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EuroUnionBond: innovazione o scorciatoia?

In piena crisi dei mercati finanziari, il 22 agosto Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio dalle colonne del Sole 24 Ore hanno rilanciato la proposta degli Eurobonds (vai all’articolo), o Eurobbligazioni, proposta che già era stata avanzata nel dicembre 2010 da Jean-Claude Juncker primo ministro lussemburghese e da Giulio Tremonti, ministro dell’Economia dalle colonne del FT.

La proposta Prodi-Quadrio Curzio si propone di entrare nei dettagli di quello che potrebbe essere un grande cambiamento della finanza europea: in breve, gli autori propongono la creazione di un’istituzione europea, il Fondo Finanziario Europeo (FFE), dotata di un patrimonio iniziale sottoscritto dai Paesi dell’area Euro, secondo le quote percentuali di partecipazione al capitale della BCE (per l’Italia si tratterebbe del 18%, quindi 180 miliardi). Ogni Paese potrebbe sottoscrivere il capitale del Fondo mediante il conferimento di riserve auree (per l’Italia circa 80 miliardi in oro) e di “partecipazioni strategiche” detenute dal Tesoro (per l’Italia vedi Eni, Enel, Finmeccanica, Poste ecc.). Sulla base di un capitale di 1.000 miliardi di Euro, il Fondo potrebbe emettere EuroUnionBond al 3% per un totale di 3 mila miliardi di Euro, dei quali 2.300 destinati all’acquisto di titoli pubblici dei Paesi dell’area Euro e 700 miliardi per finanziare infrastrutture e iniziative di sviluppo strategico a livello europeo.

Il rapporto tra debito pubblico, rappresentato da titoli di stato, e Pil nell’area Euro scenderebbe all’80% e anche per l’Italia si avrebbe una riduzione dall’attuale 120% al 95% (il 25% di differenza sarebbe rappresentato da un debito dell’Italia nei confronti del Fondo Europeo). Quindi il totale del debito italiano non varierebbe, ma si ridurrebbe l’onere finanziario sul bilancio pubblico e cambierebbe la geografia dei creditori con una minore diffusione dei titoli di stato dei singoli Paesi sul mercato dei capitali e presso i risparmiatori.

Come già avvenuto in passato, la proposta ha riscosso interesse e ha sollevato un interessante dibattito tra gli addetti ai lavori; da segnalare l’unanime consenso da parte di molti rappresentanti della classe politica italiana, non sempre accompagnato da un’adeguata comprensione delle possibili conseguenze in termini di riduzione della sovranità nazionale.

Freddezza e commenti negativi provengono invece dalla Germania che nelle diverse sedi istituzionali non ha mai mancato di sottolineare la propria contrarietà all’europeizzazione del debito pubblico dei Paesi periferici.

Sinceramente alcuni passaggi mi sfuggono e vorrei sottoporre agli amici lettori del Blog alcune domande, sperando che qualcuno di voi mi aiuti a chiarirmi le idee.

  1. Le riserve auree sono nel bilancio della Banca d’Italia, mentre le partecipazioni strategiche (Eni, Finmeccanica ecc.) sono del Tesoro. Le due istituzioni hanno divorziato da trent’anni e non credo che si voglia tornare indietro. La funzione delle riserve del sistema delle Banche centrali europee, di cui la Banca d’Italia fa parte,  non dovrebbero servire a “garantire” la stabilità dell’Euro sul mercato internazionale dei cambi?
  2. Assumendo che la proposta funzioni e che il Fondo Europeo riesca a raccogliere 3 mila miliardi, come verrebbero distribuiti gli acquisti di obbligazioni governative tra i diversi Paesi? Prodi e Quadrio Curzio non lo dicono esplicitamente, ma dai conti presentati, sembrerebbe che le risorse siano distribuite secondo le quote di partecipazione al Fondo. Quindi per l’Italia il 18% (se così non fosse si trasferirebbe il nostro debito sui contribuenti tedeschi o francesi e la cosa non garba). Va tutto bene, ma resterebbero comunque in circolazione la bellezza di 1400-1500 miliardi tra Btp, Bot e Cct che, alle varie scadenze, sarebbero comunque da rifinanziare. Se i risparmiatori italiani o, in generale, i detentori di Btp, anziché rinnovare i titoli di stato italiani, decidessero di sottoscrivere i più sicuri anche se meno remunerativi Eurobond, il nostro ministero del Tesoro farebbe molta fatica a evitare un innalzamento dei  tassi di interesse sui titoli di nuova emissione, con un aggravio del conto interessi che potrebbe compensare i vantaggi dell’intera operazione. Dove sbaglio?

Conclusione: è l’eterno problema degli stock e dei flussi. Il debito pubblico non è solo un problema finanziario, ma riguarda lo squilibrio – reale – tra risparmi ed investimenti del nostro Paese. Non sono contrario agli Eurobond, ma non vorrei che si cercasse una nuova scorciatoia che consiste nel travasare il debito da una scatola all’altra, sperando che costi e che si veda meno. Credo che la strada maestra sia quella di evitare che il debito pubblico continui a crescere, ossia di azzerare il deficit pubblico realizzando un avanzo primario consistente, pari all’onere degli interessi che purtroppo è il 5% del Pil. Da questa posizione di forza la riformulazione degli strumenti di gestione del debito pubblico darebbe sicuramente migliori risultati.

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