C’era una volta un Paese di commissari tecnici. Vi ricordate? Poi siamo diventati tutti un po’ virologi, tra “sieri” e “spike”. Infine, da qualche settimana a questa parte, abbondano sui social gli espertissimi di strategie militari e scenari storici e internazionali. Il quadro socio-antropologico è chiaro e alla fine ci scherziamo tutti, tutti i giorni, sui social, fedeli all’adagio della tragedia che si trasforma in farsa.
Però è anche vero che quando un tema si impone all’attenzione dei più, i più si lambiccano il cervello per trovare – e proporre – la loro soluzione. Negli anni passati, se ricordate, un meccanismo analogo si è attivato in merito alle grosse questioni economico-finanziarie, con lo spread che a un certo punto era sulla bocca di tutti. Tutte le volte, alla gara all’analisi segue pressoché invariabilmente quella alla previsione. Dal meteo alla Borsa, dai sondaggi Macron/LePen a chi vincerà il prossimo mondiale di freccette: nulla viene risparmiato.
Ma vi siete mai chiesti quale utilità possono avere tutte queste previsioni? E, soprattutto, quale effetto sui mercati e sulle nostre scelte d’investimento? Cominciamo provando a rispondere alla prima domanda.
Ma davvero servono tutte queste previsioni?
Quanto è importante sapere ex-ante come sarà il tempo nel giorno della Santa Pasqua o a Pasquetta, oppure dove saranno gli indici di Borsa o i prezzi delle materie prime la prossima estate? Su questo, naturalmente, ognuno ha la sua risposta. Ma l’impressione che in ogni caso se ne ricava è che, sotto sotto, quello che vogliamo è condurre sotto il nostro controllo ciò che è fuori dal nostro controllo. O forse sarebbe meglio dire così: è come se volessimo prepararci caricandoci di un’ansia “anticipatoria”, per farci trovare pronti dagli eventi avversi.
Capiamoci bene: non c’è nulla di male nel fare previsioni. Anzi. Cercare di immaginare un possibile scenario futuro ci aiuta a prendere decisioni. Ma attenzione: riporre nelle previsioni un carico emotivo esageratissimo può essere un tantino controproducente.
Affidarsi troppo alle previsioni: un esempio concreto
Un esempio molto pratico, concreto e fattuale del meccanismo che le previsioni sono in grado di innescare è quello dei dati di bilancio pubblicati dalle aziende quotate. Ogni volta, i dati diventano materia di studio per una serie di analisti di banche d’affari i quali, sulla base di quei numeri, si sbilanciano in valutazioni e previsioni per il futuro.
Molto spesso, ciò è sufficiente a innescare un “effetto domino” di tipo imitativo: a quel punto, infatti, per noi comuni investitori diventa difficile prendere una posizione contraria rispetto a quella del cosiddetto “first mover”, secondo la famigerata regola dell’ancoraggio.
Ma andiamo un po’ più nel dettaglio della faccenda. Avete mai sentito parlare di “target price”, o “prezzo obiettivo”? Come ci ricorda Borsa Italiana, le analisi delle banche d’affari sui vari titoli azionari associano di solito a ciascuno di essi un giudizio (“rating”) e un prezzo obiettivo “proiettato sul lasso temporale di un anno”.
Il calcolo del target price avviene con metodi diversi, che sono però riconducibili principalmente all’analisi fondamentale o all’analisi tecnica. E anche se non è Vangelo, i corsi azionari molto frequentemente reagiscono all’aggiornamento degli obiettivi di prezzo da parte delle banche d’affari.
Troppe stime fanno ballare i mercati (senza motivo)
Così, però, si crea un sistema di consenso omogeneo nel quale le previsioni sono tutte piuttosto simili. E, con esse, il comportamento gregario degli operatori. Salvo poi venire smentiti dalla realtà, con tanto di scossoni sul mercato.
Cosa fare, quindi? Forse, ogni tanto, evitare di fossilizzarsi troppo sulle previsioni non sarebbe affatto male.