Pare strano parlare di “ETF attivi”, dato che gli ETF sono gli strumenti d’investimento passivi per eccellenza. Difficile, quindi, affiancare il termine “ETF” all’aggettivo “attivo” senza pensare ad un ossimoro.
E invece, quello degli ETF attivi è uno dei segmenti più innovativi del mondo del risparmio gestito. Di che si tratta, più precisamente?
Cosa sono gli ETF attivi
Nella sostanza, con un ETF attivo la società di gestione ricerca dichiaratamente un extra-rendimento rispetto al mercato e compie delle scelte attive in merito alle asset class oppure ai singoli titoli nei quali investire, in modo analogo a quanto avviene per la maggioranza dei fondi comuni tradizionali. Quindi, per esempio, gli ETF attivi variano dinamicamente la composizione tra azioni, obbligazioni, commodities, aree geografiche, divise, settori, livelli di merito creditizio e via dicendo, senza troppi limiti alla fantasia.
ETF attivi e passivi a confronto
Il processo d’investimento dei nuovi ETF può infatti spaziare nell’intero universo delle strategie attive: perciò si va dall’applicazione di modelli quantitativi, all’output qualitativo di un team d’investimento. Questa è la principale differenza tra gli ETF di ultima generazione e quelli tradizionali.
Ciò che invece non cambia è la trasparenza data dalla quotazione in Borsa e la tendenza, comune a tutti gli ETF, ad avere commissioni di gestione molto più basse degli analoghi fondi comuni collocati in banca o presso reti di promotori. I più elevati costi dei fondi comuni tradizionali (che possono influenzare pesantemente la performance) emergono infatti dall’esigenza di remunerare chi li vende, a scapito del risultato dell’investimento, generando un ampio conflitto d’interesse tra venditore e risparmiatore.
Come tutti gli ETF, anche quelli attivi sono soggetti a commissioni di negoziazione (spread denaro-lettera), questo non avviene per i fondi comuni.
Gli ETF attivi quotati
Negli USA il fenomeno presenta già un certo abbrivio e sono parecchi gli ETF attivi ammessi alla quotazione, anche se costituiscono una percentuale ancora molto piccola rispetto al totale degli ETF passivi e dei fondi comuni.
Ora questi innovativi strumenti finanziari sono arrivati anche in Italia: il primo ETF attivo ammesso alle quotazioni su Borsa Italiana lo scorso 2 settembre è stato l’UBS ETF Map Balanced 7. Questo ETF attivo replica la strategia proprietaria di UBS, denominata “Multi Asset Portfolio” (MAP).
La strategia MAP opera su quattro asset class, cioè azioni, obbligazioni, commodities e liquidità, determinandone il peso mensilmente grazie alla metodologia risk parity. Tale metodologia, di cui ho già parlato tempo fa su questo blog, è orientata a gestire con prudenza e rigore i rischi di portafoglio, in quanto ogni sua componente contribuisce in egual misura al rischio totale, ottenendo così un’asset allocation equilibrata.
A ulteriore dimostrazione dell’attenzione posta alla gestione dei rischi, l’ETF di UBS (vi ricordo che la casa è presente e attiva all’interno del nostro sito) si prefigge di avere una volatilità annua del 7% e utilizza un indicatore della propensione al rischio e del sentiment degli operatori per affinare l’esposizione agli attivi rischiosi. Con un TER annuo pari allo 0,75%, questo ETF offre ai risparmiatori una strategia d’investimento basata su regole chiare e su un modello quantitativo solido, di natura absolute return, a un costo molto inferiore alla media di mercato.
La sezione ETF Attivi di Borsa Italiana si è arricchita pochi giorni fa di un altro ETF attivo, il Pimco Euro Short Maturity Ucits ETF, questa volta di natura obbligazionaria. Questo ETF applica una strategia d’investimento attiva prevalentemente focalizzata sulle obbligazioni governative e societarie investment grade denominate in euro.
Il TER è 0,35%: come nel caso del Map Balanced 7 di UBS, la commissione è un po’ più alta di quella degli ETF tradizionali, ma è comunque contenuta.
Quale spazio in portafoglio per gli ETF attivi?
