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Teenager italiani e risparmio: un rapporto difficile

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L’indagine OCSE sugli studenti che hanno appena terminato la scuola dell’obbligo evidenzia forti carenze a livello internazionale in tema di finanza e risparmio. L’Italia non ne esce male, ma si posiziona comunque sotto la media.


Risparmiare a 15 anni

Intorno ai 15 anni, terminata la scuola dell’obbligo, nella vita di un adolescente iniziano a presentarsi diverse decisioni di natura finanziaria. Naturalmente all’inizio si tratta di questioni semplici: quanto spesso ricaricare il cellulare, come gestire la paghetta tra uscite il sabato sera e l’acquisto del videogame preferito e così via. Ma è un allenamento importante per il futuro, visto che nel giro di qualche anno queste persone entreranno nel mondo del lavoro e dovranno cominciare a preoccuparsi di come investire i propri risparmi, anche in vista della pensione.

Per questo l’OCSE ha messo a punto un test periodico sul livello di educazione finanziaria dedicato proprio agli studenti quindicenni – il Programme for International Student Assessment, meglio noto come PISA. Ebbene, l’edizione 2015 dello studio, rilasciata nei giorni scorsi, non restituisce un quadro incoraggiante, né a livello internazionale né tanto meno a livello italiano.

“Oggi i giovani si trovano ad affrontare scelte economiche importanti, con prospettive economiche preoccupanti e un mercato del lavoro quanto mai incerto, complici anche la situazione socioeconomica in rapida trasformazione e il progresso tecnologico che cambia le regole del gioco. Eppure spesso questi ragazzi non hanno gli strumenti e le competenze per compiere scelte consapevoli su tematiche in grado di pesare sul loro benessere finanziario futuro”, commenta Angel Gurria, segretario generale dell’OCSE. “Alla luce di simili risultati è ancora più evidente la necessità di aumentare gli sforzi globali per la promozione dell’educazione finanziaria”.

L’indagine OCSE

Procediamo con ordine: l’indagine ha coinvolto circa 48.000 studenti, un campione rappresentativo di quasi 12 milioni di quindicenni nelle scuole dei 15 paesi ed economie partecipanti (dieci dell’area OCSE: Australia, Comunità fiamminga del Belgio, sette province del Canada – Columbia Britannica, Manitoba, Nuovo Brunswik, Terranova e Labrador, Nuova Scozia, Ontario e Isola del Principe Edoardo – Cile, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica Slovacca, Spagna e Stati Uniti; e cinque paesi ed economie partner: Brasile, quattro province/comuni in Cina – Beijing, Shanghai, Jiangsu, Guangdong – Lituania, Perù e la Federazione Russa).

Le domande, sia a risposta multipla sia a risposta aperta, riguardano per lo più situazioni reali in cui si rendono necessarie competenze finanziarie a diversi livelli, da molto semplici e complesse – dai conti correnti ai tassi di interesse, dai prestiti alle carte di credito.

Ne è emerso che circa il 25% del campione non è in grado di prendere una decisione, anche semplice, sulle spese quotidiane e che solo uno studente su dieci riesce a comprendere tematiche più difficili, come per esempio quella della tassazione sul reddito.

E l’Italia?

L’Italia, che come sappiamo non brilla per le sue iniziative di educazione finanziaria, non fa certo eccezione, anche se rispetto al passato non ne esce poi così male. Il Belpaese infatti si posiziona più o meno a metà classifica con un punteggio di 483, risultato leggermente inferiore alla media OCSE (489) ma in linea con altre grandi nazioni come gli Stati Uniti (487) e migliori di Paesi come la Spagna (469). I 15enni più preparati sui temi finanziari sono invece i cinesi (566 punti) e i belgi (541).

Tornando all’Italia, circa il 20% degli studenti (rispetto al 22% in media nelle 10 economie OCSE partecipanti) si posiziona sotto il livello di riferimento per le competenze finanziarie di base (Livello 2). Nel migliore dei casi, questi studenti sono in grado di identificare prodotti e termini finanziari di uso comune (come riconoscere una fattura), capiscono la differenza tra bisogni e desideri e sono in grado di prendere decisioni semplici sulle spese quotidiane in contesti che hanno probabilmente già vissuto in prima persona. Solo il 6% invece raggiunge il livello più alto nella scala PISA per le competenze finanziarie (livello 5), rispetto a una media del 12% nei paesi ed economie OCSE partecipanti. Questi studenti sono in grado di analizzare prodotti finanziari complessi e risolvere problemi, dimostrando una comprensione del panorama finanziario più ampio. In ogni caso, la performance italiana è migliorata rispetto all’indagine OCSE di tre anni prima, quando il Belpaese aveva raggiunto un punteggio di 466.

