Mai come quando le Borse sono sui massimi occorre domandarsi quanto sia sostenibile la situazione. Qualche risposta può arrivare dal rapporto prezzo/utili.
È così: le Borse sono quasi tutte sui massimi – tranne Borsa Italiana (ah, il destino cinico e baro… o forse no, il destino non c’entra, c’entra solo una decadente provincia del mondo economico-finanziario). Fatto sta che, con gli indici azionari così radiosamente in alto, è lecito domandarsi con che probabilità scenderanno.
Un modo per tentare di capirlo consiste nel guardare al rapporto prezzo/utili. O price/earnings ratio, sincopato in P/E. Molto probabile che abbiate già sentito parlare di P/E, ad esempio qui su questo blog, visto che regolarmente tiriamo in ballo questa popolare metrica.
Due parole sul P/E ratio
Si tratta semplicemente di prendere gli utili di un titolo, e dividerli per il suo prezzo in Borsa.
Il P/E d’un indice azionario si ottiene aggregando i P/E dei titoli che lo compongono. Sicché, se un indice rappresenta bene un mercato intero, beh, allora avrete una metrica per capire se è caro oppure no. E se quel mercato ben rappresenta il mondo (e lo fa; se vi interessa capire, qui trovate fatti e numeri a riguardo), come nel caso degli Stati Uniti, allora possiamo trarre utili informazioni per investire.
L’interpretazione più ovvia del P/E è questa: quanto il mercato è disposto a pagare per unità di utili. Ma, se ci pensate, i prezzi di mercato riflettono già le aspettative degli operatori circa gli utili futuri. Quindi, un’interpretazione più fine del P/E è: misura il livello di ottimismo/pessimismo del mercato circa la crescita futura degli utili. Infatti, se il P/E è molto alto, significa che il mercato s’aspetta grandi cose. E se invece non accade nulla di grandioso, beh, le aspettative si ridimensionano, provocando una discesa dei prezzi in Borsa. Ovviamente, in caso di P/E basso, il ragionamento funziona in modo inverso.
Il mercato è caro oppure no?
Ebbene, l’ultimo valore del P/E statunitense, calcolato alla maniera dei leggendari Graham & Dodd[1], è 22,3. È tanto o poco? Considerando l’indice statunitense S&P 500 dal 1959 (cioè da quando su Bloomberg sono disponibili gli utili) ad oggi, la media è 19,2 e la mediana è 18,9. Dunque, storicamente, il valore centrale per il P/E statunitense è intorno a 19. Oggi, invece, è un po’ più alto. Va detto che nel 50% dei casi, il P/E è stato compreso tra 14,9 e 22,5, intervallo che include il valore odierno. Il minimo e il massimo, poi, sono stati rispettivamente un ridicolo 8,3 e un esecrabile 37,8. Se pensate che negli ultimi tempi le cose siano cambiate sostanzialmente (“this time is different“), mi spiace, ma i numeri vi danno contro: la media dei P/E negli ultimi 10 anni (dal 2007 ad oggi) è 19, più o meno come quella di lungo periodo. Quindi, riassumendo: oggi il mercato azionario è leggermente caro, ma non troppo lontano dalle medie di lungo (e di medio) periodo.
Prospettive di Borsa
Un esercizio interessante consiste nel mettere in relazione il valore del P/E con i rendimenti di Borsa negli anni successivi alla rilevazione del P/E. Ecco, utilizzando tutta la storia disponibile, questa è la relazione tra P/E e rendimenti nei 5 anni successivi.
La relazione non è propriamente “pulitissima” a livello statistico, ma l’idea centrale è chiara: quando il P/E è basso, è probabile che nel quinquennio successivo la performance del mercato sia buona. E viceversa, quando il P/E è alto. Focalizzandoci su un periodo più recente, cioè analizzando i dati dal 2000, la relazione è molto più netta.
Per mettere in prospettiva l’attuale situazione alla luce della storia, basta cercare sull’asse orizzontale valori vicini al P/E corrente (diciamo compresi tra 21 e 24, per stare un po’ larghi) e vedere quali performance si sono verificate successivamente. L’intervallo tra 21 e 24 corrisponde – che iella – alla zona di massima indeterminatezza: utilizzando l’intero campione, viene fuori un rendimento medio a 5 anni pari 38,8% sul quinquennio (+6,8% su base annua), mentre utilizzando i dati dal 2000, emerge un rendimento del -3,3% a 5 anni (-0,67% su base annua). Ripetendo l’esercizio ruminando i dati storici in modo un filo più rigoroso, si può ottenere uno scenario probabilistico di rendimento per l’S&P 500 da qui a 5 anni – ho felicemente utilizzato una robust regression per stimare la relazione tra P/E e rendimenti futuri, e poi, tramite una simulazione Monte Carlo, ho generato 20mila scenari possibili, tenendo conto dell’incertezza nella stima dei parametri della regressione. Il tutto partendo dal livello corrente del P/E (come sempre, scrivetemi, se volete dettagli – ero tentato di aggiungerli in nota, poi ho sentito una voce che diceva “segui la Forza…” e ho lasciato perdere).
