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Perché spegniamo il cervello quando entriamo in banca?

C’era una volta…

C’era una volta la banca, la “mia” banca. Dove da piccolo andavo con mio padre e dove gli impiegati erano sempre in giacca & cravatta e avevano uno sguardo austero. Le donne, pochine per la verità, erano sempre impeccabili nei loro abiti sobri ed eleganti. Ricordo che quando passava il direttore tutti ammutolivano e calava una sorta di religioso silenzio. Non scorderò mai una coppia che vidi in un’agenzia del mio paesello: il marito era in abito scuro e cravatta e la moglie in abito quasi da sera… poco meno di un abbigliamento da prima della Scala: avevano un appuntamento col direttore.

Invece oggi…

Poi sono cresciuto e ho iniziato, oltre che ad andare in banca da solo, anche a vedere come le cose, in banca, siano cambiate. Gli imperturbabili impiegati non sono più in giacca & cravatta (questa è rimasta una prerogativa dei promotori finanziari e dei Bankers), ma in polo e jeans. Ogni tanto sbuca qualche tatuaggio dalle maniche arrotolate e un piercing all’orecchio. Le impiegate, invece, sono rimaste impeccabili nei loro abiti firmati, sempre abbinati alla immancabile Louis Vuitton. Anche il direttore è un po’ cambiato: oggi è un “giovane rampante intraprendente che fa passi da gigante nei debutti in società”. Ho poi ho iniziato a leggere “qualcosa di banca” e a guardare con occhio critico come si comportano bancari e banchieri (e i driver che muovono le loro azioni).

E i clienti come si comportano?

Ma mi sono anche interrogato sul comportamento di noi clienti quando andiamo in banca, su quello che cerchiamo e che vogliamo (posto di saperlo, per la verità). Oggi la cronaca ci racconta di scandali di piccole e grandi banche. Leggiamo le immancabili dichiarazioni di persone che, per cavalcare l’onda emotiva, si scagliano contro le banche. Come se tutta la colpa stesse da una sola parte. Provo a condividere, con chi vorrà continuare la lettura, una riflessione. È facile incolpare qualcuno quando le cose non vanno come vorremmo: nei tradimenti è sempre colpa del partner, così come la crisi economica è colpa del petrolio, della Sig.ra Merkel o di un Parlamento incapace (vedere il post su Adamo ed Eva).

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Come dare torto a chi la pensa in questo modo?

Ma vorrei chiedervi di fare un passo in avanti, una sorta di esercizio intellettuale: perché non accettiamo l’idea che possa essere anche colpa nostra se perdiamo i nostri risparmi? Proviamo a riflettere sugli investimenti finanziari. Come ci comportiamo? Ci fidiamo, è vero, del consulente/direttore/promotore e, così facendo, spegniamo il nostro cervello. Non abbiamo spirito critico e ci lasciamo guidare e condizionare dagli “incantatori di serpenti”. Spesso siamo estremamente avidi e ci basta sentire parlare di “rendimenti molto più alti di quelli resi dai BTP”, oppure di “rendimenti sicuri” per lanciarci in investimenti di cui, il più delle volte, poco capiamo (vorrei ricordare a chi ama i “rendimenti sicuri” che al mondo sono solo due le cose certe: la morte e le tasse, tutto il resto è discutibile).

Nessun pasto è gratis

Siamo spesso vittime di “giochini psicologici” volti a influenzare il nostro comportamento: e vi ricordo che ci sono corsi di formazione (fatti ai dipendenti bancari e ai promotori finanziari), in cui vengono spiegate le tecniche di vendita estremamente efficaci. Provate a riflettere su questo punto: nessuno di noi si sognerebbe di smontare il motore della propria auto (e di provare a rimontarlo) o di demolire (e provare a ricostruire) la propria casa solo perché ha letto un manualetto di fai-da-te. Al contrario molti di noi si sentono preparati per lanciarsi nel tumultuoso mare della finanza dopo aver sfogliato il bigino “Diventare ricco in Borsa con la meditazione zen” o “Il master chef di Wall Street”. Siamo avidi e non sopportiamo che il nostro vicino in ufficio guadagni in Borsa quando noi a fatica sappiamo leggere il nostro estratto conto. E siamo ciechi: non ci rendiamo (meglio sarebbe dire che non vogliamo renderci) conto che se due titoli apparentemente simili offrono rendimenti completamente diversi, ci sarà pure un motivo: nessun pasto è gratis!

