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Aumenti di capitale delle banche. Cosa deve sapere il risparmiatore (e il cittadino)?

Aumento di capitale MPS e Unicredit
Quando le cose si mettono male, l’aumento di capitale è spesso l’unica via percorribile. Ma altrettanto spesso non è una scelta indolore.

Il caso UniCredit

Negli ultimi mesi gli aumenti di capitale delle banche europee hanno polarizzato l’attenzione degli investitori. In particolare in Italia abbiamo assistito ad una imponente operazione sul capitale di Unicredit, che si propone di raccogliere nuove risorse per ben 7,5 miliardi di euro.

Come probabilmente ricorderete l’annuncio di questa operazione fece tremare i polsi a più di un investitore, di seguito allego il grafico dell’andamento del prezzo delle azioni Unicredit in prossimità dell’annuncio. Come vedete il prezzo è crollato nei primi giorni del 2012 (clicca per ingrandire):

Sembra che il mercato abbia ormai digerito l’aumento, tuttavia nel pieno della bufera molti si chiedevano se il management di Unicredit avesse fatto la cosa giusta.

Aumento di capitale sì, ma perché?

La prima domanda che sorge spontanea è “perché le banche hanno bisogno di fare questi aumenti di capitale giganteschi”? Le risposte sono le seguenti.

  1. Le Autorità di vigilanza raccomandano che le banche abbiano maggiore patrimonio per essere più sicure e per evitare che in futuro i governi debbano ancora spendere i soldi dei contribuenti per salvarle.
  2. La situazione di crisi in cui versano molti settori economici porta ad un aumento delle perdite su crediti, cioè ci sono più clienti che non riescono/vogliono pagare la rata del mutuo. Quando una banca ha un credito che diventa difficilmente esigibile deve costituire delle riserve di capitale.
  3. L’EBA (European Banking Authority) ha analizzato le banche europee ed ha rilevato che, per raggiungere un adeguato livello di capitale, molte di esse dovrebbero fare consistenti aumenti di capitale, in particolare le banche dei paesi periferici (vedi punto seguente)
  4. Le banche europee hanno le pance piene di titoli di Stato di Paesi periferici, come sappiamo tali titoli dei cosiddetti PIIGS hanno perso valore. Le regole contabili attuali richiedono che, a fronte di perdite del valore di titoli presenti nei propri portafogli, esse possano non dichiarare le perdite ma debbano parimenti costituire delle riserve patrimoniali a copertura delle perdite stesse.

Il problema delle perdite…

L’ultimo punto è particolarmente rilevante perché toglie di scena una fonte notevole di domanda per i BTP. Storicamente le tesorerie bancarie sono state sempre “ghiotte” di titoli di Stato italiano dato che costituivano un eccellente “parcheggio” per la liquidità. Se però le riserve di titoli di Stato cominciano a perdere valore erodendo il capitale,  le banche non comprano più titoli di Stato, ne consegue che una fondamentale componente di domanda alle Aste del Tesoro viene meno e dunque i prezzi scendono, quindi le banche perdono ancora più capitale e così via…
Come spesso abbiamo visto in questa crisi, ci troviamo di fronte ad un classico meccanismo circolare cioè del “cane che si morde la coda”.

LTRO per tutti

A questo problema ha parzialmente messo una pezza la BCE che, con le operazioni di rifinanziamento a 3 anni (le cosiddette LTRO, acronimo di Long Term Refinancing Operation), ha permesso alle banche di tirare un bel sospirone di sollievo. Nel biennio 2012-2013 le banche europee si trovano a fronteggiare una massiccia ondata di scadenze di proprie obbligazioni collocate presso investitori istituzionali e presso la propria clientela. Ora, gli investitori istituzionali non ne vogliono più sapere di sottoscrivere obbligazioni emesse da banche dei paesi “PIIGS e gli investitori al dettaglio sono terrorizzati e tengono i propri soldi sul conto corrente. Ne consegue che, a fronte delle scadenze, le banche non sono più in grado di emettere nuove obbligazioni, cioè nel 2011 una componente fondamentale della raccolta bancaria è di fatto svanita nel nulla. Prima che la BCE intervenisse le banche dei Paesi periferici si stavano preparando ad “andare in apnea” , cioè fuor di metafora, mettersi in un regime di autarchia nel quale di fatto non si concedeva più nuovo credito e si razionavano le fonti di raccolta come merce scarsa.

La BCE ha sempre fatto operazioni di finanziamento alle banche, ma stavolta ha fatto qualcosa di nuovo e di più importante. Normalmente la BCE dava soldi alle banche per periodi piuttosto brevi (tra 7 e 30 giorni) e a patto che le banche dessero a garanzia dei titoli di Stato. La novità delle recenti operazioni è che le Banche possono emettere titoli propri, richiedere la garanzia dallo Stato che costa 1,30% all’anno (che vuol dire che se la banca fallisce ci pensa lo Stato a pagare le obbligazioni), prendere i soldi all’1% dalla BCE per 3 anni e per tutto l’ammontare necessario dando a garanzia i titoli di propria emissione con la garanzia statale.

In totale la banca paga 2,30% i fondi per 3 anni mentre, se avesse dovuto raccoglierli sul mercato, le sarebbero costati almeno il 5% (nel caso di una banca italiana) ed avrebbe potuto raccogliere ammontari esigui.

L’operazione di fine 2011 ha immesso nel mercato poco meno di 500 miliardi per 3 anni, di cui circa 115 miliardi  in Italia. Capite bene che un tesoriere che si vede arrivare sui propri conti svariati miliardi di euro che gli costano 2,30% cercherà di non depositarli sul conto della BCE allo 0,25% ma tornerà a comprare titoli di Stato a breve nell’attesa di prestarli alla clientela. Ciò spiega la discesa dei rendimenti sui titoli di stato italiani a breve da fine 2011 ad oggi (vedi grafico del rendimento del BTP a 2 anni sotto riportato).

L’aumento di capitale non è un pasto gratis

Malgrado il peggio sembri essere passato, le oscillazioni di prezzo selvagge che l’annuncio dell’aumento di capitale Unicredit ha indotto sulle azioni bancarie, hanno lasciato il segno nella mente dei banchieri ed oggi tutti gli istituti di credito che avevano in programma di fare aumenti di capitale stanno studiando metodi alternativi per migliorare il rapporto tra capitale e dimensione del proprio bilancio e cioè:

  1. dismettere attivi e/o ricomprare proprio debito;
  2. trattenere utili per incrementare le riserve di capitale;
  3. erogare meno credito di quello in scadenza;
  4. realizzare operazioni societarie per liberare crediti di imposta.

Insomma i banchieri stanno lambiccandosi il cervello per trovare sistemi per aumentare il capitale senza dovere mettere le mani nelle tasche degli azionisti, in primis sottoponendo gli istituti di credito a cure dimagranti forzate. Se ci riusciranno o meno lo vedremo; sicuramente per un bel po’ di tempo il credito costerà molto più caro di prima della crisi e questo si farà sentire sul tasso di crescita dell’economia. A ben pensarci, però, non è detto che questo sia necessariamente un male: infatti abbiamo visto che una crescita drogata dal credito facile spesso riserva brutte sorprese – per cui un mondo in cui la crescita si attesti magari su livelli più bassi ma più sostenibili nel lungo periodo potrebbe non essere una cosa totalmente negativa.


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