Dalla simulazione emerge che nel 90% dei casi ci possiamo aspettare rendimenti medi annui compresi tra -11% e + 16%, nel 50% dei casi compresi tra 0% e 10,5%, con un valore mediano di 5,9%. Insomma: si può essere discretamente ottimisti, ma sempre pronti ad attendersi il peggio. Notate infatti dal grafico come la distribuzione di probabilità sia asimmetrica in modo inquietante, stiracchiandosi a sinistra verso perdite affilate.
La valutazione del mercato azionario non è certo riconducibile a una singola metrica. Molte sono le variabili che intervengono. Tuttavia, analizzando anche solo il P/E, emerge quanto la situazione attuale sia incerta. Infatti, diversamente da quando indici fondamentali come il P/E si trovano su livelli estremi, cioè molto alti o molto bassi, oggi il livello dei fondamentali è compatibile sia con evoluzioni positive che negative della Borsa.
Va anche detto che i livelli attuali sono sensibilmente lontani dagli estremi superiori, spesso utilizzati per identificare “bolle speculative”. Cioè: non siamo nel mezzo di una bolla azionaria.
Quindi, se non si manifesteranno shock (ecco alcuni graziosi candidati: elezioni in Francia, problemi con il debito greco, in generale rischi legati all’Eurozona, Trump… tutte variabili completamente fuori controllo) tali da indurre gli operatori a vendere massivamente, iniziando una fase di risk-off, il buon trend del mercato azionario ha decenti basi fondamentali per proseguire.
[1] Il P/E è un indicatore semplice, ma ci sono molti modi per calcolarlo (un po’ come ci sono innumerevole ricette per la pasta frolla o il ragù). Molti considerano semplicemente gli utili dell’ultimo anno, dividendo per il prezzo in Borsa. Altri utilizzano gli utili attesi dagli analisti per l’anno successivo. Alti ancora effettuano una media tra attese e dati storici. La metodologia di Graham & Dodd – quella che utilizziamo qui in AdviseOnly – considera invece una media degli utili storici degli ultimi 5-10 anni, per cercare di depurare un po’ gli utili dall’effetto del ciclo economico.
Le valutazioni sul rapporto P/E sono solo alcune di quelle su cui si basa il nostro team per costruire i portafogli.
Stefano / Marzo 1, 2017
Grazie per l’articolo molto interessate.
Avrei una domanda:relativamente agli utili della società (ovvero la E nel rapporto) si considerano gli utili dell’ultimo bilancio d’esercizio approvato o, in corso d’anno, si vanno a condierare gli ultimi 4 trimestri? Ad esempio, se calcolo un P/E a ottobre 2016, prendo il risultato del bilancio a fine 2015 o prendo la somma del risulato dell’ultima trimestrale e delle tre precedenti?
Relativamente agli interi indici borsistici invece, a sua conoscenza, ci sono siti non a pagamento che espongono dei P/E affidabili?
La ringrazio
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Raffaele Zenti / Marzo 1, 2017
Come scrivo nel post, qui la “E” del P/E è la media a 5 anni (5 x 12 = 60 dati mensili) dei “Trailing12M Earnings”, che a loro volta sono gli Earnings degli ultimi 12 mesi. Intesi come somma dei quattro trimestri precedenti, “rolling”.
Quanto a P/E affidabili gratuiti, beh, partigianamente non posso che iniziare dalla nostra “Mappa dei mercati” (che trova qui:https://www.adviseonly.com/financial-markets ), dove trova gli Earning Yield (EY) di fonte Morningstar per i vari Paesi, cioè il reciproco del P/E (EY = E/P), con ovviamente lo stesso contenuto informativo dei P/E, ma interpretazione inversa (P/E alto corrisponde a EY basso, e viceversa).
Poi, senza pretesa di completezza, ecco altre risorse:
http://data.okfn.org/data/core/s-and-p-500
http://www.econ.yale.edu/~shiller/data.htm
http://perda.net/
Ne esisteranno senz’altro altri.
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vincenzo / Giugno 14, 2017
Ciao Raffaele,
studio molto interessante.
due osservazioni:
1)il P/E di G&D si basa semplicemente sulla media degli utili a 5 anni?
In poche parole è come quello di Shiller con l’unica differenza che quest’ultimo considera la media degli ultimi 10 anni.
O il P/E di G&D si rifà alla versione originaria ovvero che considera solo determinate società individuate sulla base di una serie di parametri?
2) poichè in questi giorni si è ritornato a parlare di una possibile bolla sui tecnologici avrebbe senso fare un lavoro del genere sul Nasdaq?
grazie,
Vincenzo
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Raffaele Zenti / Giugno 14, 2017
1) Sì, sono 5 anni.
2) Sì ha senso, è un bello spunto questo che mi dai (grazie); la settimana prossima vedo di fare qualcosa in merito.
Ciao
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vincenzo / Giugno 14, 2017
grazie a te!
allora attendo la pubblicazione del tuo lavoro sul Nasdaq. Sono proprio curioso di vedere cosa esce fuori! 😉
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Massimo Vicari / Settembre 1, 2017
Ciao Raffaele! Sarebbe interessante fare lo stesso con gli utili operativi, ma temo che trovare i dati sia alquanto complesso…
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Raffaele Zenti / Settembre 1, 2017
Concordo.
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