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#biascomportamentali: in che modo la nostra mente può farci guadagnare (o perdere) soldi?

Tendiamo spesso a pensare che la finanza abbia a che fare soprattutto con grafici, complessi modelli matematici e calcoli difficili. Non è così. O almeno, questa è solo una parte della verità.

Sì, perché nel concreto la finanza è fatta dalle azioni e dalle scelte degli esseri umani ed è quindi profondamente influenzata dalle nostre paure, emozioni e fragilità. In questo senso, possiamo dire che in realtà la finanza è molto più vicina alla psicologia di quanto non si immagini.

L’emotività in effetti gioca un ruolo da protagonista nelle scelte finanziarie: il tema dei risparmi attiva in ciascuno di noi mille sfaccettature di tipo emotivo, il che ci porta naturalmente a prendere decisioni “di pancia”, che hanno ben poco a che fare con quell’Homo Oeconomicus perfettamente razionale vagheggiato dalla teoria economica classica.

Agire d’impulso, però, può farci cadere in errori potenzialmente parecchio costosi, che la finanza comportamentale divide in due grandi famiglie.
 

Quel misterioso meccanismo chiamato euristica

La mente umana è un meccanismo affascinante che, nel corso dei secoli, ha creato scorciatoie e stratagemmi (euristiche) per risolvere i problemi quotidiani: il problema è che queste euristiche funzionano per semplificazioni della realtà e, se applicate in campo finanziario, possono farci prendere dei grossi abbagli.

Altri errori e incomprensioni nascono invece da aspetti emozionali, legati alle nostre paure e passioni, che ci portano a fare scelte irrazionali sia a livello individuale sia collettivo.
 

 

Tutto sulle scorciatoie mentali: due esempi concreti

Oggi ci concentreremo su un tipo particolare di euristica, chiamata rappresentatività. Ne parleremo facendo test pratici ed esempi concreti, per capire quanto facilmente queste “scorciatoie mentali” possano scattare nel nostro cervello senza che nemmeno ce ne rendiamo conto. Pronti? Partiamo.

Proviamo a sottoporci a un semplice quiz.

 

 

Così di primo impatto, la risposta sembra balzare all’occhio con una certa facilità: il bibliotecario. E invece no: siamo caduti nella trappola della rappresentatività. In pratica, ci si lascia influenzare dalla rappresentazione, cioè da uno stereotipo sulle caratteristiche di un bibliotecario, mentre in realtà non ci sono elementi sufficienti per dare alcuna risposta.

Proviamo con un’altra domanda.
 

 
Anche qui la risposta appare banale e immediata: alta, sicuramente più alta di quella che esca il nero ancora. Purtroppo, però, è un’altra trappola, quella tra l’altro in cui cadono molti giocatori d’azzardo, facendo ricchi i gestori delle lotterie.

In realtà, la probabilità è sempre del 50%. Noi siamo portati a pensare che una sequenza di eventi generata dal caso sia rappresentativa della realtà del processo anche se la sequenza è molto breve (10 lanci). Questo effetto si chiama “rappresentatività locale”.

Trasferendoci nel mondo degli investimenti, un errore indotto dalla rappresentatività potrebbe essere quello di fare previsioni ottimistiche sull’andamento di azioni che hanno sovraperformato l’indice di mercato per un certo periodo di tempo, anche se questo non garantisce affatto che continueranno a farlo anche in futuro.

Insomma, per farla breve, la rappresentatività è quel meccanismo che ci porta a formulare previsioni su un fatto in base a stereotipi, senza valutarne l’effettiva prevedibilità, che dipende da elementi come l’ampiezza del campione considerato e la frequenza.

Provate a immaginare che effetto devastante possa avere la rappresentatività sulle decisioni di investimento! E non è l’unica del suo genere. Ma, naturalmente, ci torneremo.

 


 

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