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L’economia cinese decelera. Ecco perché e quali sono i rischi

Ricordate il gigante dell’Est? La forza economica della Cina? Dopo alcuni anni caratterizzati da un boom di esportazioni, le autorità cinesi ora stanno cercando di ridurre la dipendenza della loro economia dall’eccessivo credito. Tale manovra muove verso un rallentamento della crescita e potrebbe portare con se cambiamenti e rischi per l’economia.

Alcuni osservatori cinesi, guardando con un certo timore l’elevata leva finanziaria generata dalla crescita massiva del credito, si sono concentrati su due possibili scenari:

  1. i leader cinesi riescono a guidare il Paese verso un atterraggio economico morbido, di riduzione della crescita del Pil, basato su politiche in grado di frenare la crescita del credito (c.d. sistema bancario ombra).
  2. i leader cinesi non riescono a frenare la crescita del credito con il rischio di un effetto “Lehman”.

Entrambi gli scenari vedono una drastica riduzione della leva finanziaria ed un crollo della crescita cinese. In particolare, riguardo quest’ultimo aspetto, secondo Martin Wolf, se la velocità di riduzione del tasso di crescita annua del PIL non verrà calibrata correttamente, la decelerazione degli investimenti che ne conseguirebbe, potrebbe generare spirali depressive sull’economia della nazione.

J. Frankel descrive inoltre alcuni cambiamenti in atto in Cina ormai da qualche anno, concentrandosi in particolare sull’aggiustamento della bilancia commerciale: questo significa che per anni la Cina ha esportato più di quanto importava.Tra le motivazioni troviamo:

  • la carenza di  manodopera e rapidi incrementi salariali (che potrebbero ridimensionare il c.d. problema del dumping sociale) ;
  • la migrazione di alcune produzioni all’estero dove salari e prezzi sono più bassi con conseguente spostamento dell’export verso queste aree;
  • il rapido invecchiamento della popolazione. A riguardo, l’economista J. Frenkel evidenzia come questo trend potrebbe comportare nel tempo minori risparmi per la pensione e cittadini cinesi che spendono di più di quanto introitano. La caduta della tasso di risparmio nazionale avrebbe ricadute in termini di riduzione delle esportazioni nette.

Non di minor importanza il tema della “guerra delle valute”. Alcuni economisti, principalmente americani, si sono concentrati sulla perdita di competitività che le merci cinesi stanno subendo sui mercati internazionali per effetto del disallineamento del cambio (vedere grafico).

Tasso di cambio reale effettivo dello yuan cinese vs resto del mondo
(clicca per ingrandire)

Tasso di cambio reale effettivo dello yuan cinese vs resto del mondo

Il grafico mostra l’andamento del tasso di cambio reale effettivo dello yuan cinese, un indicatore sintetico di competitività delle merci cinesi rispetto a quelle degli altri Paesi. L’indice considera la media dei vari cambi reali bilaterali tra Cina e resto del mondo (ad esempio tasso di cambio reale yuan/dollaro, yuan/euro ecc.). Un suo aumento indica apprezzamento reale dello yuan, ovvero che le merci cinesi costano di più rispetto a quelle del resto del mondo.

Lo yuan è stato agganciato al dollaro per 10 anni, dal 1995 al 2005, questo ha permesso alla Cina di difendere la propria competitività verso gli USA in determinati periodi. Tuttavia, il dollaro si è apprezzato (1995-2002), la Cina quindi ha perso competitività in termini di prezzo nei confronti del proprio mercato estero. Nonostante ciò, il surplus ha continuato a crescere, questo grazie ad innovazione e ricerca, che ha permesso di spingere le esportazioni.

Da quando lo yuan ha iniziato a fluttuare (luglio 2005), il cambio yuan/dollaro ha cominciato a rivalutarsi (con qualche battuta di arresto ad esempio nel 2008, l’anno di Lehman Brothers). Il cambiamento in atto, quindi, vede una rivalutazione nominale della valuta cinese rispetto a quella americana ed un aumento dell’inflazione rispetto ad USA, area euro e G7.

Per concludere, la Cina è come un’automobile lanciata a 200 km/h in una strada sterrata. Il volante è nelle mani del leader Li Keqiang, a lui spetta il difficile compito di decelerare e stabilizzare la velocità dell’automobile, altrimenti si corre il rischio di finire fuori strada.

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Ultimi commenti
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    Mi spieghi bene la relazione tra minore risparmio e esportazioni nette? Si presume cioe’ che la produzione interna non rispecchi le necessita’ interni e quindi si importi di piu’?

    Inoltre, su un articolo postato in community (non l’ho ancora letto, mea culpa) si fa riferimento ad uno yuan sottovalutato [A cura di Torsten Harig, Investment Specialist di Deutsche Asset & Wealth Management (gruppo Deutsche Bank) ]. Se Torsten avesse ragione, cio’ porterebbe le esportazioni cinesi ad abbassarsi ulteriormente. Sarebbe un aiuto nella “decrescita felice” della Cina?

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      Ciao Massimo in riferimento alla tua prima domanda utilizziamo il modello keynesiano tradizionale in particolare l’equazione del reddito nazionale che in uno schema semplificato possiamo scrivere S-I=x-m. Da questa realazione è facile capire che ogni eccesso domanda (positivo/negativo) sul mercato dei capitali e quindi dei beni e servizi si riflette in una differenza di stesso segno delle esportazioni nette. Quanto tu dici è quindi esatto se in una economia esiste uno squilibrio di eccesso di domanda (positivo) sul mercato dei beni (quindi I>S) non potendo la produzione interna soddisfare l’intera domanda questa si traduce in domanda per beni esteri, in questo caso m>x. Nel caso Cina, S>I e quindi x>m (ricordi si sentì molto parlare allo scoppio della crisi dei mutui sub-prime di squilibri globali). Naturalmente se il tasso di risparmio si riduce da quanto ci siamo detti a parità di esportazioni (devi considerarle come un dato dal momento che dipendono dal reddito estero) le esportazioni nette si riducono. Questo meccanismo di aggiustamento non credo sia la soluzione agli squilibri globali semplicemente perchè il problema è di tipo strutturale legato all’esistenza di un “non sistema monetario internazionale” dollarocentrico. Infine, riguardo la decrescita felice direi che fa un pò senso parlare di decrescita però felice!?

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        Diciamo che ho usato un concetto impropriamente. Intendevo piu’ un atterraggio morbido dell’economia, una decelerazione controllata.

        Per decrescita felice sono quasi certo che si indichi invece quella situazione per cui il consumismo viene ridotto per una produzione e un utilizzo di beni durevoli, non intesi come investimenti in conto capitale, ma come contrario di beni usa e getta. A me sembre ridicolo e del tutto insensato che una automobile prima durasse 20-30 anni e ora dopo 10 se quasi costretto a cambiarla, ma anche dover cambiare cellulare ogni anno perche’ e’ progettato per durare(come le auto del resto) 1 anno. C’e’ chi estremizza e vorrebbe tornare a mettere i cappotti anche al contrario se da un lato sono usurati.

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