Quante volte ve l’avremmo già detto? Dieci? Cento? Mille? Millemila? “Nelle difficoltà riposano le opportunità”. La massima è attribuita ad Albert Einstein e noi la facciamo nostra ogni volta. Specialmente nei contesti come quello attuale, carichi di incognite che si intrecciano quasi incestuosamente l’una all’altra.
Il problema è che la fanno loro anche i venditori di fumo. Quelli che, per intenderci, colgono l’occasione offerta dai periodi di diffusa incertezza, dovuta anche alle pesanti tensioni geopolitiche (avete presente le operazioni militari russe in Ucraina?), per vendere ai risparmiatori strategie d’investimento che, quanto a risultati, sono un po’ “bah” e parecchio “meh”. Niente di che, insomma.
Tanto per confermare che la storia, anche sui mercati finanziari, se non si ripete fa quantomeno rima con se stessa, tempo fa il nostro sempre pronto e scattante Raffaele Zenti dedicò al tema un post, che uscì su questo blog l’11 marzo 2015.
Ve lo riproponiamo sette anni dopo, ancora attualissimo (invecchiato benissimo, direbbero alcuni), qui di seguito.
Buona lettura!
Strategie d’investimento smart beta, non-direzionali, protette e via dicendo: sono tutte utili a diversificare il portafoglio, se la qualità dello strumento finanziario è buona e il costo commissionale è ragionevole. Ma occorre prestare attenzione a cosa si acquista.
Perché c’è il rischio che le meravigliose performance che vi stanno mostrando, storiche o frutto di “back-test” (cioè analisi condotte simulando storicamente la strategia), siano intrinsecamente false. La strategia d’investimento, quindi, potrebbe non funzionare come sperato…
Il tema, in sostanza, è quello dei cosiddetti “falsi positivi”, ricompreso a sua volta nel grande calderone della sottovalutazione degli effetti del caso nella vita reale. Il mondo finanziario ne è poco consapevole, tant’è che ha generato un discreto dibattito un recente articolo dell’Economist dal titolo “False speranze” (“False hope”, 21 febbraio 2015, The Economist).
Qual è il problema delle strategie d’investimento?
Il problema è nei test effettuati per validare le strategie. Semplificando un po’ il tutto, ci sono due tipi possibili di strategie d’investimento:
- quelle che non funzionano, hanno rendimento medio nullo, possiamo definirle “false”;
- quelle autenticamente profittevoli, dal rendimento medio positivo, che per semplicità chiamiamo “buone”.
Nessuno sa se la strategia oggetto d’analisi appartiene al primo o al secondo gruppo. Quindi la si sottopone a test: in base alla performance osservata (nel “back-test” o nella storia), si verifica se viene superata una soglia d’accettazione – per esempio, si verifica se la performance media o lo Sharpe ratio supera un dato livello – e in tal caso la strategia verrà considerata profittevole. E sarà venduta come tale. Con grande enfasi commerciale sul talento del team o, nel caso di strategie quantitative, sull’eccezionale genialità e perizia matematico-statistica.
Ma se guardate un attimo il grafico qui sotto, non vi sfuggirà che, aiutate dal caso, anche molte strategie “false” (quelle corrispondenti all’area arancione, oltre il 17% nell’esempio specifico) passano il test: è esattamente questo il nocciolo della questione.
In altre parole, queste strategie sono i “falsi positivi”.
Nota: sull’asse orizzontale ci sono le performance medie percentuali per i due gruppi di strategie, quelle che funzionano (“buone”) e quelle inefficaci (“false”). La dimensione verticale delle due campane è associata alla probabilità con cui possono manifestarsi i vari livelli di rendimento. La barra grigia collocata sul 3% è la soglia di accettazione di un ipotetico test atto a individuare le strategie valide: l’area arancione individua le strategie “false” che superano il test (mentre la coda sinistra della campana blu individua le strategie “buone” che comunque non passano il test). Elaborazione AdviseOnly.
