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Azioni o obbligazioni? Ma che cosa conviene di più oggi? Bella domanda per il piccolo (come per il grande) risparmiatore…

Mettiamo le cose in prospettiva. Dai minimi dell”11 marzo 2009, le borse sono cresciute vertiginosamente fino all’inizio di quest’anno (di oltre il 70% la borsa americana e di oltre l”80% quella italiana). Il 2010 è stato invece caratterizzato da grandi oscillazioni (volatilità), con una salita nei primi mesi dell’anno, una successiva discesa, quando è emerso il fantasma di una nuova recessione (quella che nel loro gergo gli economisti definiscono rischio di “double dip”). E infine il recupero, quando le banche centrali hanno fatto capire la loro determinazione a contrastare senza limiti la debolezza dell’economia con politiche monetarie fortemente espansive. Fino ad arrivare ai giorni nostri quando i rinnovati timori sul futuro dell’Euro pesano sui listini azionari.

Sul fronte delle obbligazioni i rendimenti dei titoli di stato dei cosiddetti “paesi core”, cioè ad esempio Germania e Francia, hanno via via incorporato l’aspettativa di debolezza dell’economia e di totale assenza di tensioni inflazionistiche e, soprattutto, hanno beneficiato del panico che si è scatenato sul resto dei paesi europei, ritornando verso livelli minimi o comunque molto bassi. Per gli altri paesi, come ad esempio Irlanda e Portogallo, ma anche l’Italia, si sono avuti nuovi massimi di spread verso la Germania: in pratica il rendimento dei titoli di stato italiani è molto più alto di quello degli analoghi titoli tedeschi. Non solo, oggi per trovare un rendimento pari al tasso del nostro Bot ad 1 anno (proprio ora pari al 2%) è necessario “risalire” la curva tedesca fino ai 5 anni. Ma di queste stranezze parlerò un’altra volta.

Quanto al futuro, lo scenario che va per la maggiore tra economisti e gestori è composto da crescita bassa, inflazione nulla e politiche monetarie espansive, almeno per quanto riguarda i paesi sviluppati: un mix di ingredienti teoricamente favorevole alle obbligazioni.

Con il piano fiscale varato da Obama qualcosa ha cominciato a scricchiolare e forse non è tutto chiaro come sembra a prima vista.

In primo luogo perché le aspettative sulla crescita economica (essenzialmente il PIL) non sono necessariamente un buon indicatore statistico di dove andranno davvero i mercati. In secondo luogo perché bisogna anche valutare se e in quale misura questi scenari prospettici sono già incorporati nelle attuali quotazioni di mercato.

Uno dei metri più utilizzati per valutare la convenienza delle azioni è il rapporto prezzo/utili: quanto più è alto, tanto più sono elevate le aspettative di crescita futura degli utili delle imprese incorporate nei prezzi. E’altrettanto vero però che se il rapporto prezzo/utili del mercato è molto alto, anche la possibilità che il mercato sia troppo ottimista è più alta. Oggi il rapporto prezzo utili delle imprese quotate a Wall street è pari 15.5, un valore medio-basso, se comparato alla storia.

Ma il rapporto prezzo utili può essere utilizzato anche per effettuare confronti relativi molto interessanti tra azioni e obbligazioni. Infatti per giudicare se le azioni sono “a buon mercato” o “care” rispetto alle obbligazioni, in prima battuta è sufficiente confrontare  il rendimento delle azioni, il cosiddetto earning yield (che altro non è che l’inverso del rapporto prezzo/utili), con il rendimento delle obbligazioni o dei titoli di stato di lungo termine. Questo earning yield non è l’unico parametro in grado di fornire un’indicazione sul rendimento delle azioni, molti utilizzano il dividend yield (dividendi/prezzo, in pratica sostituendo agli earnings i dividendi) oppure i l free cash flow yield (che al posto di utili o dividendi considera la “cassa generata dalle imprese”), ma la sostanza non cambia molto.

Di solito il rendimento dei titoli azionari è superiore di 1 o 2 punti percentuali rispetto a quello dei titoli obbligazionari a lungo termine: essendo più rischiose, le azioni rendono infatti in media di più. Oggi tuttavia, il confronto tra earning yield e rendimenti obbligazionari appare particolarmente ampio (quasi 3 punti percentuali). Per non parlare del rendimento di obbligazioni societarie di paesi “core” che hanno rendimenti decisamente inferiori al dividend yield di titoli azionari dei paesi considerati meno virtuosi.

Ora, come è noto, i rendimenti sono il contraltare dei prezzi:  rendimenti alti segnalano prezzi bassi e viceversa. Un divario così ampio tra rendimenti azionari e obbligazionari è segno che i prezzi delle obbligazioni sono storicamente molto alti (cioè troppo cari) rispetto a quelli delle azioni. E quindi ci si può aspettare un futuro riallineamento verso valori più normali.

Ovviamente non ci è dato sapere né come né quando si tornerà verso valori più normali; infatti è possibile che il riallineamento avvenga attraverso un calo delle obbligazioni, oppure con una risalita delle quotazioni delle azioni. Ciò non toglie che, in termini relativi, oggi le azioni siano meno “care” delle obbligazioni. E questa può essere un”indicazione di una certa utilità per guidare i nostri investimenti.

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