Conoscenze vs vita reale

Quanto alle esperienze pratiche degli adolescenti con il denaro, in Italia circa il 35% dei 15enni è titolare di un conto corrente, ben al di sotto del 56% dei Paesi OCSE. Ma il 37% è titolare di una carta prepagata, al di sopra della media.  

A questo proposito va detto che l’esperienza insegna: secondo l’indagine infatti, gli studenti titolari di un conto corrente ottengono in media 26 punti in più rispetto a quelli che non lo sono.

Va detto anche che, nel Belpaese, i minorenni possono aprire e gestire un conto corrente ed essere intestatari di una carta Bancomat, prepagata o di debito solo con l’assenso dei genitori (o tutori) e possono utilizzare questi strumenti di pagamento solo in circostanze prestabilite ed entro certi limiti di spesa.

L’utilizzo di carte e conti correnti è strettamente legato naturalmente al denaro che questi ragazzi hanno effettivamente per le mani: secondo lo studio, le entrate mensili dei quindicenni italiani derivano nella maggior parte dei casi (83%) da doni in denaro di amici e parenti, mentre solo il 35% riceve una paghetta periodica (contro il 59% della media OCSE). Il 21% guadagna svolgendo lavoretti informali e il 16% lavorando formalmente al di fuori dell’orario scolastico.

Ma cosa ne fanno di questi soldi?

In Italia la propensione al risparmio è abbastanza elevata anche tra i 15enni: circa il 43% degli studenti afferma di risparmiare ogni settimana oppure ogni mese, il 21% risparmia solo quando dispone di denaro da mettere da parte e il 27% solo quando desidera acquistare qualcosa. Un esiguo 5% ha ammesso di non risparmiare affatto.

Chi fa educazione finanziaria in Italia?

In Italia, l’educazione finanziaria non fa parte dei programmi scolastici, ma dal 2007 la Banca Centrale e il Ministero dell’Istruzione hanno adottato un programma di educazione finanziaria (e di formazione degli stessi professori) nelle scuole interessate – nell’anno scolastico 2015/2016, il programma si è rivolto a oltre 60.000 studenti delle scuole superiori. In sostanza dunque, l’iniziativa è un po’ lasciata alle iniziative dei singoli istituti, anche se qualcosa sta lentamente cambiando: a marzo 2017 è stato infatti approvato il decreto “Salva Risparmio”, che (almeno sulla carta) prevede la messa a punto di un primo piano nazionale sull’educazione finanziaria.

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I prossimi passi

Alla luce dei risultati dell’indagine, l’OCSE dà alcuni suggerimenti generali per le politiche pubbliche di tutti i paesi e le economie partecipanti:

  • Rispondere alle esigenze degli studenti che hanno ottenuto risultati molto bassi
  • Affrontare sin dall’inizio le disuguaglianze socioeconomiche
  • Fornire pari opportunità di apprendimento a ragazzi e ragazze
  • Aiutare gli studenti ad ottenere il massimo dalle opportunità di apprendimento offerte in ambito scolastico
  • Rivolgersi ai genitori oltre che ai giovani
  • Fornire ai giovani opportunità sicure per imparare attraverso l’esperienza diretta al di fuori dell’ambiente scolastico
  • Valutare l’impatto delle iniziative all’interno e all’esterno dell’ambiente scolastico

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Scritto da

La scrittura è sempre stata la sua passione. Laureata in Economia per le Arti, la Cultura e la Comunicazione all’Università Bocconi di Milano, è entrata nel mondo del giornalismo nel 2008 con uno stage in Reuters Italia e successivamente ha lavorato per l’agenzia di stampa Adnkronos e per il sito di Milano Finanza, dove ha iniziato a conoscere i meccanismi del web. All’inizio del 2011 è entrata in Blue Financial Communication, dove si è occupata dei contenuti del sito web Bluerating.com e ha scritto per il mensile Bluerating.

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