Anche tu sei nato negli anni ’80 e ’90? Diciamo la verità, la nostra generazione non è proprio stata baciata dalla fortuna: come sappiamo non è facilissimo trovare un lavoro stabile, nessuno ha capito i nostri bisogni in termini di consumo (per ora ci hanno solo appioppato il termine Millennials) ma, soprattutto, (quasi) nessuno ci dice la grande verità: per noi sarà molto difficile anche ottenere una pensione.
“Le persone nate nel 1980 dovranno lavorare più a lungo, anche fino a 75 anni! E prenderanno una pensione che in media sarà inferiore del 25% rispetto a quella percepita dalla generazione del 1945”. Ha fatto scalpore il recente intervento del presidente dell’Inps, Tito Boeri, che non ha usato giri di parole per richiamare l’attenzione sul tema del sistema pensionistico italiano, profondamente trasformato dalla riforma Fornero del 2011.
Del resto l’allarmismo pare giustificato, almeno stando alle proiezioni dell’Inps, che ha realizzato una simulazione su un campione di 5.000 soggetti nati nel 1980 supponendo che nei prossimi anni l’Italia crescerà in linea con le previsioni del Def fino al 2019 e, successivamente, a un ritmo dell’1% all’anno.
Ebbene, in base a questi calcoli chi andrà in pensione nel 2050 – all’età di 70 anni – percepirà in media 1.593 euro al mese, contro i 1.703 di chi è andato in pensione nel 2014, tra l’altro a un’età media molto più bassa (tre su quattro prima dei 60 anni).
Una nota metodologica: i dati, per quanto riguarda i nati nel 1980, si riferiscono a lavoratori dipendenti uomini con interruzioni di carriera dovute a motivi familiari o disoccupazione: questi “buchi contributivi” sono tendenzialmente più lunghi per le donne e, come ha rilevato anche Ocse, influenzano direttamente e in modo negativo i redditi da pensione.
Va considerato poi che i 35enni di oggi prenderanno la pensione per meno tempo, dato che inizieranno a percepirla quando saranno più avanti con l’età rispetto alla generazione precedente. Tenendo conto di questo aspetto, Inps ha calcolato un “importo comparabile”, secondo cui il valore medio della pensione di oggi non è più di 1.703 euro, ma sale a 2.106 euro, cioè un quarto in più rispetto alla pensione futura stimata per la classe 1980.
Nel corso del suo intervento in occasione della presentazione del rapporto Ocse “Pensions at a Glance 2015“, Boeri ha anche evidenziato come ad oggi, in media, in redditi dei pensionati abbiano retto meglio alla crisi rispetto quelli dei lavoratori, il che si riflette in un incremento della povertà tra le fasce più giovani della popolazione. Inoltre con il passaggio ad un sistema pienamente contributivo, ha evidenziato ancora il numero uno dell’Inps, chi perderà il lavoro prima dei 70 anni dopo carriere a salari bassi, potrebbe andare incontro a problemi di sostenibilità se non verranno introdotti meccanismi di sostegno come il reddito minimo.
Alla denuncia di Boeri si aggiungono poi le rilevazioni dell’Ocse. Nel rapporto presentato a fine 2015 l’Organizzazione riconosce i passi avanti compiuti dall’Italia nel ridurre la spesa per le pensioni: “la rapida transizione verso il sistema contributivo nazionale per tutti i lavoratori dal gennaio 2012, l’aumento dell’età del pensionamento e la sua equiparazione per uomini e donne permetteranno all’Italia di ridurre la spesa pubblica per pensioni di circa 2 punti di PIL di qui al 2060, rispetto a una riduzione media di 0,1% nell’Unione Europea”, si legge nel report.
La strada da percorrere è, però, ancora lunga evidenzia ancora l’Organizzazione: basti pensare che nel Belpaese le pensioni pubbliche “hanno assorbito 15,7% del PIL in media durante il periodo 2010-2015, il secondo valore più elevato tra i paesi Ocse”. E “alcuni cambiamenti recenti”, insieme alla bassa crescita economica e al mercato del lavoro sotto pressione, “potrebbero rallentare la riduzione della spesa pensionistica con un effetto negativo sulla sua sostenibilità finanziaria”.
Anche Ocse rileva che ultimamente in Italia il rischio di povertà si è trasferito dagli anziani ai giovani: circa il 15% delle persone di età compresa tra i 18 e i 25 anni sono povere (con la povertà definita come la percentuale di persone con redditi al di sotto della metà del reddito mediano equivalente delle famiglie) rispetto al 9% per gli ultrasessantacinquenni (senza considerare il forte gap tra uomini e donne, a sfavore di queste ultime).
Secondo il rapporto Ocse dunque, la situazione italiana presenta alcuni aspetti positivi, ma anche diverse zone d’ombra. Se l’aumento dell’età pensionabile e il più stretto legame tra contributi e reddito da pensione hanno rafforzato la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico infatti, si rileva anche la necessità di promuovere carriere più complete e di maggior durata, oltre a un migliore equilibrio tra lavoro e vita familiare per ridurre le disuguaglianze nel mercato del lavoro. Certo si tratta di obiettivi non facilmente raggiungibili nel breve periodo, che vanno ben oltre le politiche pensionistiche.
Nel frattempo il consiglio di Ocse – e di AdviseOnly, che si associa all’esortazione – è quello di lavorare sull’educazione finanziaria, per migliorare la conoscenza degli individui in merito alla loro pensione attesa e alle “alternative fonti di reddito da pensione disponibili”.
In altre parole, lo ribadiamo: per non rischiare brutte sorprese in futuro, sarebbe bene tutelarsi fin da subito, ove possibile, utilizzando forme di previdenza complementari: Pac, Pip e fondi pensione sono parole che vi dicono qualcosa? In alternativa (o in aggiunta) a questi strumenti, c’è sempre la possibilità di optare per uno dei nostri portafogli Premium, per esempio il portafoglio “Obiettivo Pensione”.