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Digitalizzazione, l’Italia ha ancora da lavorare. Almeno su cinque fronti

Non solo bocciati in matematica: gli italiani sono rimandati anche in materia di competenze digitali.

Secondo un report diffuso di recente dalla Commissione Europea, il Belpaese si piazza al 25esimo posto sul totale dei 28 stati membri nella classifica complessiva della competitività digitale, davanti soltanto a Romania (ultima), Bulgaria e Grecia. Sono invece i Paesi nordici (Danimarca, Olanda,  Svezia e Finlandia) a dominare il cosiddetto “Desi” (Digital Economy and Society Index), un indice che prende in esame cinque diversi fattori per analizzare la performance e l’evoluzione digitale dei Paesi dell’Ue: connettività, utilizzo di internet, capitale umano, integrazione della tecnologia digitale e digitalizzazione del settore pubblico.

C’è da dire che il report del 2016 inserisce l’Italia nel gruppo dei cosiddetti “catching up”, ovvero quei Paesi che, pur avendo ottenuto un punteggio totale inferiore alla media Ue, hanno registrato una crescita più rapida della media nel corso dell’anno appena concluso, per cui si presume che stiano progressivamente recuperando terreno (tra questi Paesi figurano anche Spagna, Croazia, Romania, Lettonia e Slovenia).

Il messaggio però è chiaro: per l’Italia la strada è ancora lunga. Tanto per cominciare è impensabile poter cogliere appieno i benefici della “digital economy” se ancora oggi un terzo del Paese stenta a usare Internet assiduamente e se a un buon 30% di questa già esigua fetta di utenti regolari mancano le conoscenze di base della “rete”.

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Fonte: The Digital Economy & Society Index

Ma a cosa è dovuta questa situazione?

Secondo il rapporto della Commissione Ue, i motivi vanno ricercati da un lato nella scarsa istruzione media degli italiani e dall’altro – correlato al primo – nell’elevata quota di popolazione in età avanzata. Inoltre, rileva lo studio, tra i giovani latitano i laureati in discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche (e “i conti tornano” se pensiamo che già alle scuole elementari e medie gli italiani tendono ad allontanarsi da queste materie…).

Quanto al tasso di connettività, che vede il Belpaese in penultima posizione, se la banda larga è ampiamente diffusa, la banda larga veloce non lo è altrettanto e la sua copertura progredisce troppo lentamente. In particolare, solo il 53% delle famiglie ha un abbonamento alla banda larga da dispositivi fissi (mentre sono più diffuse le connessioni da dispositivi mobili) ed è ancora troppo bassa la disponibilità di reti di ultima generazione in fibra ottica (Ngan): la percentuale di copertura è salita al 44% dal 36% del 2014, ma è ancora lontana dalla media europea (71%).

In termini di propensione all’utilizzo di Internet poi, l’Italia è ultima in classifica e segna addirittura un calo rispetto al 2014. Gli italiani ancora oggi stentano a usare la rete non solo per fare acquisti (39% degli individui tra i 16 e i 74 anni che hanno usato internet nell’ultimo anno, contro una media Ue del 65%) o per portare a termine transazioni bancarie (43% degli utenti tra 16 e 74 anni che hanno usato il web negli ultimi tre mesi dell’anno contro una media Ue del 57%), ma anche solo per leggere le news (57% contro una media Ue del 68%). Curiosamente invece gli italiani sono più avanti della media Ue nella fruizione di video, musica e giochi online.

Infine per quanto riguarda l’integrazione della tecnologia digitale da parte delle attività di business, l’Italia si posiziona 20esima. Certo non si può dire che le imprese nostrane stiano facendo grandi progressi nell’implementazione delle nuove tecnologie (come l’utilizzo dei social network, per citarne una), ma se non altro il canale dell’e-Commerce sta guadagnando lentamente importanza. La dimensione in cui l’Italia si posiziona meglio (17esimo posto) riguarda sorprendentemente la digitalizzazione dei servizi pubblici anche se, sottolinea Desi2016, c’è molto spazio per migliorare, soprattutto sul fronte del cosiddetto e-Government.

Il quadro insomma appare chiaro: la digitalizzazione dell’Italia è una storia in parte ancora da scrivere. Eppure la trasformazione è già in corso: occorre attrezzarsi per correre ai ripari.

Scritto da

La scrittura è sempre stata la sua passione. Laureata in Economia per le Arti, la Cultura e la Comunicazione all’Università Bocconi di Milano, è entrata nel mondo del giornalismo nel 2008 con uno stage in Reuters Italia e successivamente ha lavorato per l’agenzia di stampa Adnkronos e per il sito di Milano Finanza, dove ha iniziato a conoscere i meccanismi del web. All’inizio del 2011 è entrata in Blue Financial Communication, dove si è occupata dei contenuti del sito web Bluerating.com e ha scritto per il mensile Bluerating.

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    La gran parte delle public utilities, a partire da ENEL, per atti di una qualche rilevanza richiedono di comunicare via fax o raccomandata ar, ignorando mail e anche la posta certificata.E’ evidente che queste prasi scaricano sul sistema notevoli inefficienze: raramente un utente domestico ha un fax a disposizione e quindi genera code in Posta, oltre che costi. Andrebbe fatta una normativa ad hoc, visto che buon senso e sensibilizzazioni non servono a nulla. Mi piacerebbe poi sapere che fine ha fatto la posta certificata e perchè aziende come quelle citate non consentano al pubblico di comunicare con loro per tramite di questo strumento.

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