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Educazione finanziaria – 2° puntata: non investire oggi nella pensione può costarvi caro, ecco perché

educazione finanziaria

L’ignoranza finanziaria costa cara: ve ne convincerete oggi, visto che parliamo di pensioni. Continua così la serie di post sul “costo vivo” della mancanza di conoscenze finanziarie. L’obiettivo non è certo deprimervi, bensì rendervi risparmiatori consapevoli e stimolarvi a compiere scelte informate (e possibilmente corrette).

Nella mente di molti, la vecchiaia può collocarsi ad eoni di distanza da oggi e pensare alla pensione può quindi sembrare prematuro. Ma non è così: l’investimento previdenziale è uno dei pilastri del risparmiatore, anzi, del cittadino.

Le forme pensionistiche tradizionali, come l’INPS, segnano il passo: nel mio immaginario l’INPS è un gigantesco schema di Ponzi che si sta sgonfiando, perché basato su una dinamica demografica non più attuale. L’INPS è e sarà sempre meno in grado di assicurare un adeguato tenore di vita al termine dell’attività lavorativa degli italiani. Delle alternative per affrontare il risparmio previdenziale ne abbiamo già parlato su questo blog; oggi vorrei  più che altro concentrarmi sull’impatto economico della scelta del mezzo per costruirsi la pensione.

Vediamo in soldoni, con l’aiuto di un’infografica, che cosa succede se si fa affidamento solo sulla pensione INPS, quella obbligatoria (il cosiddetto “primo pilastro”). Consideriamo tre persone molto diverse tra loro, così si ha un quadro abbastanza vario.

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Ora, per ciascuno dei nostri tre amici, quantifichiamo la fetta di reddito che si vaporizza ogni anno quando si va in pensione (il riferimento è l’ultimo reddito lavorativo presunto prima della pensione), tenendo conto anche delle tasse.

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Nota metodologica – Il reddito pensionistico è stimato sulla base della normativa vigente (inclusi gli ultimi interventi della riforma del 2011), in base a un ipotesi media di crescita del reddito da lavoro, tenendo conto dell’inflazione (posta pari al 2% annuo, in linea con l’attuale politica monetaria della BCE). La differenza tra l’ultimo reddito da lavoro e quello pensionistico è al netto delle imposte, calcolate in base alle attuali aliquote IRPEF.

Come vedete, affidandosi solo all’INPS, il rapporto di sostituzione (cioè il rapporto tra reddito pensionistico e ultimo reddito da lavoro) può essere piuttosto basso. In concreto ciò significa che le proprie abitudini e lo stile di vita possono cambiare in modo spiacevole: la decrescita non è quasi mai felice – chiedetelo a Federico, che probabilmente deve rinunciare a cambiare l’auto…

Tenete presente che questa simulazione è ottimistica: infatti, ignora gli interventi statali sulle pensioni, tipicamente effettuati con la mannaia, che certamente ci saranno negli anni a venire (sì, questa è una previsione che mi sento di fare, essendo basata su trend demografici e socio-economici difficilmente invertibili).

Che cosa possono fare Federico, Francesca e Gianni? Possono ricorrere alla previdenza integrativa, cioè i fondi pensioni chiusi o aperti – il “secondo pilastro” – oppure a un piano di risparmio personale. Far ciò migliora sensibilmente la propria situazione. Paradossalmente, solo il 18% dei lavoratori italiani sotto i 35 anni è iscritto ad una forma di previdenza complementare, quando sono proprio i giovani ad aver più bisogno di pensare alla pensione.

Optando per la previdenza integrativa, occorre scegliere la tipologia di investimento da effettuare. In particolare, selezionare per un investimento l’asset allocation sbagliata può avere un impatto monetario notevole. La regola base è però semplice: se mancano molti anni alla pensione (ad esempio 10, 20 o 30), è bene che vi sia una presenza significativa di azioni nel portafoglio. Infatti, nel lungo termine le azioni tendono ad offrire rendimenti più elevati, a difendere meglio dall’inflazione e, probabilmente, anche dalla deflazione. Dunque, per chi ha ancora davanti a sé molti anni di lavoro, il peggior errore che si possa commettere è investire tutto in un comparto monetario: la crescita del capitale sarà minima e, probabilmente, sarà erosa dall’inflazione.

