Con il finire del 2018 l’Italia è entrata ufficialmente in recessione tecnica1, dopo che il Prodotto Interno Lordo è risultato in calo per due trimestri consecutivi (-0,1% sia nel periodo ottobre-dicembre sia tra luglio e settembre). I numeri dell’ISTAT, che certificano lo stato di salute della nostra economia, potrebbero sembrare astratti e lontani dalla quotidianità. Non è così: per esempio, forse non tutti sanno che l’andamento del PIL incide anche sull’assegno pensionistico che incassiamo ogni anno.
Il tasso di capitalizzazione
Il colpevole è un numerino chiamato “tasso di capitalizzazione” (da cui dipende a sua volta il “coefficiente di rivalutazione del montante contributivo”): questo valore ha assunto un ruolo chiave per il calcolo delle pensioni a partire dalla riforma Dini del 1995, specialmente per chi ha iniziato a versare i contributi dopo il 1996 e che quindi avrà una pensione calcolata interamente con il sistema contributivo.
In base alla Legge n. 335 dell’8 agosto 1995, infatti, il montante contributivo (cioè quel tesoretto accantonato dai lavoratori con il versamento dei contributi previdenziali) viene rivalutato annualmente in base all’andamento della crescita nominale del PIL degli ultimi cinque anni.
Come avviene il calcolo?
Nel dettaglio, il tasso annuo di capitalizzazione è pari alla variazione media quinquennale del Prodotto Interno Lordo nominale, con riferimento al quinquennio precedente all’anno da rivalutare.
La formula matematica è la seguente:
Come è logico, se il montante cresce, la pensione cresce; se invece il montante decresce, la pensione diminuisce.
Sul finire di ogni anno, l’ISTAT comunica il valore del tasso annuo di capitalizzazione ai fini della rivalutazione dei montanti contributivi. Relativamente all’anno 2018, il tasso medio annuo composto di variazione del PIL, nei cinque anni precedenti, è stato pari a 0,013478 e, quindi, il coefficiente di rivalutazione è pari a 1,013478.
Nello specifico, applicando la formula, il coefficiente di rivalutazione per il 2018 risulta pari a (PIL2017/PIL2012)1/5, quindi:
Coefficiente di rivalutazione 2018 = (1.724.954,5/ 1.613.265)1/5 = 1,0134782
Per avere un’idea di come sono cambiati nel tempo questi coefficienti, date un’occhiata a questa tabella e al grafico con l’andamento del tasso di capitalizzazione dal 1995 a oggi.
Alla luce di quanto detto finora, appare chiaro che un rallentamento della crescita economica avrà un impatto, a tendere, sulla rivalutazione del montante contributivo e, quindi, sulle pensioni.
Certo, il calo del 2018 è stato molto contenuto, e comunque non ha impattato sulla rivalutazione annunciata sul finire dello scorso anno, che considerava il PIL fino al 2017.
Ma in passato è già successo2 che il tasso annuo di capitalizzazione dei contributi pensionistici diventasse negativo: nel 2014 infatti, come si vede dalla tabella, il dato si attestava a -0,001927.
Più PIL per tutti
Anche allora comunque, va detto, non si è trattato di un calo drammatico: per un montante contributivo di 100 mila euro, si è trattato di 192,7 euro (montante contributivo x tasso di rivalutazione percentuale / 100). Ma il concetto è chiaro: più l’economia rallenta, più la situazione potrebbe peggiorare.
Insomma, l’andamento del PIL non è da prendere alla leggera: la sua variazione incide direttamente sulle nostre tasche, forse più di quanto pensiamo.
1 – Bollettino AO | Italia in recessione, la Brexit è una montagna da scalare
2 – Sapete che il calo del PIL riduce anche le vostre pensioni? Ecco perché