Non sono strumenti per tutti. Ma siccome ogni tanto se ne sente parlare, un’infarinatura male non fa. Stiamo parlando delle opzioni. Cosa sono e come funzionano? Sfogliando un vecchio dizionario o più attualmente googlando, leggiamo che l’opzione è una “libera scelta fra i due termini di un’alternativa”. Il che ci porta sulla strada delle opzioni di cui intendiamo parlare noi oggi.
Finanziariamente parlando, le opzioni sono strumenti derivati il cui valore è legato al prezzo di una attività sottostante. Tale attività può essere:
• reale: una materia prima, per esempio, come l’oro o il petrolio;
• finanziaria: un’azione, un’obbligazione, un indice, un tasso di cambio.
Di fatto, è un derivato proprio perché – diciamo così – il suo valore “deriva” dal valore del sottostante. Ed è una “opzione” perché offre la possibilità di scegliere tra due alternative: esercitare o non esercitare un diritto previamente acquisito. Come?
Per farla molto breve, funziona così. L’investitore X decide di comprare un’opzione. Per acquistarla, paga un premio. Tale premio gli garantirà il diritto – il diritto, attenzione, non l’obbligo – di comprare o vendere l’attività sottostante in una certa data (com’è il caso delle opzioni europee) o entro una certa data (come accade invece per le opzioni americane) e a un determinato prezzo d’esercizio, noto anche come strike price. Il prezzo d’esercizio – o strike price, appunto – è il prezzo al quale avverrà lo scambio e viene definito al momento della sottoscrizione del contratto.
Ma proviamo ad andare un po’ oltre.
Call o put: caratteristiche e differenze
Dicevamo: comprare o vendere. Sì, perché l’investitore X può comprarsi un’opzione che gli dà la possibilità di comperare oppure vendere, in una certa data o entro una certa data, un certo bene sottostante. Ed è qui che dobbiamo distinguere tra opzione call e opzione put.
• L’opzione call garantisce al sottoscrittore il diritto (ma non l’obbligo, ricordate?) di comprare l’attività sottostante (o di riceverne il corrispettivo in denaro, per esempio nel caso delle opzioni su indici). Alla scadenza (o prima della scadenza), esercitare il diritto d’acquisto avrà senso se in quel momento il prezzo del sottostante sarà superiore al prezzo di esercizio. Tipicamente, sottoscrive un’opzione call chi si aspetta un rialzo del valore del sottostante.
• L’opzione put, al contrario, garantisce al possessore il diritto di vendere a scadenza il sottostante. In questo caso, l’esercizio del diritto avrà senso se il prezzo del sottostante sarà più basso del prezzo strike. E infatti, generalmente l’opzione put è la scelta di chi si aspetta un ribasso del valore dell’attività sottostante (un po’ come nelle posizioni short, ma questa è un’altra storia).
In entrambi i casi, il profitto equivarrà alla differenza tra il prezzo di mercato e il prezzo d’esercizio, ma con una sostanziale differenza:
• con l’opzione call, l’investitore “vince” se il prezzo di mercato è superiore al prezzo di esercizio, perché alla scadenza si ritrova in tasca un sottostante a un prezzo già concordato che è più basso – e dunque più conveniente – rispetto al valore che il mercato individua in quel momento per quella attività;
• con l’opzione put, invece, l’investitore “vince” se il prezzo di mercato è più basso di quello di esercizio, dal momento che alla scadenza si trova a vendere l’attività a un prezzo più alto di quello che il mercato ritiene sia il più ragionevole e coerente in quella particolare fase.
Alla luce di quanto sopra spiegato, abbiamo che la call è un’opzione che consente di guadagnare se il mercato sale, mentre la put permette di guadagnare se al contrario il mercato scende. Tutto ciò, fermo restando il premio pagato per garantirsi l’opzione, che per l’investitore è un costo certo e imprescindibile.
Quindi l’opzione si può anche non esercitare?
Esattamente. Ma qui occorre operare un altro distinguo. In questo caso, tra chi compra l’opzione e chi invece la vende. Come ogni altro strumento finanziario, infatti, l’opzione si può scambiare. E in quanto oggetto di scambio, si può acquistare oppure cedere. Ora, chi la acquista si assicura il diritto di scegliere se fare o non fare una cosa: ovvero, se esercitare o non esercitare il diritto di comprare o vendere il sottostante.
L’opzione consente infatti a chi l’ha sottoscritta di lasciar decorrere la data di scadenza senza esercitare il diritto di comprare o vendere, se l’esercizio non è profittevole: quindi se il prezzo di mercato è inferiore al prezzo di esercizio (nel caso dell’opzione call) o se il prezzo di mercato è superiore al prezzo di esercizio (nel caso dell’opzione put).
Discorso diverso per chi l’opzione la vende: chi cede l’opzione, infatti, ha l’obbligo, e non il diritto, di vendere o comprare il sottostante.
Qual è la differenza tra opzioni europee e americane?
Le opzioni “europee” consentono di esercitare il diritto solo alla scadenza, mentre le opzioni “americane” danno la possibilità di farlo in qualsiasi momento, entro la data della scadenza.
Quanto senso ha un’opzione per un piccolo investitore?
Non tantissimo. Le opzioni vengono solitamente usate con finalità di copertura o speculative. Esempio: se io, azienda, ho in programma di acquistare grosse quantità di una certa materia prima e prevedo che il suo prezzo salirà, sottoscriverò un’opzione che mi permetterà di comprare quella materia prima in una certa data o entro una certa data nel futuro a un prezzo già fissato. È il tipico caso di copertura.
Se invece io, investitore, mi prefiguro un rialzo o un ribasso di un certo titolo o indice, sottoscriverò un’opzione call o put puntando proprio a guadagnare sul rialzo o sul ribasso di quel sottostante. Un piccolo investitore ha verosimilmente un portafoglio d’investimento costruito sulla base delle sue esigenze, dei suoi obiettivi e del suo profilo di rischio, pensato per fruttare nel tempo con modalità e logiche non speculative, diciamo.
In un portafoglio che risponda a questa filosofia, uno strumento finanziario usato a scopo speculativo non ha, a nostro avviso, troppo senso. Tuttavia, tutto si può provare una volta nella vita: l’importante è non esagerare con le quantità. Dopotutto, la curiosità va bene. È l’avidità che – checché se ne dica – può giocarci gran brutti scherzi.