Prendendo in considerazione ancora le nostre cavie Federico, Francesca e Gianni (tutti con orizzonte temporale sufficientemente lungo), vediamo a quanto ammonta sul reddito netto annuo da pensionato la differenza tra investire in un portafoglio bilanciato (50% azioni; 50% obbligazioni) e un monetario (spesso chiamato “garantito”, nome che fa cadere in trappola molti risparmiatori eccessivamente avversi al rischio).

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Nota metodologica – Il rendimento annuo medio dei due differenti comparti del fondo pensione (comparto monetario e bilanciato) si basa sull’ipotesi che le obbligazioni a breve termine e le azioni abbiano rispettivamente un rendimento medio annuo lordo  pari a 2% e 4,5%. I livelli commissionali dei fondi pensione sono pari a 0,70% per il comparto obbligazionario e 0,75% per quello bilanciato.

Infine, attenzione ai costi: nel lungo termine i costi commissionali incidono tantissimo, dunque non vi fate abbindolare dai numerosi venditori di fumo. I fondi pensioni negoziali (o fondi pensione chiusi) hanno TER bassi, in media di poche decine di punti base (in linea con ETF e fondi indicizzati), ma i fondi pensione aperti vanno da un minimo di pochi punti base di TER (anch’essi in linea con ETF e altri strumenti passivi), ad un massimo di 5,3%, un’enormità. Perciò, attenzione. Ricordate che, risparmiando per la pensione, la cosa più importante è avere l’asset allocation appropriata rispetto al numero di anni di lavoro che si hanno davanti: ossia, mettete a fuoco l’elefante, non l’uccellino posato sulla sua testa.

Spero che il messaggio sia arrivato forte e chiaro: iniziate a risparmiare per la pensione il più presto possibile. In tempi di crisi può essere difficile, ma occorre fare uno sforzo, magari rinunciando a qualcosa di superfluo. E, in seconda battuta, scegliete bene l’oggetto dell’investimento, sia in termini di asset allocation, che di costi.

Le idee di investimento sul sito Advise Only sono moltissime e per tutti gusti (gratuite tra l’altro, aspetto da non disprezzare), inclusi vari portafogli pensati per il risparmio previdenziale, con bassissimi costi commissionali, ad esempio il nostro portafoglio Pensione. Chiunque in grado di utilizzare un home banking o un’email può copiare e monitorare un portafoglio che gli consentirà di risparmiare per la pensione. Non aspettate!

Scritto da

Uno dei fondatori di AdviseOnly, responsabile del Financial & Data Analysis Group. Esperto di finanza e gestione dei rischi, statistico Bayesiano, lunga esperienza in Allianz Asset Management, è laureato in scienze economiche con indirizzo quantitativo-statistico all'Università di Torino. Docente di Quantitative Portfolio Management al Master in Finance dell'Università di Torino, ha pubblicato vari articoli su riviste finanziarie (fra le altre: Journal of Asset Management, Economic Notes, Risk), contribuendo a libri su investimenti e gestione dei rischi. Ex-triathleta, s'ostina a praticare apnea, immersioni e skyrunning.

Ultimi commenti
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    risparmiare per la pensione? ma se la gente comune non arriva a fine mese… certo, ora qualcuno un po’ di superfluo lo può ancora tagliare per risparmiare due lire, ma quelle due lire messe da parte saranno spese ben prima della pensione, e non certo per il superfluo.
    la spirale di discesa è iniziata oltre 10 anni fa e ormai è irreversibile, e quando finiranno i risparmi dei genitori e dei nonni sarà la catastrofe. quello che sta succedendo ora è nulla.
    chi può investire in previdenza complementare è proprio chi ne avrà meno bisogno, in quanto già benestante.
    l’80% della popolazione italiana è destinata alla miseria, e il rimanente 20% farà bene ad investire in difesa personale più che in previdenza complementare.

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      Concordo eccetto quel 20% a cui conviene fuggire prima degli altri 80% che si trasformeranno presto in belve feroci accecate dall’odio per qualsiasi forma di benessere specialmente di tipo finanziario.

