Sembra ieri. E invece, sono già passati quasi vent’anni. E in questi quasi vent’anni, il mondo è profondamente mutato: basti pensare che nel 2000 il contributo della Cina al Prodotto Interno Lordo globale ammontava al 3,6%, mentre 17 anni dopo la sua “quota di partecipazione” era del 15,12%.
Fra il 2000 e il 2017, come si vede, la quota cinese è più che triplicata, arrivando a conquistare il secondo posto dietro agli Stati Uniti, la cui fetta è invece diminuita dal 30% al 24% nel medesimo lasso di tempo.
Ma possiamo proporre un altro paragone, per inquadrare più nel complesso la questione.
Nel 1960, l’economia del Regno Unito era di quasi il 20% più grande di quella cinese. Nel 2006, il PIL cinese ha superato quello del Regno Unito. E nel 2016, l’economia cinese era oltre sei volte più grande.
Le tre fonti del PIL
A cosa si deve questa crescita? Le fonti del PIL sono essenzialmente tre: consumi, investimenti ed esportazioni nette. E come si vede, nell’ultimo decennio i consumi hanno contribuito alla crescita del PIL cinese più degli investimenti.
A livello di settore, tra manifattura, agricoltura e servizi è il terzo il più rilevante, con un peso del 56% sull’economia nel 2017.
Jim O’Neill è l’ex capo economista di Goldman Sachs che nel 2001 coniò l’acronimo BRIC per indicare Brasile, Russia, India e Cina, ovvero quel blocco di Paesi Emergenti1 destinati ad avere, negli anni successivi, un impatto significativo sull’economia mondiale. Ebbene, in un’intervista all’agenzia di stampa Xinhua ha detto che, malgrado la complessità del panorama internazionale, ha fiducia nel futuro sviluppo economico della Cina. E il potenziale, dal suo punto di vista, deriverà proprio dall’ascesa di consumi e servizi.
“Durante il prossimo decennio la Cina probabilmente crescerà del 5%, dato che molti considerano deludente”, ha aggiunto. Tuttavia, date le dimensioni dell’economia cinese, il 5% di aumento equivale a “una crescita della Germania compresa tra il 15% e il 20%”.
Ciò a fronte di una popolazione in progressiva crescita: i cinesi sono passati da 660 milioni a 1,4 miliardi di individui tra il 1960 e il 2017, il che si traduce in un tasso di crescita annuo composto pari al +1,27%, maggiore del +1,02% degli Stati Uniti e secondo solo a quello dell’India, che è in vantaggio con un +1,90%.
Intanto il processo di urbanizzazione prosegue: dal 2010 oltre 230 milioni di cinesi si sono trasferiti nelle città urbane e altri 200 milioni vi si sposteranno entro il 2030.
Come investire nel mercato cinese?
Tutto questo aiuta a capire meglio come mai l’azionario cinese attiri sempre di più l’interesse degli investitori: l’attrazione deriva dalle opportunità offerte da un’economia che, pur nelle incognite dell’attuale contesto, nel 2018 ha registrato un tasso di crescita del +6,6% e che, secondo le stime dell’OCSE, chiuderà il 2019 con un +6,1%.
Allungando lo sguardo oltre i prossimi mesi e volendo andare a cogliere le opportunità più interessanti, UBS AM ha emesso il primo ETF che, replicando l’indice MSCI China ESG Universal 5% Issuer Capped Index (USD), intende mettere gli investitori nella condizione di puntare sull’azionario cinese senza rinunciare all’approccio ESG – quell’approccio, cioè, che è attento alla responsabilità ambientale, sociale e gestionale delle aziende2, oltre che ai loro dati finanziari – sempre più visto come una conditio sine qua non.
Tuttavia, nella definizione dell’universo di investimento, vengono applicate esclusioni minime rispetto all’indice benchmark, l’MSCI China Index: a fine giugno l’indice MSCI China ESG Universal 5% Issuer Capped Index (USD) era composto da 458 titoli, contro i 491 dell’indice MSCI China tradizionale.
E veniamo al nuovo fondo: si chiama UBS ETF MSCI China ESG Universal 5% Issuer Capped Index (USD) ed è quotato su Borsa Italiana dal 13 agosto 2019. Disponibile con e senza la copertura dal rischio di cambio, comprende titoli di società a grande e media capitalizzazione dei mercati azionari cinesi.
L’indice replicato – che grazie al tetto del 5% al peso massimo di ciascun emittente permette un approccio molto diversificato – mira a offrire un’esposizione a quelle imprese che mostrano sia un solido profilo ESG sia una tendenza a migliorarlo. E l’ETF ne segue l’esempio.
Vuoi saperne di più?
1 – Financial Brief | Chi sono oggi i Paesi Emergenti?
2 – Financial Brief | Investimenti socialmente sostenibili: moda o metodo?