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Renzi e il vincolo del 3%: intervista a Francesco Giavazzi

“Sono assolutamente convinto che il 3% sia il parametro del passato. Ma io ho un problema: l’Italia è un Paese in cui abbiamo perso credibilità perché non abbiamo rispettato il parametro in passato. Così la posizione dell’Italia è chiara: noi rispettiamo il 3%”.

Così il premier Renzi il 3 ottobre in un’intervista alla Cnn. Una dichiarazione che giunge a pochi giorni dall’annuncio che la Francia sforerà il tetto del 3% del rapporto deficit/PIL fino al 2017.

Facciamo chiarezza su questo vincolo e sulla situazione francese. Poi, su quella italiana, abbiamo raccolto per voi il parere dell’economista Francesco Giavazzi.

Fenomenologia del 3%

Il Patto di Stabilità e Crescita, siglato nel 1997 dai Paesi membri dell’Ue, richiama agli articoli 99 e 104 del trattato di Roma istitutivo della Comunità europea e si attua attraverso il rafforzamento delle politiche di vigilanza sui deficit ed i debiti pubblici dei paesi membri. Il suo scopo è garantire che la disciplina di bilancio degli Stati continui dopo l’introduzione della moneta unica (euro). In base al Patto di Stabilità e Crescita, gli Stati devono rispettare nel tempo due parametri sul bilancio dello Stato:

  • un deficit pubblico non superiore al 3% del PIL, cioè un rapporto deficit/PIL minore del 3%;
  • un debito pubblico al di sotto del 60% del PIL, ossia un rapporto debito/PIL minore del 60%.

In caso di violazione di questi parametri scatta la procedura di infrazione per deficit eccessivo, prevista dall’art. 104 del trattato. Per la cronaca, l’Italia ne ha subìta una nel 2005, cancellata nel 2008, e un’altra nel 2009, chiusa nel 2013. Attualmente il debito pubblico italiano è pari al 135,6% del PIL (dato aggiornato al I trimestre 2014). Secondo le previsioni dell’FMI diffuse oggi, il debito italiano salirà quest’anno al 136,7% del PIL per scendere leggermente nel 2015 al 136,4%. Per questo si stanno discutendo possibili soluzioni per ridurlo.

La Francia contro l’austerità

“Il Governo francese è contro l’austerity e non rispetterà gli obiettivi sul deficit fino al 2017“.

Così il ministro delle Finanze francese Michel Sapin alla presentazione della Legge finanziaria 2015 della Francia. Per la cronaca, la manovra prevede un rapporto deficit/PIL pari al 4,4% nel 2014, al 4,3% nel 2015 e al 3,8% nel 2016, per poi scendere al 2,8% solo nel 2017. In precedenza la Francia si era impegnata a rispettare il vincolo del 3% fin da quest’anno. Il ministro dell’Economia francese spiega così la scelta:

“Abbiamo deciso di adattare il passo di riduzione del deficit alla situazione economica del Paese. La nostra politica economica non sta cambiando, ma il deficit sarà ridotto più lentamente del previsto a causa delle circostanze economiche”.

Il premier Valls il 6 ottobre a Londra ha ribadito che la Francia non vuole cambiare le regole fiscali dell’Ue, ma auspica una loro interpretazione più flessibile, alla luce della bassa crescita e inflazione. La decisione della Francia ha riacceso le polemiche mai sopite sui vincoli previsti dal Patto di stabilità e crescita dell’Europa.

Il dibattito sul 3% in Europa

Alla “ribellione” francese ha fatto seguito prontamente la replica della cancelliera Merkel:

“La crescita di lungo periodo può essere ottenuta solo con attente politiche di bilancio. È responsabilità dei singoli stati fare i compiti a casa.”

Il premier Matteo Renzi a Londra il 2 ottobre, rispondendo alle polemiche sulla decisione di Parigi, ha dichiarato:

“Rispetto la decisione di un Paese libero e amico come la Francia, nessuno deve trattare gli altri Paesi come si trattano degli studenti”.

