“In”, poi “out”, ora di nuovo “in”? Sembrerebbe proprio di sì. Riepiloghiamo l’antefatto. Esattamente un anno fa, nel gennaio del 2018, l’obbligazionario dei mercati emergenti era considerato un’opportunità interessante. In seguito, è emersa una forte volatilità: le ragioni sono state attribuite alla politica monetaria della Federal Reserve – i cui rialzi dei tassi, quattro nel 2018, hanno portato il costo del denaro dall’1,25% – 1,5% di inizio anno al 2,25% – 2,5% di dicembre – e al conseguente rafforzamento del dollaro USA, valuta in cui il debito dei Paesi emergenti è denominato. All’inizio del 2019, poi, nuovo cambio di scenario.
Fed “paziente e flessibile”
A gennaio, dal fronte Fed sono arrivate interessanti indicazioni: il presidente Jerome Powell ha detto che la banca centrale intende “aspettare, vedere ed essere paziente e flessibile” sui tassi di interesse; in più, dalle minute della riunione del FOMC di dicembre è emerso che secondo molti membri del comitato la Federal Reserve può permettersi di rallentare gli interventi di aumento, soprattutto alla luce di una minore pressione dell’inflazione.
Queste note hanno indebolito il dollaro USA, allentando di riflesso la pressione sugli emergenti.
Cercando la riscossa
Una buona notizia per i Paesi emergenti, anche considerando che nel 2018 gli aumenti operati dalla Fed hanno costretto circa la metà delle banche centrali di queste aree a seguire l’autorità monetaria USA nell’innalzamento del costo del denaro. Tutto questo – insieme alle preoccupazioni per la crescita cinese – ha pesato sugli emergenti intesi come asset class.
In particolare, nel corso del 2018 le obbligazioni hanno registrato un generale indebolimento e molte valute hanno subito un deprezzamento. A fronte di ciò, però, la crescita economica negli emergenti ha continuato a battere quella dei Paesi sviluppati.
Da questo punto in poi, molto dipende anche dalle specifiche politiche economiche di ogni Paese, quindi dai conti pubblici e dai piani fiscali e d’investimento: intervenire in modo adeguato potrebbe migliorare le prospettive a lungo termine e, di riflesso, la domanda di obbligazioni a più lunga scadenza.
Nel complesso, comunque, i mercati emergenti sembrano destinati a rimanere anche nel 2019 il segmento più trainante dell’economia mondiale. Tuttavia, sono ben lontani dall’essere una categoria omogenea: è saggio, quindi, continuare a monitorare ciò che succede nei singoli Paesi, tenendo presente che crisi come quelle registrate in Argentina, Venezuela e Turchia sono di fatto episodi locali e non sintomatici di criticità più ampie nella galassia emergente.
Investire con gli ETF
Si tratta, insomma, di una galassia nella quale si può andare a cogliere più di uno spunto, magari inserendo in portafoglio prodotti già adeguatamente diversificati al loro interno.
Ma non tutti gli Exchange Traded Funds che investono nell’asset class sono uguali: gli ETF di UBS AM offrono un’esposizione ai bond emergenti, governativi o societari, in valuta forte con l’aggiunta del vincolo di investimento massimo per Paese del 3%, che consente di evitare i rischi di concentrazione soprattutto nei Paesi maggiormente rappresentati nei tradizionali indici che coprono questa classe di investimento.
Nella gamma di UBS non si trovano solamente gli ETF sui bond emergenti in dollari, ma anche in valuta locale. Su Borsa Italiana è possibile investire principalmente in tre strategie, per un totale di cinque ETF quotati.