      Ai tre personaggi dell’articolo consiglio solo una cosa: alzate i tacchi e andatevene dall’Italia! (Ieri è partito per l’Inghilterra un altro mio amico), sfruttate l’unico vantaggio di questa siocchezza della UE, il fatto che potete andare a lavorare in un paese UE senza bisogno di visti o permessi (finchè dura).
      Qui rimarrà lentamente solo pianto e stridore di denti!

      Sui fondi pensione e sulle rendite finanziarie faranno sicuro una confisca di Stato mascherata da aumento della tassazione o con prelievi una tantum.
      Chi vivrà vedrà!

      Comunque dopo questa digressione sociopolitica, quello che scrive Zenti è come sempre sacrosanto e per una persona che non possa/voglia andarsene pensare il prina possibile alla pensione integrativa con le forme d’investimento consigliate nell’articolo è sicuramemte la scelta migliore.

      Segnalo che c’è un piccolo errore nelle immagini, nella prima il reddito del giovane è di 10K€, nelle altre due diventa 20K.
      Anche se forse allo stato attuale il 10K è più azzeccato. 🙂

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        Grazie per la segnalazione, Gianni, abbiamo corretto.

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    ma se uno inizia ad accumulare tramite un PAC, investendo mensilmente in un fondo azionario o bilanciato, quello che ottiene è paragonabile ad un piano pensione alternativo? ha senso paragonare i due strumenti? io immagino che il piano pensione distribuisca periodicamente in maniera automatica, mentre tramite il PAC ognuno deve decidere quanto disinvestire ogni mese. E’ corretto? Piu in generale, se ognuno crea il proprio portafoglio, come ne godrà nell’età della pensione? vendendo mensilmente piccole quote? grazie in anticipo

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      E’ come dici tu: con il fai-da-te è a tuo carico sia la fase di accumulo (con un PAC), sia quella di decumulo, cioè di disinvestimento. Che in realtà dovrebbe essere una trasformazione del portafoglio esistente in un portafoglio in grado di fornire dei buoni flussi cedolari, che garantiscono il reddito (tipo questo, https://it.adviseonly.com/Portfolios/3284#.UuuJ37TWvE8, eventualmente variando la proporzione di azioni e obbligazioni). Se i flussi di cassa da dividendi e cedole non fossero sufficienti, si procede a disinvestimenti parziali. (Mi sa che scriverò un post su questo…)
      Inoltre i fondi pensione hanno dei vantaggi fiscali maggiori.
      Attenzione alla reversibilità, cioè alla possibilità di lasciare agli eredi il capitale – in taluni casi questa opzione si paga a parte. Se il portafoglio è fai-da-te, è ovviamente un’opzione “inclusa”: il portafoglio è tuo e dei tuoi eredi.
      In breve: la mia opinione è che se il fondo pensione ha costi accettabili (per me significa un TER decisamente inferiore all’1% per un comparto con buona quantità di azioni, tipo un bilanciato/bilanciato aggressivo), è una scelta preferibile al portafoglio fai-da-te.
      Se però ti piace “smanettare” un po’ sui mercati, il portafoglio fai-da-te può essere un buon modo di avere sempre il controllo della situazione.

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        Le preferenze soggettive – quando non sono irrazionali – debbono sempre fare parte del quadro su cui basare le scelte, quindi ben venga l’ipotesi di un piano fai-da-te come potenziale alternativa allo “strumento specializzato” (fondo pensione). Credo però che, in un confronto fondo pensione/fai-da-te, non si possa prescindere da una considerazione circa l’effetto del fisco sulla disponibilità per l’investimento. Se accantono 1000 euro con un fondo pensione e la mia aliquota IRPEF marginale è 23%, di fatto il mio impegno è di 1000 meno 230 (tasse pagate in meno), cioè 770 (se vogliamo essere pignoli, i 230 prima li anticipo, poi li recupero, ma questo non modifica la sostanza del ragionamento). Quindi, io sborso 770 ma il mio fondo pensione investe per me 1000 euro (meno i costi), mentre nel fai-da-te, se sborso 770 euro, investo per 770 (meno i costi). Ciò significa che per ottenere prestazioni paragonabili, se io mi attendo di ottenere mediamente il 7,00% annuo con il fai-da-te per un accumulo di 20 anni, al fondo basterà un più facile 4,76% (con beneficio d’inventario: questo è un calcolo grezzo, senza ipotesi sui costi). Naturalmente, più alto è il rendimento che mi aspetto di ottenere, meno incide l’effetto fiscale (ma se addirittura io pensassi di ottenere il 15% annuo, al fondo basterebbe ancora un 2% in meno). Bisognerebbe considerare anche altri elementi, ma credo che, tra quelli oggettivi, questo sia il più rilevante.