Concetto ribadito anche il 3 ottobre ai microfoni della Cnn:

“Se il presidente Hollande decide per la Francia che è importante aggirare il rispetto della soglia del 3%, nessuno può dire a Hollande o Valls (il premier, ndr): questo non è corretto”.

Si è spesso pronunciato in modo veemente sul tema Francesco Giavazzi, docente di Economia Politica all’Università Bocconi di Milano, membro del gruppo di consulenti economici del Presidente della Commissione europea, collaboratore del  Corriere della Sera e di Project Syndicate. Lo abbiamo incontrato in esclusiva per i lettori del blog di Advise Only a margine del convegno del 17 settembre scorso su criminalità, corruzione e crescita.

advise only intervista francesco giavazzi

L’opinione di Francesco Giavazzi

Renzi e Padoan hanno sempre assicurato all’Europa che non vogliono violare limite del 3% nel rapporto deficit/PIL. E’ un impegno compatibile con l’attuazione delle riforme strutturali?

Il vincolo del 3% è compatibile con le riforme strutturali ma non con la ripresa della crescita. Sono due cose completamente diverse. Ad esempio, la riforma del lavoro si può fare, anche rispettando il vincolo del 3%. Lo stesso non si può dire se si decide un abbassamento delle tasse di 2 punti di PIL, cioè di 30-35 miliardi di euro, cosa che io auspico.

Perciò è questo che Renzi dovrebbe fare nei mille giorni?

Non nei prossimi mille giorni, ma nelle prossime settimane: prima della Legge di Stabilità, che deve essere varata a metà ottobre.

Un altro problema che affligge l’Italia è quello della corruzione. Si pensa spesso che si possa combattere con le leggi, ma il caso Mose dimostra che le regole possono a loro volta essere corrotte, realizzando così una “corruzione a norma di legge”, per citare il suo ultimo libro con Giorgio Barbieri. Da dove occorre partire nella lotta alla corruzione?

Il caso Mose dimostra che il valore economico della corruzione delle leggi, ossia di leggi costruite ad hoc, è molto maggiore della corruzione per violazione delle leggi. Però siamo in una democrazia, per cui evitare che siano fatte leggi a beneficio di particolari gruppi è molto difficile. È più facile evitare la violazione delle leggi che evitare che il Parlamento liberamente voti. Quello che accadde col Mose nel 1984 a Venezia, ma che è accaduto anche con Expo 2015 a Milano nel 2014, è il risultato della fretta. Si accumulano ritardi, cosicché poi è necessario fare le cose di fretta. E così si approvano norme di cui nessuno ha modo di studiare bene le conseguenze.

L’economia italiana è in recessione, nell’Eurozona la ripresa  è “debole e fragile”, come ama ripetere dopo  ogni Consiglio direttivo della Bce il suo governatore Mario Draghi. Crede che il piano di investimenti pubblici di Juncker per 300 miliardi di euro in tre anni possa favorire la ripresa dell’Europa?

È assolutamente irrilevante. Primo: 300 miliardi sono noccioline. Secondo: questi soldi sono il risultato di una partnership pubblico-privato. Pertanto bisogna trovare i privati che ci mettano una parte dei denari e non è detto che si trovino. Terzo: anche nel caso in cui i privati si trovassero, prima che siano sborsati questi soldi ci vorranno due anni, nel migliore dei casi. E noi abbiamo bisogno di crescita tra due mesi, non tra due anni!

Qual è la ricetta per far ripartire l’economia europea? Ha senso una governance comune delle riforme, auspicata dal presidente della Bce Mario Draghi?

Bisogna abbassare le tasse. E quindi, con calma, tagliare le spese. L’unico modo per far riprendere l’economia è mettere dei soldi in tasca alle famiglie che li spendono.

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