“Sveglia!1!”, “svegliatevi!1!!”, “ah, io ragiono con la mia testa”, “per me non è come ce la raccontano”. Viviamo nell’epoca (forse) più indicata per parlare di pie illusioni razionaleggianti e di svarioni mentali a più livelli. È un’epoca nella quale ci piace raccontarci quanto siamo intelligenti, bravi e liberi pensatori: dalle pandemie al 5G e allo spread, non c’è complotto che i “poteri forti” del “Nuovo Ordine Mondiale” in cerca di “Great Reset” riescano a nasconderci.
Per questo noi di AdviseOnly amiamo, di tanto in tanto, riproporvi i nostri contributi su testa e portafoglio: perché ci illudiamo – vedete? Anche noi non siamo immuni alla seduzione dell’illusione – che possano strapparvi alle vostre più radicalizzate certezze e (ri)consegnarvi al dubbio.
Il dubbio, per esempio, che la nostra mente non sia poi così razionale come ci ostiniamo a credere, ma ancora largamente imperfetta, tarata com’è su un sistema di scorciatoie e punti di sintesi che a volte ci aiuta a cogliere le cose al volo, ma altre invece rischia di mandarci fuori strada. E anche di parecchio.
Stiamo per caso di nuovo parlando di euristiche?
Sì, stiamo di nuovo parlando proprio di quello. Che cos’è un’euristica? E quanto viene al chilo oggi, in tempi di inflazione in risalita? No, sereni, non si compra al mercato. E non si compra al mercato perché ce l’abbiamo già dentro la nostra testa. L’euristica è nientemeno che il frutto di decine di migliaia di anni di evoluzione, collaudata nelle lontane epoche in cui trarre velocemente conclusioni (più o meno giuste) era questione di vita o di morte.
Per capirci: quella cosa che scorgo laggiù è una fronda d’erba o la criniera di un leone? Deciderlo in pochi istanti poteva aumentare sensibilmente le chance di sopravvivenza (anche se i leoni non cacciano, lo fanno le leonesse, il maschio si mette sopravvento proprio per farsi notare dalle prede e spingerle verso le implacabili ed efficientissime femmine, che per tutto il tempo rimangono acquattate sottovento, nda).
In ogni caso, sulla spinta di questa necessità abbiamo messo a punto tutto un sistema fatto di euristiche. Questa parola stranissima viene dal greco heurískein e in sostanza indica un procedimento mentale intuitivo e sbrigativo – una scorciatoia mentale, appunto, o, come li chiamiamo talvolta, un bias – che ci consente di farci rapidamente un’idea di massima su un fatto/evento/tema senza troppi sforzi cognitivi.
Ma le euristiche sono come le stelle del vecchio spot televisivo anni Ottanta: tante, milioni di milioni. Cielo, magari non proprio così tante. Ma comunque ne abbiamo un bel pacchetto.
Una di queste consiste nel cosiddetto anchoring, o effetto ancoraggio.
Sì, esatto: oggi vi vogliamo parlare di ancoraggio
L’effetto ancoraggio – o anchoring – fa sì che una decisione sia influenzata da un particolare riferimento. Tale riferimento ci fa, appunto, da “ancora”.
Come ben sappiamo, l’ancora è pensata per assicurare ai naviganti un punto fermo in acque agitate e turbolente. Per esempio, a livello mentale, un numero. Che però, in realtà, non ha alcuna rilevanza ai fini dell’individuazione della risposta corretta.
Morale della storia: che effetto ci fa l’ancoraggio
L’ancoraggio a un elemento – in questo caso un numero – ci rende ciechi di fronte a nuovi fatti e idee che mettono in discussione il nostro riferimento. Spesso e volentieri fa sì che rimaniamo legati alla prima impressione che abbiamo maturato su un fatto o su situazioni/persone. E che facciamo quindi una gran fatica ad assimilare le nuove informazioni, se queste ci allontanano dalla percezione iniziale. Preferiamo piuttosto cercare conferme all’ancoraggio.
Naturalmente, questa affezione per il punto fermo pesa anche sui nostri investimenti. Pensate ai vostri genitori (se siete Gen X) o ai vostri nonni (se siete molto Millennial o addirittura Gen Y) e al loro attaccamento all’ancora dell’investimento immobiliare o dell’obbligazionario governativo. Un attaccamento tale da impedire loro di considerare con la dovuta disponibilità e attenzione altre asset class.
Ma pensate anche a quando ci fissiamo che quell’azione debba valere tot, perché tot è il valore-ancora che le abbiamo attribuito, e facciamo fatica ad accettare che possa allontanarsi al ribasso da quel valore. In questi casi, tutto siamo fuorché oggettivi. A scapito anche del nostro portafoglio.
Come venirne a capo? Prendendo coscienza che questa euristica – o bias che dir si voglia – esiste ed è in azione nella nostra testa. E ammettere il problema è sempre un buon primo passo per risolverlo.