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Dracula ama le gestioni patrimoniali

“Benvenuto in mia casa.

Entrate e lasciate un po’ della felicità che recate”

Dracula di Bram Stoker

Chiariamo una cosa, subito: non ho niente contro le gestioni patrimoniali, le cosiddette “GP”.
Ce ne sono di ottime (e non lo dico ironicamente).

È solo che sono in giro ormai da un po’ a seguire robe di finanza, e di GP ne ho viste parecchie. Da dentro. E, ciurma, molte non erano ottime. Per niente. E ne parlai già tempo fa.

Gestioni patrimoniali personalizzate

La prima cosa che mi ha sempre lasciato perplesso, perplessissimo quando ero un’anima innocente, è questa: in teoria, le gestioni patrimoniali sono soluzioni personalizzate, sono investimenti ritagliati perfettamente a misura dell’investitore. Quindi, com’è logico, tendono a costare più di un fondo comune. Proprio come un vestito su misura costa più di uno “confezionato”. Questa la teoria, OK? In pratica, invece, specie per la clientela con patrimoni medi e piccoli, le GP sono standardizzate. Cioè si basano su portafogli “modello”, uguali per tutti quelli che afferiscono a quella linea della GP. Allora dov’è la differenza sostanziale con un fondo comune? Questa è la domanda delle domande.

Qualcosa non torna

Le GP sanno scatenare gli istinti più barbari dell’industria del risparmio. Ho visto “gestire” per anni e anni delle GP investendo nei principali titoli di un fondo comune con caratteristiche simili alla GP (ma venduto a commissioni più basse). Cioè clonandolo. Ma clonandolo male: con molti meno titoli. Dichiarando comunque al cliente boccalone che era una gestione su misura. Peccato che la personalizzazione consistesse in più costi e meno diversificazione (i gestori di quella blasonata SGR secondo me stanno ancora ridendo adesso). Ma vuoi mettere poter dire che la gestione era individuale e personalizzata? Sì, vero, la GP rende possibile un po’ di ottimizzazione fiscale, ma bisogna sempre vedere a che prezzo (in termini di commissioni pagate) la si ottiene. Qualche pignolo dirà che ci sono le “istruzioni particolari”… cioè, se volete per esempio aggiungere al portafoglio modello un’azione, perché era posseduta già dal nonno e siete affezionatissimi, essa non sarà rigettata dalla GP come un corpo estraneo, bensì potrete tenerla: figata.

Poi la mazzata. Il solito destino cinico e baro ha calato la scure sulle GP: una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che decretava che i servizi di gestione individuale di portafogli titoli non sono considerati esenti da IVA, bensì assoggettati all’imposta con l’aliquota ordinaria. E così è arrivata l’IVA sulle commissioni pagate dalle gestioni patrimoniali: paghi X di commissioni all’anno, e su quell’X ci paghi pure l’IVA al 22%. Un po’ di costi in più per il cliente. Cosa che non è stata accolta benissimo.

Le GP sembravano quindi destinate a emulare i dinosauri: condannate a un’inesorabile estinzione.
Invece no. Perché più che a un dinosauro, assomigliano a un vampiro.

Come Nosferatu, aspettavano solo il momento propizio per risollevarsi. E quel momento è segnato dall’entrata in vigore di una legge, la MIFID 2.

Ecco la poco edificante storia.

 

 

Il nodo delle commissioni

Da gennaio 2018 è entrata in vigore la normativa comunitaria MiFID 2, che obbligherà banche e reti di promotori a comunicare chiaramente al cliente:

  • quali sono i costi legati alla gestione vera e propria;
  • quali sono i costi legati alla consulenza.

Già, perché dalla Prima Era del risparmio gestito fino ad oggi, quando un cliente compra un fondo comune, o roba simile, chi glielo vende generalmente s’inguatta una fetta cicciottella delle commissioni di gestione: si tratta dei “rebates”, o “inducements”. Largo circa, due terzi delle commissioni finiscono a chi vende. Bella lì. Non scandalizzatevi, perché il grosso delle commissioni su cui si regge l’industria del risparmio gestito in Italia ha questa origine, e su questo blog se ne è parlato un bel po’. Poi c’è la commissione di performance, di solito intorno al 10% o 20%, cioè la società si prende una fetta (il 10%-20%).

Ma con l’odiata (da banche e reti) MiFID 2 arriva la fine del giochino: la remunerazione di chi vende il prodotto deve essere legata a un’attività di “consulenza”. E il costo di tale consulenza, recita MiFID 2, deve essere ben distinto al cliente rispetto a quello della gestione, che è un’altra cosa. I clienti si domanderanno, nell’ordine, se ricevono davvero una consulenza, e che consulenza ricevono, per pagare tutti quei soldi ogni anno. Non è un caso se i promotori finanziari ora si fanno chiamare “consulenti finanziari”. L’abito fa il monaco e il nome fa il consulente finanziario.

Il punto più ricco di spine dell’intera faccenda è dunque far digerire il costo della consulenza finanziaria ai clienti. Una volta ben distinto il costo, messo in chiaro e mostrato in tutta la sua tipica obesità, bè, capite che non è semplice. Perché la consulenza non la vuole pagare nessuno (specie quando è fumosa ma costosa: tipo 1% all’anno del proprio patrimonio investito quando va bene). Chiedete a qualche avvocato, architetto, o commercialista: passano metà del tempo a inseguire i clienti che non pagano le loro parcelle, che di fatto remunerano un’attività di consulenza. Figuriamoci con la consulenza finanziaria.

La rinascita delle gestioni patrimoniali

Ed ecco allora che, come un Principe della Notte, risorge e s’innalza l’istituto delle gestioni patrimoniali: con le GP non è necessario distinguere tra remunerazione della gestione e della consulenza. Bingo! Ma… perché? La chiave di volta del giochino è che il soggetto giuridico venditore della GP è anche gestore, e la commissione di gestione rimane in capo a questo soggetto: non c’è bisogno di alcun rapporto di consulenza con il cliente, che pagherà un’unica commissione, che potrà restare alta e oscura come sempre. Le commissioni sono salve: il sangue continuerà ad arrivare. E se il cliente non è particolarmente informato e tignoso, non porrà domande imbarazzanti; continuerà a pagare, come sempre ha fatto, senza sapere esattamente per che cosa sta pagando: “occhio non vede, portafoglio non duole”. Probabilmente, il cliente sarà pure contento, perché sarà passato a un servizio di gestione “personalizzato”. L’importante è crederci, no?

Resta il fatto che, con una GP, la vostra banca o il vostro promotore avranno molti meno problemi a succhiare dal vostro portafoglio: voi sarete anestetizzati. Come sempre.

Perciò: se avete un portafoglio in fondi comuni, che magari è andato bene, e vi arriva di colpo la proposta di convertirlo in una bella gestione patrimoniale su misura per voi, ma proprio su misura (è un attimo, e il pensiero va alla cassa da morto), ciurma, ora sapete perché.

Lunga vita alle GP.


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