Siamo tutti d’accordo che così non possiamo andare avanti, tra consumo smodato delle risorse del pianeta ed emissione a manetta di gas serra che accelerano il riscaldamento globale in corso. E no, non sono fantasie “gretiane”. O “gretine”, come motteggia qualcuno credendosi molto brillante. Sono fatti, numeri, dati, segnali concreti e attuali. E c’è di buono che almeno gli investitori – a tutti i livelli – ne sono sempre più consapevoli.
O, almeno, così ci dicono diverse indagini. Che però evidenziano anche come tra il dirsi consapevoli e l’agire, di conseguenza, ci sia di mezzo non il mare, ma un oceano proprio.
Risultato? L’ESG è bello, ma non ci vivrei. Non ancora, almeno. Perché, in fondo, non è ancora chiarissimo cosa ci sia dentro questa sigla. Come segnalava qualche settimana fa Andrea Alemanno, senior client officer di IPSOS, nel corso del convegno online “Private Banking: facciamo emergere il futuro”1.
ESG, una sigla che ai più suona ancora inaccessibile
Nell’ambito del convegno è stato presentato il Rapporto AIPB-Capital Group, realizzato da IPSOS, intitolato “Il mondo dopo la pandemia, una roadmap per l’Italia”2.
Fra le altre cose, ci si è chiesti: qual è la percezione degli investimenti socialmente responsabili, quelli cioè che tengono nella dovuta considerazione la tutela dell’ambiente, lo sviluppo della società e la buona gestione delle aziende?
La risposta a questa domanda ha dato conto degli umori e delle percezioni della clientela private, quella cioè il cui patrimonio vale almeno mezzo milione di euro. Ma gli spunti possono valere anche per l’investitore che private non è. Per esempio, quando si dice che ai più la sigla ESG appare ancora un poco aliena.
Eppure, è chiara la necessità di diventare tutti “sostenibili”
Il cliente private, ha spiegato Alemanno, vede un futuro sostenibile: gli è chiaro, specialmente se è un imprenditore, che seguire questa direzione oggi è particolarmente importante. Eppure, le tre lettere – ESG – stanno arrancando un po’.
Di ESG vi abbiamo parlato tante volte, e con l’occasione vi abbiamo spiegato che le tre lettere stanno per:
• Environment, che in inglese significa “ambiente”;
• Social, che si riferisce al benessere degli attori sociali – comunità locali e via dicendo;
• Governance, che attiene invece alla buona gestione aziendale.
Praticamente, investire secondo i criteri ESG – per esempio, in un fondo comune o in un ETF nella cui costruzione è stato applicato questo peculiare filtro – vuol dire privilegiare la presenza nel proprio portafoglio di aziende che, oltre a presentare una buona performance finanziaria, hanno un punteggio notevole in quanto a responsabilità ambientale, sociale e gestionale.
Come vi abbiamo detto una volta3, sembra che le società con i più alti punteggi ESG siano anche le migliori in termini di fondamentali e di strategia, quelle che negli anni tendono ad avere migliori performance . Quindi, secondo questa lettura, investire secondo criteri ESG conviene perché significa mettersi in portafoglio le aziende più redditizie sotto tutti i punti di vista.
Tutto molto bello. E allora perché l’ESG come tema e come opzione d’investimento scalda ancora così poco?
Non è tanto quel che ti dico, ma come te lo dico
Sì, esatto. C’è un problema di comunicazione. Siamo di fronte a un tipo d’investimento che, come ha spiegato Alemanno, “parla di futuro, di lungo periodo: è un investimento in cui c’è una finalità che va oltre quella finanziaria, che pure è importante. Consente insomma di avere una prospettiva più ampia”.
E dall’altra parte c’è un cliente private – ma, come detto, ciò che stiamo per dire può suonare familiare anche all’investitore retail – che avverte di avere un ruolo sociale in un momento complesso. Quando però si va nello specifico dell’ESG, tutto questo non si tramuta in una vera spinta, in un interesse forte.
Perché? In primis perché non risulta chiaro l’impatto di questo tipo di investimenti. Sì, sono investimenti che certamente ce l’hanno un impatto, ma sia da consumatore sia in qualità di investitore il cliente private associa alle sue scelte sostenibili una capacità d’impatto abbastanza bassa, o comunque non evidentissima. Andrebbe resa molto più evidente, ecco. Come?
Rifiuta il tuo nome o, se non vuoi, io non sarò più sostenibile
Gli investimenti che guardano alla sostenibilità del nostro futuro hanno un nome che non rimanda alla finalità. “Hanno un nome che racconta la macchina”, ha detto Alemanno. “In un certo senso, è come se io dovessi fare un viaggio e mi si spiega come è fatta la locomotiva” e non – aggiungiamo noi – la destinazione. E invece – pensa un po’ – nel momento in cui la finalità è più chiara, l’interesse dichiarato sale notevolmente.
Ecco come cambiano le risposte ponendo la medesima domanda in tre modi diversi.
Come fa notare Alemanno, parlando di ESG e non, per esempio, di investimenti etici e di progetti benefici chiari, “noi ci perdiamo un 30% di interesse”.
Eppure, l’interesse c’è: l’investitore è interessato ad avere in portafoglio prodotti che possano contribuire a ridurre il rischio di cambiamento climatico, a supportare lo sviluppo del mondo, che siano etici e via dicendo.
In conclusione: “Gli ESG devono essere raccontati nelle loro finalità, perché hanno la possibilità di contribuire in positivo – molto più di quanto fanno adesso – al benessere dell’investitore e della società stessa”. Siete tutti d’accordo?
1. Private Banking: facciamo emergere il futuro.
2. Il convegno si è svolto il 30 marzo e ha visto la partecipazione di Saverio Perissinotto e Antonella Massari, rispettivamente vicepresidente e segretario generale di AIPB, Matteo Astolfi, managing director di Capital Group, e per l’appunto Alemanno di Ipsos. Conduzione affidata al direttore del mensile Advisor, Francesco D’Arco.
3. L’investimento sostenibile rende?
Mario / Maggio 24, 2021
Buongiorno,
non mi è chiaro come possano essere competitive le imprese “ambientaliste” che internalizzano spese che da altre aziende sono considerate esternalità. Non vorrei che ci fosse una inversione di causa-effetto in quanto scritto nell’articolo: sono le imprese con buoni fondamentali (per buona gestione storica o buon business di base) a potersi permettere di dichiararsi etiche mantenendo comunque un margine competitivo e guadagnanode in ritorno di immagine, ma probabilmente non in competitività diretta. Siamo sicuri che la sostenibilità ambientale sia sostenibile economicamente? O è un gioco che sta in piedi solo se a giocarlo sono quei pochi che possono permettersi di “investire” una parte del margine per comprarsi una immagine etica?
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Maria Paulucci / Autore / Maggio 25, 2021
Buongiorno!
Abbiamo provato a rispondere a queste domande in diversi nostri post. Tra tutti, le segnalo questo, a cura di Raffaele Zenti, che è sempre estremamente rigoroso nelle sue analisi.
https://www.adviseonly.com/capire-la-finanza/finanza-personale/esg-marketing-beneficenza-o-performance/
Un altro post molto interessante è quello citato nel testo, ossia https://www.adviseonly.com/capire-la-finanza/finanza-personale/strategie-esg-sotto-la-lente-linvestimento-sostenibile-paga/.
Al momento, non mi sento di aggiungere altro rispetto a quanto già scritto da Zenti! Ma sicuramente il tema non si esaurisce qui e torneremo a occuparcene.
Intanto grazie, un saluto e buona giornata!
Maria
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