La Cina è il motore della crescita economica globale. Ma cosa succede se il gigante asiatico rallenta la sua corsa? La domanda appare lecita alla luce degli ultimi dati sul Pil cinese: nel terzo trimestre del 2021, terminato a settembre, il Dragone è cresciuto “solo” del 4,9% su anno (contro attese del 5,2%). Che visto così non sembra affatto male, ma, se calato nel contesto delle cifre a cui il Paese ci ha abituati negli ultimi anni, è piuttosto deludente.
A maggior ragione se raffrontato al +7,9% messo a segno nel periodo aprile-giugno 2021 e al +18,3% registrato tra gennaio e marzo.
Non solo. Anche la produzione industriale e gli investimenti in costruzioni e altre immobilizzazioni si sono tutti indeboliti.
E i mercati azionari hanno iniziato a dare segni di preoccupazione, con l’indice Msci China che ha perso oltre il 18% nei tre mesi terminati a fine settembre.
Cosa sta succedendo?
Ora, nell’ultimo mezzo secolo la Cina ha vissuto una delle più grandi trasformazioni mai viste nella storia dell’umanità, passando dalla fame e un sistema basato sulle fattorie collettive a un’economia guidata da colossi tech globali e scintillanti megalopoli connesse da treni superveloci. Ora però il Paese si trova a un altro punto di svolta: basta guardare agli avvenimenti recenti per rendersene conto.
– Il governo guidato dal presidente Xi-Jinping, che entra nell’ultimo anno del suo secondo mandato, ha deliberatamente tolto la terra sotto ai piedi di giganti come Alibaba e Didi, facendo perdere a queste società miliardi di dollari di valore di mercato con una stretta regolamentare che ha riguardato numerosi settori cruciali per l’economia.
– Evergrande, colosso immobiliare cinese, è sull’orlo del fallimento (ne abbiamo parlato ampiamente qui) e la sua caduta rischia di avere ripercussioni su tutta l’economia.
– Una crisi energetica in atto su scala globale sta pesando su manifattura e industria (ne abbiamo parlato qui).
Una fase di trasformazione
Per quanto riguarda la stretta normativa, l’obiettivo dichiarato da Xi-Jinping è raggiungere quella che lui chiama la “prosperità comune”, puntando su progresso e mobilità sociale, e scongiurare i rischi della “finanziarizzazione”. Insomma, l’ambizione sembra quella di rendere la Cina più autosufficiente nei settori strategici.
Di certo il governo non ci è andato giù leggero: il giro di vite sui colossi tech cinesi è iniziato già lo scorso anno con la sospensione a sorpresa dell’Ipo di Ant Financial. Dopo di che è partita la pioggia di provvedimenti, dalla limitazione dell’uso di videogiochi online a tre ore nel weekend, alla trasformazione dell’enorme comparto cinese dell’e-learning in non profit, fino alla regolamentazione più severa di segmenti come le consegne a domicilio o il ride sharing.
I pareri degli esperti in proposito sono discordi. C’è chi teme una deriva autoritaria del Dragone, che sembra spingersi verso un ritorno al socialismo. E chi invece sostiene che l’azione del governo punti in realtà a mettere ordine in un sistema ancora poco regolamentato, definendo un quadro legislativo più chiaro per le grandi aziende all’insegna della “prosperità comune” e dell’uguaglianza sociale. Il che, in quest’ottica, finirebbe per deporre a favore degli investitori esteri.
L’incognita Evergrande e il settore immobiliare cinese
Un altro grattacapo non indifferente per l’economia del Dragone riguarda il colosso immobiliare Evergrande, schiacciato da 305 miliardi di dollari di debiti, che sta cercando in tutti i modi di evitare il default.
A questo punto, la palla è di nuovo nelle mani del governo centrale: permetterà al colosso di fallire oppure lo salverà in extremis? Intanto, le difficoltà di Evergrande hanno già contagiato anche altre società del settore: Sinic Holdings ha fatto sapere che non riuscirà a ripagare un prestito da 250 milioni di dollari e China Property Group ha annunciato di essere inadempiente su 226 milioni di dollari di debiti.
E poi c’è la crisi energetica…
Giusto per non farsi mancare niente, ci si è messa anche la crisi energetica: i prezzi delle materie prime – specialmente quelli dell’energia – sono volati alle stelle, con l’offerta che non riesce a stare dietro all’aumento della domanda. Così numerose città sono rimaste al buio, mentre fabbriche e industrie si sono trovate costrette a interrompere la produzione. Il tutto proprio mentre in Cina sta partendo la stagione del raccolto.
“Se la carenza di energia elettrica e i tagli alla produzione continuano, potrebbero diventare un altro fattore che causa problemi di approvvigionamento globale, soprattutto se iniziano a influenzare la produzione di beni da esportazione”, ha commentato Louis Kuijs, economista senior alla Oxford Economics.
Il governo sta cercando di limitare i danni: Pechino ha ordinato alle miniere di carbone di aumentare la produzione e sta setacciando il mondo per le forniture di energia nel tentativo di stabilizzare la situazione ed evitare nuovi razionamenti dell’elettricità. L’impatto sull’economia globale, scrive Il Sole 24 Ore, dipenderà da quanto velocemente questi sforzi daranno i loro frutti.
Quale impatto per gli investitori?
Insomma, al momento la seconda economia mondiale appare stretta in una morsa di incognite. Significa forse che per gli investitori è meglio tenersi alla larga? Stando a diversi gestori, la risposta è no.
“La Cina è un mercato che presenta un’ampia volatilità perché incorpora un rischio maggiore per svariati motivi, però è un’area di investimento che deve rimanere all’interno dei portafogli in quanto è una delle poche che assicura una crescita strutturale a chi è in grado di cogliere le opportunità di lungo termine”, sostengono gli esperti di NS Partners, nuovo nome di Notz Stucki.
Sulla stessa linea Morgan Harting, gestore di AllianceBernstein che, pur ritenendo giustificato un certo grado di preoccupazione da parte degli investitori, resta convinto che la Cina continui a offrire buone opportunità di investimento, in particolare sul lato equity. Si tratta, infatti, “per molti versi del secondo più grande mercato azionario del mondo, e la nostra ricerca indipendente bottom-up continua a far emergere opportunità interessanti, molte delle quali hanno per oggetto franchise globali di primo piano con una lunga storia di generazione di alti rendimenti per gli azionisti”.
Anche Gergely Majoros, di Carmignac, non ha dubbi: “riteniamo che la Cina resti un mercato in cui si possa sicuramente continuare a investire”. Ma sia chiaro, occorre mantenere i nervi saldi e mettere in conto, nel breve periodo, una buona dose di volatilità.