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Giovani italiani fra scuola e lavoro: le sei distanze da accorciare

Che i giovani fatichino a trovare lavoro in Italia è risaputo. Ma dar tutta la colpa alla crisi sarebbe un errore.

Nel nostro Paese, negli ultimi vent’anni, la probabilità per un giovane sotto i 30 anni di essere disoccupato è risultata stabilmente 3,5 volte superiore alla popolazione adulta. La media europea è 2, rileva McKinsey & Company nella ricerca “Studio ergo Lavoro”, presentata ieri pomeriggio.

Il tema è caldo anche a livello internazionale: ne hanno parlato recentemente l’Economist e il prof. Jacobides. Quest’ultimo ha lanciato un j’accuse al sistema educativo e produttivo europeo sul blog della London Business School, dove insegna imprenditorialità e innovazione:

“I giovani di oggi sono ancora lasciati indietro da un sistema educativo antiquato e dalla riluttanza delle imprese a investire nello sviluppo della propria forza lavoro”

Cerchiamo di capire meglio la situazione italiana, esaminando i fattori strutturali che penalizzano i giovani sul mercato del lavoro, prescindendo dal (difficile stato del) ciclo economico.

Giovani e lavoro: tutti i numeri di un incontro mancato

Quanto si incontrano domanda e offerta di lavoro per i giovani nel Belpaese? Poco. Infatti, in Italia:

  • solo 1 assunzione su 10 al giorno riguarda un under 30 (Fonte: McKinsey);
  • le imprese fanno fatica a trovare le persone giuste: nel 2012 le aziende hanno faticato a trovare almeno il 16% delle posizioni ricercate (circa 65mila posti di lavoro); introvabili soprattutto i laureati in materie scientifiche e tecniche, nonché i diplomati commerciali e tecnici nei settori delle telecomunicazioni e del legno (Fonti: Unioncamere, McKinsey);
  • i laureati sono pochi rispetto ad altri Paesi europei ma, paradossalmente, troppi per l’arretratezza della nostra struttura produttiva, secondo il prof. Carlo Barone, docente di Sociologia all’Università di Trento;
  • esiste un maggiore mismatch (disallineamento in termini di capacità verbali o matematiche); lo dimostra la maggiore percentuale rispetto alla media OCSE di italiani overskilled (con maggiore literacy/numeracy a quelle richieste dal lavoro svolto) e underskilled (con literacy/numeracy inferiori a quelle richieste dal lavoro);
  • è alta la percentuale di giovani che ritengono che gli studi post-diploma non abbiano incrementato le loro opportunità di lavoro; una delusione che, peraltro, è una delle cause del calo delle immatricolazioni all’università in Italia.

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Dato il divario tra quanto serve sul lavoro e quanto si apprende sui banchi di scuola, cosa fare per avvicinare questi due mondi?

Le sei distanze da accorciare

1. Orientamento. In Italia ce la caviamo piuttosto male: solo il 26% degli studenti ha ricevuto indicazioni sufficienti sui percorsi di studio dopo la maturità; percentuale che precipita al 19% per quanto riguarda le informazioni sul lavoro. C’è da dire che non siamo soli in questa preoccupante classifica: perfino in Germania i diplomati che hanno ricevuto indicazioni sufficienti sui percorsi scolastici e sul lavoro si fermano rispettivamente al 35% e al 36%.

2. Competenze. Le imprese italiane sono le più insoddisfatte in Europa dei giovani neoassunti: quasi metà delle aziende giudica la mancanza di competenze dei giovani un problema per il business. Guarda caso, i Paesi europei con le imprese più insoddisfatte dei giovani sono quelli con una disoccupazione giovanile superiore al 25%. Il deficit di competenze degli italiani (differenza tra le competenze richieste dagli imprenditori e quelle effettive dei giovani) non riguarda tanto la literacy o la numeracy, ma piuttosto: conoscenza dell’inglese, l’etica sul lavoro, esperienza pratica, capacità di lavorare in gruppo, di risolvere e analizzare problemi.

3. Coordinamento. La percentuale di imprese che mantiene un rapporto virtuoso con con le scuole è ancora troppo bassa (41%), soprattutto rispetto a UK e Germania (dove è pari rispettivamente al 74% e 78%). Le imprese che ritengono di comunicare efficacemente con le scuole sono ancora meno: meno di un quarto in Italia, fanalino di coda in Europa.

4. Esperienze di lavoro. Secondo Almalaurea e Almadiploma, fra il 2004 e il 2012, sono aumentati gli stage organizzati dall’università ma sono diminuiti quelli delle scuole superiori (dal 58,70% al 42,50%). McKinsey certifica che nel Belpaese gli stage e i tirocini durano meno di un mese in quasi il 50% dei casi nella scuola superiore e in circa il 30% dei casi all’università: un periodo troppo breve per farsi un’idea del mondo del lavoro, anche per i più svegli.

5. Supporto. Lo Stato italiano aiuta poco i giovani nella ricerca di un lavoro. I nostri Centri per l’Impiego, a dispetto del loro nome, riescono a trovare lavoro solo all’1% dei giovani tra i 15 e i 29 anni. In Germania, invece, nell’80% dei casi. Come fanno dunque i giovani italiani a trovare lavoro? L’80% dei disoccupati under 30 chiede aiuto ad amici, conoscenti e familiari.

6. Formazione in azienda. Nell’ultimo decennio l’Italia è sempre stata sotto la media UE di 2-3 punti per numero di giovani di 25-34 anni che partecipano a iniziative di istruzione o formazione (Fonte: Eurostat). A livello aziendale i lavoratori più giovani (25-34 anni) ricevono paradossalmente meno formazione in azienda rispetto ai lavoratori più senior (35-54 anni): 28,10% contro 62,50% del totale (Fonte: Isfol).

Ecco le sei distanze da accorciare tra mondo del lavoro e della scuola in un’infografica. Voi cosa ne pensate?

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