Intendevo evidentemente provocare. Ma, al di là dei toni da bar, la domanda ha un senso, e penso che non pochi risparmiatori se la siano posta. Gli investimenti ESG sono una “moda” proposta dall’industria finanziaria? Oppure davvero uniscono l’idea di risparmio e investimento a quella di responsabilità verso il nostro pianeta e la società? E poi, quanto ci si può aspettare di guadagnare in più o in meno rispetto ad un investimento analogo ma non ESG?
Quelle sull’utilità degli investimenti ESG ormai sono in larga parte domande retoriche. La verità è che è in corso una presa di coscienza generalizzata — e una transizione finanziaria ed economica — verso un’economia più attenta e resiliente verso i temi ESG. La scienza ha senza alcun dubbio evidenziato i rischi strutturali che il riscaldamento globale pone per la società e gli investitori. E non si può negare che ci sia molto di buono da ottenere lavorando sul sociale – si pensi al vasto tema delle disuguaglianze – e sulla governance delle imprese.
Perciò, posto che il mondo si muove in larga parte grazie al denaro, “investire ESG” significa convogliare i flussi di risparmio nella direzione più giusta secondo i criteri di responsabilità ambientale, sociale, di governance. Per incentivare questo processo, esiste una normativa EU specifica (Sustainable Finance Disclosure Regulation, “SFDR”), che dal 2021 obbligherà gli intermediari a fornire un’informativa chiara sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari e sugli impatti in termini di performance e rischio. Insomma, sia la scienza che le istituzioni (europee e non) sono assai serie a riguardo.
Siccome da ogni cambiamento nascono opportunità, non è difficile convincersi che questo processo importante – non una moda passeggera, ma qualcosa che è qui per restare – sia un motore di crescita economica. E quindi di rendimenti interessanti. Ecco perché sempre più investitori in tutto il mondo stanno integrando i fattori ESG nelle loro strategie.
Ma le performance come sono?
Ovviamente non pretendo di dare risposte definitive (piuttosto rare quando si parla di mercati finanziari). Però vorrei portare qualche evidenza statisticamente robusta, analizzando la differenza di performance, sia “pura” sia aggiustata per il rischio, tra investimenti azionari ESG e non. (Poi un’altra volta cercherò di fare altrettanto per le obbligazioni.)
Consideriamo dieci anni di storia (dati settimanali, fonte Bloomberg) di due notissimi indici rappresentativi di altrettanti panieri azionari internazionali, uno con il bollino ESG, l’altro no. Parliamo dell’indice MSCI World ESG Leaders Index (per saperne di più), che raggruppa 757 società di tutto il mondo con un elevato rating ESG, e del suo “papà”, lo stra-noto MSCI World Index, costituito da oltre 1600 titoli di società large-cap e mid-cap di 23 Paesi Sviluppati.
La domanda è: in media, su un arco di tempo annuale, qual è la differenza di performance che mi posso attendere tra l’investimento ESG e quello tradizionale, cioè quant’è il “premio ESG”?
Ora, in base alla storia degli ultimi 10 anni, e tirando in ballo (ora non mollate e state con me) una delle più grandiose disuguaglianze della Teoria delle Probabilità, cioè quella di Čebyšëv, ci si può aspettare che il premio ESG sia compreso nell’intervallo -2,17% e +2,23% nel 75% dei casi – questo sotto ipotesi solidissime. Il dato non va letto facendo attenzione ai decimali, per carità, ma facendo invece caso al fatto che:
- è un intervallo di performance abbastanza stretto;
- è centrato più o meno sullo zero, anche se c’è una leggera asimmetria a favore degli investimenti ESG;
quindi NON aspettiamoci grandi differenze di performance tra investimenti ESG e non. Si noti che cambiando periodo i risultati non variano granché (ad esempio nell’ultimo quinquennio l’intervallo è -2,41% ÷ +2,59%, che per me è la stessa cosa).
Per andare ancora più sul sicuro, con un esercizio di simulazione basato sempre sui dati dell’ultimo decennio si può stimare l’intera distribuzione di probabilità del premio ESG: è la campana del grafico seguente. Come vedete i numeri sono piccoli, ma positivi. Quindi non dobbiamo aspettarci grandi differenze, ma è comunque più probabile che siano a favore degli investimenti ESG che non (idem nell’ultimo quinquennio, per la cronaca).
Infine, con una simulazione simile alla precedente, vediamo come si comporta la differenza di performance corretta per il rischio. Come metrica ne uso una molto popolare nel mondo degli investimenti, l’Information Ratio, cioè la differenza di performance divisa per la sua volatilità (che viene chiamata Tracking Error Volatility). Un numero positivo significa che il rischio ESG è (mediamente) remunerato. Vediamo il grafico seguente: come prima sono numeri piccoli, ma per lo più positivi. Significa che sulla base dei dati degli ultimi dieci anni gli investimenti ESG hanno una buona probabilità di aggiungere una fettina di valore rispetto a quelli tradizionali.
Tirando le somme
Sulla base di dati storici piuttosto rappresentativi potete stare tranquilli: se investite secondo principi ESG non state facendo beneficenza. Anzi, ci sono decenti probabilità di fare meglio che con investimenti tradizionali. Naturalmente, a parità di costi – ricordate che questi sono dati di indici, mentre i fondi comuni e gli altri prodotti di risparmio gestito possono presentare differenze di costo tra analoghi prodotti di tipo ESG e non – ergo consiglierei di leggere bene la documentazione informativa alla voce “Costi”.
Ovvio che alcuni settori e fattori non sono rappresentati negli investimenti ESG (es. armi e difesa), il che significa che a seconda del loro andamento, in futuro la dinamica degli investimenti ESG può essere diversa da quella di investimenti che contengono forti esposizioni a quei settori o fattori. Ma, vista l’imponente trasformazione dell’economia nel senso della sostenibilità, si può essere ottimisti, e pensare che un numero sempre maggiore di aziende di grande qualità e di tutti i tipi e settori rientrerà nei portafogli ESG: a tutto beneficio delle performance ottenute e del rischio sostenuto.
1 – La disuguaglianza di Čebyšëv vale per qualsiasi variabile aleatoria (cioè probabilistica) per cui siano semplicemente definite media e varianza: ipotesi frugalissima, che dà luogo a risultati assai robusti.
2 – È una tecnica di simulazione Monte Carlo interamente basata sui dati storici (cioè senza ipotesi aggiuntive) che si chiama block-bootstrap, che prevede di ricampionare tanti (10mila) possibili periodi di 12 mesi, per ciascuno stimandone il premio ESG, e poi ricavandone la distribuzione di probabilità del grafico.
roberto / Dicembre 3, 2020
Grazie per l’articolo, aspettavo da tempo il tuo punto di vista su questo continuo martellamento dell’ESG che avviene ovunque.
Avrei però preso in considerazione anche l’SRI, che a una prima occhiata mi sembra si discacchi di più dal classico world.
Bisogna anche considerare che se il trend è quello, le capitalizzazioni di queste aziende aumenteranno e ribilanciamento dopo ribilanciamento saliranno di posizione riducendo il divario di performance con l’msci world. Mi sbaglio?
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