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Standard & Poor’s declassa l’Italia. Cosa rischia il nostro Paese

L’agenzia di rating Standard & Poor’s ha tagliato il giudizio sull’Italia da BBB+ a BBB, con outlook negativo. La decisione dell’agenzia di rating riflette la prospettiva di un ulteriore peggioramento dell’economia italiana in un decennio in cui la crescita reale media è stata al di sotto dello 0,04%. Abbassate anche le previsioni sul PIL per il 2013, a -1,9% (da -1,4%). Il rapporto debito/PIL è visto al 129% alla fine dell’anno.

Secondo S&P la bassa crescita dell’Italia deriva in gran parte dalla rigidità nel mercato del lavoro e della produzione, il costo del lavoro è più alto che in qualunque altro Paese dell’UE. Problemi annosi, che devono trovare una soluzione politica forte e condivisa e che, per l’agenzia americana, ancora non sono stati presi neanche in considerazione. L’outlook è negativo, dicevamo, con il 33% di possibilità di abbassarlo ancora nel 2013 o nel 2014.

Oltre ai noti fattori economici, pesa sul giudizio dell’agenzia di Rating il rischio del rispetto dei vincoli di bilancio. Nel comunicato ufficiale, S&P nutre qualche dubbio sulla capacità della traballante coalizione di saper trovare le risorse necessarie per compensare il rinvio o rimodulazione dell’imposta sugli immobili (IMU) e l’aumento dell’IVA (elementi di contrasto tra i partiti di coalizione: PD e PdL).

Con questo taglio operato dall’agenzia, il nostro Paese è solo due gradini sopra il livello di “junk”, cioè spazzatura.

Quali sarebbero le conseguenze?

Sarebbe un bel problema per l’Italia, visto che i suoi titoli di Stato (ricordiamo che siamo la quarta nazione al mondo come mercato obbligazionario, come peso, forza ed emissioni) verrebbero automaticamente scartati da tutti quei fondi, nostrani e non, che non possono detenere titoli “spazzatura” in portafoglio, questo per obbligo imposto dalle autorità ai gestori. Le ripercussioni sarebbero pesanti.

Si spera che questo declassamento, che il Tesoro ha definito “con motivazioni retrospettive e non condivisibili”, consolidi la convinzione all’interno del Governo Letta di attuare riforme vere e senza paura, non perchè sono suggerite da S&P e dall’FMI, ma più in generale dal buon senso.

rating S&P per paese

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Ultimi commenti
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    A brevissimo lo spread tra i titoli Spagnoli e i Bund sarà inferiore a quello dei BTP-Bund e il mondo si accorgerà di chi è il vero grosso malato d’Europa. Ricordo a tutti che la tassazione complessiva sul reddito da impresa in Spagna supera di poco il 35% quindi la Spagna che che se ne dica ha ampi margini per fare cassa se avesse necessità, nella bella Italia la tassazione complessiva sul reddito da impresa è il 68% incluse INPS e IRAP oltre ovviamente IRPEF e addizionali Reg. e Com.
    I margini di manovra non ci sono più. Resta l’ultima spiaggia della maxi patrimoniale, simil prelievo Amato, ma questa volta sarà elevato al cubo.

    L’Italia è un paese dove conviene di più fare il dipendente statale ipertutelato e con un netto in busta molto più elevato a parità di reddito lordo piuttosto che fare impresa con rischi annessi e connessi, un massacro di tasse che ti lasciano solo le briciole e alla fine pure una pensione da fame (a meno che ovviamente l’impresa non abbia margini stratosferici, ma sono rari i casi).

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    la rigidita’ viene sempre chiamata in causa, ma in realta’ e’ la tassazione sul lavoro il vero problema. in realta’ contratti piu’ flessibili vogliono portare ad essere piu’ competitivi svalutando gradualmente i salari, in un processo piu’ lungo e socialmente doloroso.

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