 ma con i pesi dei singoli titoli tutti uguali, può essere considerato una buona proxy di quello che avrebbe fatto un risparmiatore investito in un indice “equi-pesato”.

Ebbene, come si evince dal grafico sottostante, di fonte Bloomberg, lo SPW dal 30 novembre 2000 al 30 novembre 2010 ha fatto registrare un ritorno superiore al 50%, che equivale ad un ritorno medio annuo superiore al 4%. Si tratta, tra l’altro, di ritorni che non tengono conto dei dividendi: se ipotizziamo un dividend yield annuo dell’1,8% (ipotesi conservativa) arriviamo ad un ritorno medio annuo superiore al 6%!

Niente male per essere stato, lo scorso decennio, un lost decade!

La ragione principale per la quale lo S&P500 ha fatto peggio dello SPW è banale: essendo un indice che riflette la capitalizzazione di mercato di ciascun titolo, in esso era enorme il peso dei settori TMT (Tecnologia, Media e Telecomunicazioni) a fine 1999, così come era enorme il peso del settore finanziario prima del credit crunch del 2007-2008. Più in dettaglio a fine ’99, poco prima dello schianto che li ha travolti, i settori TMT sono arrivati a pesare più del 30% nello S&P500 e anche il settore finanziario nel 2007 pesava intorno al 30%. Ma c’è di più: noi abbiamo ipotizzato che il nostro investitore, sebbene non esperto nella selezione di azioni, avesse comunque limitato l’universo dei suoi investimenti ai soli titoli che compongono lo S&P500 (in questo, di fatto, già operando una selezione).

Ipotizziamo allora un investitore ancor meno esperto, quindi ignaro dell’esistenza di un indice che comunque “seleziona” 500 titoli e supponiamo, quindi, che arrivi a costruirsi una sorta di portafoglio “equi-pesato” più rappresentativo dell’intera Borsa americana. Sarebbe possibile verificare, ex-post, il risultato ottenuto da tale investitore?

Anche in questo caso, pur con tutte le dovute cautele, potremmo considerare come proxy del portafoglio di questo investitore l’indice “Value Line” della Borsa USA (ticker Bloomberg KVY) . Si tratta di un indice molto ampio, composto da 1.650 società americane (e non delle sole 500 che compongono lo S&P500) “equi-pesate”. Ebbene sapete qual è la performance di questo indice azionario nell’ultimo decennio?

Come si evince dal grafico sottostante, di fonte Bloomberg, la performance dell’indice KVY nel periodo 30 novembre 2000 – 30 novembre 2010 è stata superiore al 150% (avete capito bene, superiore al 150%: 152,5457% per la precisione)!

Tale performance equivale ad un ritorno medio annuo superiore al 9,5% senza considerare i dividendi e superiore all’11% se consideriamo i dividendi… alla faccia del lost decade!!!

Gli esempi potrebbero continuare all’infinito ma il dato di fondo rimarrebbe, comunque, lo stesso: qualsiasi portafoglio di investimento diversificato di titoli “equi-pesati”  nello scorso decennio avrebbe dato buoni risultati.

Si vuole allora insinuare che gli asset managers non sanno fare bene il proprio lavoro? Assolutamente no (…o comunque non sempre)!

Ma allora come mai le performances della quasi totalità dei prodotti azionari è stata così deludente nello scorso decennio?

In estrema sintesi, la nostra idea è che, probabilmente, c’è qualcosa che non va proprio nell’industria del risparmio gestito e che la spiegazione del fenomeno debba essere ricercata nel connubio, secondo noi letale, tra gestori di portafoglio e risk managers.

Spieghiamolo meglio con un esempio: abbiamo appurato che gli indici “equi-pesati” americani hanno fatto meglio dello S&P500 essenzialmente perché avevano meno TMT ad inizio 2000 e meno titoli finanziari nel 2007-2008. Supponiamo, adesso, che un gestore particolarmente brillante avesse capito per tempo che non bisognava avere in portafoglio TMT all’inizio del 2000 e  titoli finanziari nel 2007. Orbene, sorpresa, sorpresa, un tale gestore con ogni probabilità non avrebbe potuto tradurre questa sua idea in decisione di portafoglio. La ragione è semplice: in un portafoglio senza TMT ad inizio 2000 o senza finanziari nel 2007 (dati i pesi enormi di questi settori) lo scostamento dall”indice benchmark, misurato ad esempio con il “tracking error”, sarebbe letteralmente “esploso” e il risk management della società avrebbe, con ogni probabilità, impedito la decisione!

A questo punto si intuiscono le vere ragioni per le quali l’industria dell’asset management insiste tanto sul concetto di “lost decade”: si tratta di una teoria affascinante che torna comoda per giustificare risultati non eclatanti a fronte delle laute commissioni che l’industria si fa pagare (e degli elevatissimi stipendi dei managers…).

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