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In banca l’imperativo è vendere

Ci illudiamo di essere furbi: pensiamo di guadagnare scordandoci che i rendimenti sono sempre “attesi” (e a volte sperati), e che esiste il rovescio della medaglia, che si chiama rischio (in tutte le sue manifestazioni di cui spesso ignoriamo l’esistenza). Non dimentichiamo, poi, che oggi la banca è diventata una sorta di supermercato dove l’imperativo è vendere. E fingiamo di non capirlo. Ci lasciamo convincere dall’esperto (a volte uno pseudo esperto), dal direttore o dal promotore che ci fanno sentire importanti e ci lusingano (almeno finché abbiamo denaro da investire). Ma mi domando e vi domando: perché non vogliamo apprendere dalla storia? Perché gli scandali del passato sono stati dimenticati (o rimossi?) e da essi non abbiamo tratto alcun insegnamento? Perché, prima di firmare per l’acquisto di un fondo, di un’azione o di un’obbligazione, non ci pensiamo un momento e magari ne parliamo con qualcuno?

Perché siamo diffidenti su tutto ma della banca ci fidiamo ciecamente?

Dopo tutto quando dobbiamo cambiare il tavolo della cucina o montare le gomme invernali spendiamo ore a cercare la soluzione migliore. Invece, quando parliamo dei nostri risparmi ci affidiamo sempre e solo alla stessa banca, ci fidiamo ciecamente di chi ci troviamo di fronte, senza avere un minimo di spirito critico. Critichiamo tutto, dal maestro dell’asilo dei nostri figli, al Presidente del Consiglio, dall’allenatore della Nazionale alla politica monetaria di Mario Draghi. E non siamo capaci di avere un minimo di spirito critico nei confronti di chi ci propone delle soluzioni per investire i nostri risparmi? Non vi sembra un comportamento come minimo “originale”?

Facciamoci una piccola analisi di coscienza

Ecco perché penso che prima di accusare le banche dovremmo anzitutto valutare il nostro comportamento. Dopo tutto le banche “sfruttano” una nostra debolezza, come fanno i ristoratori che ti offrono il vino della casa (ma siamo sicuri che non sia un vino in cartone versano in un decanter?); o come fanno i commessi che, per farti comperare l’abito ti dicono che sembri una modella: peccato che l’abito sia una 38 e tu a stento entri in una 46! E noi cosa facciamo? Per tutelarci dal rischio di acquistare un abito che non metteremo mai, andiamo a comprarci un paio di pantaloni o un maglione accompagnati dalla fidanzata o dalla sorella (io almeno faccio così). Per poi fare cosa? Andare in banca da soli, senza protezioni. La cosa più misteriosa, dopo il Conclave, credo sia il comportamento del nostro cervello… Adesso vi lascio. Mi ha chiamato il mio promotore finanziario: dice di avere un titolo sicuro da propormi.

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Ultimi commenti
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    Bell’articolo. Fornisce una chiave di lettura chiara e ben argomentata.

    Troppo spesso, ci comportiamo come Pinocchio e cediamo alle lusinghe del Gatto e la Volpe.

    Ai libri e all’informazione, preferiamo il Paese dei Balocchi.

    Alla fine invochiamo la Fata Turchina, solo per accorgerci che, dalle favole alla realtà, gli unici che si materializzano, sono, appunto, il Gatto e la Volpe.

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