Difficile generalizzare, perché la gamma di strategie attive possibili è molto ampia. Per quanto riguarda i due ETF in questione, essendo verosimilmente meno correlati alle principali asset class della maggior parte degli ETF tradizionali (soprattutto quello di UBS, che è “multi-asset class”), possono essere utili nel diversificare le fonti di performance e i rischi del portafoglio di molti risparmiatori.
Quali benefici per i risparmiatori?
In Italia, nel mondo del risparmio gestito, il baricentro del potere è sempre stato molto sbilanciato a favore dell’offerta, cioè banche e reti di promotori. Dal lato della domanda (i risparmiatori) vi è sempre stato un misto di ignoranza e rassegnazione nel subire carichi commissionali mediamente assurdi, in grado di deprimere qualsiasi performance ottenuta dalla gestione.
Ora, la new wave degli ETF, sta arrivando a mettere pressione al sistema di distribuzione dei prodotti di risparmio, grazie a strumenti finanziari evoluti ma dalle commissioni assai abbordabili, facilmente acquistabili da tutti i risparmiatori in quanto quotati in Borsa.
Quando i fondi comuni saranno accolti per la quotazione nel segmento ETFplus di Borsa Italiana si amplierà ulteriormente la gamma di prodotti a disposizione dei risparmiatori per gestire più efficientemente i propri portafogli.
I segni del cambiamento incominciano a essere tangibili e i giorni delle commissioni astronomiche sono forse contati.
Massimo Vicari / Settembre 9, 2014
Bel post, che mi fa venire in mente due cose…ovvero che finora gli altri etf “attivi”, ovvero con logiche diverse dalla semplice replica di un indice, come gli smart beta o i minimum volatility, non è che siano stati un grande affare (a mio avviso, imho). La seconda è che sarebbe sufficiente abbattere i costi dei fondi comuni acquistati direttamente dai clienti (magari tramite consulenti indipendenti che non percepiscono nessuna commissione), o è un modo per portare i fondi comuni alla quotazione trasformandoli man mano in Etf?
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Raffaele Zenti / Settembre 12, 2014
Gli ETF attivi sono appena arrivati, quelli “smart beta” (spesso la differenza non è molta, nella sostanza) ci sono da un po’ e si può trarre qualche indicazione pratica (…penso che ci scriverò un post ;-). In sintesi, penso che spesso questi ETF abbiano fatto in modo appropriato il loro lavoro: infatti consentono di investire in strategie ben precise (es. RAFI, cioè “value”, oppure a minima volatilità/rischio, tecnica di costruzione di portafoglio statisticamente robusta), applicate fedelmente, con un costo generalmente basso. Il che non è poco. Le strategie sottostanti possono essere andate bene o meno bene, ma questo non è un problema dell’ETF, che è solo il veicolo sul quale viaggia la strategia.
Per abbattere i costi dei fondi, la strada sembra quella della quotazione in Borsa, che dovrebbe essere imminente (i fondi saranno quotati con modalità differenti rispetto agli ETF, comunque, in quanto negoziati al NAV). Se la cosa avrà successo, il modello di business imperante del risparmio gestito cambierà, e molto, penso.
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zipperle / Settembre 12, 2014
Qual è la differenza tra un etf attivo e normale fondo comune gestito con strategie quantitative: solo il costo perchè le prestazioni dipendono dalla metodologia di investimento che può essere la medesima per entrambi. Dal momento in cui ci si scosta da un indice (attraverso un ETF attivo o un fondo comune) si osserva che nel 70% dei casi circa non si batte l’indice al lordo dei costi. Quindi l’unico vantaggio che gli ETF attivi possono comportare è la pressione competitiva a ridurre i costi ma le masse di tali ETF dovranno crescere parecchio prima che ciò si verifichi.
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Raffaele Zenti / Settembre 12, 2014
E’ esatto. La strategia d’investimento è indipendente dal veicolo (fondo o ETF – in linea di principio potresti trovare la stessa identica strategia in un ETF e un fondo tradizionale). Ma, comunque, guarda che la differenza di costo non è poca cosa per il risparmiatore: possono essere veramente soldoni…
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