La rapidità dell’aumento dei tassi d’interesse sui i titoli di Stato di USA e Germania ha sorpreso la maggioranza dei gestori obbligazionari che, oltre a dover procacciare rendimento in un contesto di tassi storicamente bassi, devono gestire una discreta volatilità. In questo momento, non vorrei proprio essere nei loro panni.
Tra gli aspetti più interessanti, c’è il fatto che l’aumento dei rendimenti ha riguardato prevalentemente il mercato dei titoli governativi ed è stato accompagnato da un apprezzamento dell’euro rispetto al dollaro.
Per inquadrare la situazione, considerate innanzitutto che, semplificando, il rendimento di un investimento in titoli di Stato può essere scomposto in tre fattori di rischio:
- le aspettative sui tassi d’interesse reali (come di muoveranno i tassi di interesse in futuro?);
- le aspettative d’inflazione;
- il premio alla scadenza o term premium (investire a più lungo termine dovrebbe essere più remunerativo che investire a breve).
In un contesto in cui, sia in Europa che negli Stati Uniti, le aspettative d’inflazione e sui tassi d’interesse reali sono pressoché identiche a quelle di inizio anno, ho la percezione che in gran parte sia aumentato il rischio di detenere titoli di Stato in una situazione di crescente incertezza (vedi Grecia, tassi USA, tensioni geopolitiche), ampliata dalla bassa liquidità del mercato obbligazionario.
Dopo anni in cui le performance dei titoli di Stato sono state più che soddisfacenti, analizziamo l’aumento dei rendimenti negli USA e in Germania con maggior dovizia di particolari, cercando di capire se e dove esiste del valore.
Le curve dei tassi di USA e Germania
Partiamo dalla curva dei tassi USA:
- oggi i rendimenti a breve scadenza sono più alti rispetto a qualche anno fa e rispetto al periodo di tensione post Tapering (quando l’allora governatore della Fed Ben Bernanke annunciò la possibile fine del QE in Usa), mentre i rendimenti a più lunga scadenza rimangono più bassi;
- il segmento a più valore rimane quello a breve/medio termine;
- per il momento, la Fed è riuscita a mantenere sotto controllo la parte più lunga scadenza della curva dei tassi d’interesse.
Nota: il valore finale è la somma ponderata di due z-score che catturano il momentum ed reversal. In questo modo guardo al trend di breve periodo e al fenomeno di mean reversion: i tassi d’interesse tendono a ricongiungersi a un valore di lungo periodo. Tanto più il valore finale è alto, tanto più il rendimento remunera dal rischio.
Passiamo adesso alla curva dei titoli di Stato tedeschi:
- i rendimenti rimangono tutto sommato bassi, nonostante il recente aumento;
- i titoli di Stato a breve scadenza continuano ad avere rendimenti nominali negativi e a rimanere fuori dalla portata della BCE;
- a queste condizioni, c’è poco valore sull’intera curva dei tassi tedeschi (ad eccezione della parte molto lunga (30 anni).
Nota: la valorizzazione è il risultato di uno z-score tra il momentum del segmento temporale considerato ed il suo reversal. Tanto più è alto, tanto più il rendimento remunera dal rischio.
Cosa fare con i propri investimenti?
Alle attuali condizioni di mercato, i titoli di Stato USA e tedeschi possono fungere da beni rifugio. Riassumendo, in entrambi i casi il rischio inflazione e il rischio tasso sembrano limitati. Per quanto riguarda la Fed, secondo me valgono due considerazioni aggiuntive: per prima cosa non credo che un aumento dei tassi di 25 punti base (a fine 2015 o inizio 2016) cambi completamente lo scenario sulle obbligazioni USA, poi con il protrarsi del rischio Grecia, la Fed presterà ancora più attenzione alle sue mosse.
Dunque, tra le due opzioni, ci sembra più ragionevole assumerci il rischio dollaro, in quanto sembra esserci più valore e, come Paese, crediamo sia meno sensibile al potenziale effetto contagio post-Grexit.
Abbiamo da poco cambiato l’asset allocation dei portafogli Express perché, essendo prudenti per natura, con il mercato che tende a sottovalutare il rischio contagio della Grecia, preferiamo perderci qualche punto di performance ma limitare le perdite in caso in cui la miopia europea si concretizzasse con l’uscita della Grecia dall’euro. Un ragionamento da risk manager, non da speculatore.