La natura erratica e complessa dei mercati finanziari, dove il “rumore” domina sul “segnale”, favorisce i falsi positivi. Anche chi opera con ingenua onestà, se prova e riprova strategie sullo stesso insieme di dati (in gergo statistico questa “tortura dei dati” si chiama “data snooping”), alla fine troverà qualcosa che apparentemente funziona. Apparentemente.
Il discorso vale anche per la storia (“track record”) dei gestori: su migliaia e migliaia di gestori, se ne trova sempre qualcuno che ottiene risultati incredibili, per esempio eccellenti Sharpe ratio, e solo per pura fortuna. Non siete convinti? Ve lo mostro subito.
Un’analisi ragionata delle strategie “del caso”
Genero in vitro (al computer) 10.000 ipotetiche strategie d’investimento su un arco temporale di 5 anni, con valore aggiunto nullo per costruzione. Ossia, impongo un rendimento medio anno pari a zero. Poi aggiungo l’effetto del caso, rappresentato dalla volatilità, pari a quella di un indice azionario mondiale. Semplice ma realistico, almeno ai fini d’illustrare questo problema.
Il grafico seguente mostra la simulazione di 10.000 storie d’investimento lunghe 5 anni, periodo considerato più che sufficiente per valutare la validità di un investimento. Sono evidenziate in blu le strategie migliori: in 5 anni ottengono uno Sharpe ratio superiore a 1,3 (valore eccellente), dopo aver manifestato Sharpe ratio buoni per tutto l’arco temporale e performance medie annue superiori al 20%.
Nota: simulazione di 10.000 strategie di investimento a valore aggiunto nullo, con volatilità annua pari al 15%. Il valore sull’asse verticale è il valore di 1 euro investito inizialmente. In blu scuro sono evidenziate le strategie che ex-post presentano Sharpe ratio a 5 anni superiore a 1,3 e performance media annua superiore a 20%. Elaborazione AdviseOnly.
Ribadisco, sono tutte strategie che hanno, per costruzione, il valore aggiunto finanziario che potrebbe fornire uno scimpanzé ubriaco. Eppure, alcune appaiono eccellenti ai nostri occhi, anche se non lo sono: è solo l’effetto del caso.
Sembra fenomenale ma è solamente casuale: perché?
In un bell’articolo, il prof. Ioannidis della Stanford School of Medicine ha individuato alcune condizioni che favoriscono i falsi positivi. Trasponendo il tutto al mondo delle strategie d’investimento, è più probabile che la strategia sia “fuffa” nei seguenti casi:
- campo d’azione della strategia limitato, per esempio, un piccolo segmento di mercato;
- prevalenza di aspetti di dettaglio (specie per le strategie quantitative), rispetto a “grande idee” apprezzabili con l’intuizione e il buon senso;
- verifica basata su pochi dati storici;
- grande interesse economico (condizione sempre verificata…);
- enfasi sul talento innato o il fiuto del gestore, nel caso di strategie qualitative;
- strategia o modello matematico eccessivamente articolato e complesso, della serie “un sacco di input e di output” (cit. Drugo, “Il grande Lebowsky”).
Come può un risparmiatore capire se una strategia è valida?
Ci vorrebbero standard di verifica della qualità più elevati. Ma è qualcosa a carico degli asset manager, al di fuori dal raggio d’azione del singolo risparmiatore. Che invece dovrebbe concentrarsi su strategie con queste tre caratteristiche, in rigoroso ordine d’importanza:
- fondate su idee economiche-finanziarie di buon senso (per esempio, comprare attivi di buona qualità a prezzo relativamente basso, o diversificare i rischi);
- comprensibili (magari con un minimo di approfondimento);
- adeguatamente testate dalla storia o con un serio “back-test”.
E se c’è qualche “geek” curioso che vuole smanettare su queste cose, ho condiviso su una pagina Medium il semplicissimo codice Matlab con il quale sono generati gli esempi.