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          Sono stato un po’ veloce: a controbilanciare i dati che ho presentato c’è la tassazione delle prestazioni, ma non è tale da azzerare il vantaggio in fase contributiva. Tenere conto di tutti gli effetti fiscali in un confronto tra strumenti diversi non è facile e richiede di formulare altre ipotesi, ma io volevo solo segnalare che è opportuno tenere conto di questa variabile.

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            A parte se riesci ad avere rendimenti del 7% annuo composto o addirittura del 15% i soldi te li do io e smetto di lavorare 🙂

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              Appunto per questo è rilevante l’effetto della deduzione dei contributi. Significa che per fare un fai da te competitivo occorre assumersi rischi (molto) superiori.

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                Preferisco non portarli in deduzine e non tassarli all’erogazione. Mi pare sia possibile, no?
                In ogni caso il conto che fai non mi sembra del tutto corretto, devo ragionarci su, ma non credo che il vantaggio fiscale sia immediatamente assimilabile all’aliquota media. (a pelle, devo verificare! 🙂 )

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                  Il vantaggio fiscale è la deduzione, quindi – se il reddito ha capienza, naturalmente – è pari all’aliquota marginale. Se ho un reddito lordo di 30000, versando contributi per 2000 lo riduco a 28000, quindi risparmio il 38% (aliquota dello scaglione superiore ai 28000). Se invece i contributi sono 3000, allora risparmierò il 38% su 2000 e il 27% su 1000.

                  Per quanto riguarda la tassazione all’erogazione, senza stare a fare tanti conti si può osservare che verrà tassato solo quanto viene dai contributi portati in deduzione, quindi il vantaggio è dato dal differimento della tassazione (che è già positivo) ma anche dal fatto che l’aliquota a cui saranno tassate le prestazioni (variabile dal 15 al 9% in funzione della durata della permanenza nel fondo; 23% in caso di riscatto) sarà inferiore a quella che pagherei oggi non deducendo (vedi sopra).
                  Ne consegue anche che da un punto di vista fiscale sarebbe meglio aderire il prima possibile (ma questo potrebbe andare contro altre esigenze soggettive di pianificazione).

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                    Ciao, ho fatto un paio di conti, ed effittivamente il vantaggio e’ uguale all’aliquota marginale maggiore.Io invece avevo in mente l’aliqota media, che e’ assolutamente diversa e viene colpita quindi diversamente. Quindi il concetto e’, ora mi risparmio una tassazione alla aliquota marginale maggiore, per essere tassato poi ad una aliquota separata minore in sede di erogazione.
                    In tutto questo bisogna vedere come rientrano i costi di gestione del fondo pensione. Ovvero se i costi sono maggiori della differenza di tassazione tra il risparmio in fase di accumulo e quella in fase di erogazione (se rimane la stessa). Uhm…arduo confronto…ad occhio mi sembra che i costi del fondo debbano essere altissimi per non diventare convenienti (al dilà della gestione).

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                      Come ha già detto Raffaele Zenti sia nel post sia nei commenti, i costi del fondo pensione sono un fattore rilevante, ma credo ce ne siano diversi con costi accettabili. Bisogna poi tenere conto del rendimento generato negli anni dalla quota dedotta.

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    io me lo faccio fai-da-te con un c/deposito.
    ogni mese, metto circa EUR 250 in un c/deposito vincolato a 18 mesi con remunerazione al 2,5%.
    scaduti i 18 mesi, ri-vincolo nuovamente il tutto (capitale e interessi)!

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      Ti sarai accorto però che ogni mese che passa il CD cala il suo rendimento. CheBanca (non che sia tra i più remunerativi) ha tagliato di nuovo, da 2 giorni da solo il 2 lordo annuo (1,8 netto).
      Meditaci su.

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    Ciao Raffaele,
    ma questo articolo non dovrebbe stare sotto la “Guida al Risparmio” insieme ad Educazione Finanziaria 1° ?

    Grazie

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