Raffaele Zenti / Marzo 12, 2015
Va detto che dagli anni ’90 ad oggi, cuba circa il 9% p.a. con Sharpe intorno a 1, cioè ottimo. Mhhhh. Sono un sacco di anni. Possono essere più o meno simpatici con la loro politica commerciale e le loro alte commissioni, ma questi sono i numeri. Se ho un attimo provo ad applicare qualche test multicriteria stringente… come si deve.
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SignorGibbs / Marzo 12, 2015
non sto dicendo che sia falsa la storia, ma che dietro al “guru” ci sia un attento processo rigoroso che aiuta (vedi GTAA US in Eur vs CARMPAT FP)
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Raffaele Zenti / Marzo 12, 2015
Il problema vero è quando NON c’è il processo rigoroso e talento=fattore C.
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SignorGibbs / Marzo 12, 2015
concordo, ma il fattore C prima o poi finisce, mica sono tutti Gastone Paperone
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Raffaele Zenti / Marzo 12, 2015
Infatti (e per questo penso che il team Carmignac abbia valore). Anche se l’esempietto del post dimostra che può andare avanti a lungo trascinatio dall’alea. Nella realtà, comunque, quasi mai è solo Fattore C o solo talento, bensì un mix.
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SignorGibbs / Marzo 12, 2015
non mi dire che si Shrinka anche talento e Fattore C!
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Raffaele Zenti / Marzo 12, 2015
La vita è tutto uno shrinkage. Shrinkage è il nome che gli statistici danno al compromesso.
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Massimo Vicari / Marzo 13, 2015
Ao in questo è un ottimo laboratorio sperimentale, dati i numerosi ptf presenti come un esempio dell’applicazione del teorema della scimmia ubriaca, al di là dei molti e ottimi ptf condivisi e studiati dagli utenti, ce ne possono essere diversi costruiti malamente che in particolari condizioni sono superlativi.
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Aries / Aprile 24, 2015
Ehmmm..una domandina “tecnica”: non ho un matlab recente quindi la funzione “makedist” non posso usarla. Quale “vecchia” funzione alternativa è possibile usare per simulare una distribuzione T-student? grazie
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Raffaele Zenti / Aprile 24, 2015
Avendo installato la R2014 ho “perso” i riferimenti delle vecchie funzioni. Mi pare però che ci fosse il generatore di numeri casuali per essa. Se non fosse così, si può utilizzare il generatore per la t-student “semplice” (credo fosse la funzione “trnd”) per generare numeri casuali t e, con una trasformazione monotona lineare del tipo t’=a+b*t, variare il momento primo e secondo della distribuzione secondo i propri desideri (in pratica dividi per la stdev della t student “semplice”, moltiplichi per la stdev che desideri e poi aggiungi la media desiderata). Spero di essermi spiegato.
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Aries / Aprile 26, 2015
Yahooooo!!mi sa che ce l’ho fatta! Grazie per il trucco:purtroppo si “infrange” poco dopo nel mancato riconoscimento del nome della funzione pdf(‘…’).
Cmq dopo uno sbattimento assurdo, come sempre, trovo la soluzione più semplice. Questo il mio codice (x chi usa Matlab più vecchi):
x = -10:0.2:20;
mugood=5;
sigmagood=2;
nugood=3;
mufake=0;
sigmafake=3;
nufake=10;
pdgood=pdf(‘tLocationScale’,x,mugood,sigmagood,nugood)’;
pdfake=pdf(‘tLocationScale’,x,mufake,sigmafake,nufake)’;
output4export = [x’ pdfake pdgood];
soglia = 3;
plot(x’, [pdgood pdfake])
legend(‘Strategie buone’, ‘Strategie false’)
title(‘Falsi positivi nelle strategie’)
xlabel(‘Rendimento’)
ylabel(‘Probabilità (densità di)’)
Non sarà completo ma..penso possa andare x il momento. Grazie ancora
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Raffaele Zenti / Aprile 27, 2015
Good
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