Il giorno successivo al primo turno delle presidenziali francesi è stato un lunedì nero per i mercati del vecchio continente. Tra gli operatori si parla di Risk off: borse giù, obbligazioni meno sicure giù, spread in risalita e Bund ai minimi storici di rendimento sulle scadenze rifugio a 5 e 10 anni. Ma se finora le preoccupazioni arrivavano dai Paesi periferici, con Spagna in testa, ed erano concentrate sul sistema bancario e sul mancato raggiungimento dei target di bilancio, sul finire della scorsa settimana l’umore è cambiato e sull’onda del risultato elettorale francese il contagio ha travolto anche i Paesi “core”, quei Paesi che finora non erano stati lambiti dal clima di sfiducia.
E pensare che nel fine settimana era arrivato un raggio di sole dal Fondo Monetario con l’annuncio dell’incremento delle disponibilità finanziarie a 430 miliardi di Euro nel caso di necessità per i Paesi in crisi. Niente da fare, la bufera è tornata sui mercati finanziari europei.
Gli eventi di questi giorni hanno riportato alla ribalta dubbi ed interrogativi che le due iniezioni di liquidità della Banca Centrale Europea (LTRO) avevano solo temporaneamente rimosso dai mercati finanziari. In Europa il problema non è la disciplina fiscale, ma l’assenza di crescita.
La crisi dell’area Euro, tra l’altro, fa male ai politici continentali: ogni volta che è chiamata al voto, l’opinione pubblica dà segnali anti-euro. Lo vediamo in Olanda, un Paese che non ha grandi problemi né di deficit (4,6% la stima) né di debito (pari al 65,2% del PIL) dove, per usare un eufemismo, si fatica a trovare un accordo sul budget, tanto che il Premier Rotte è stato costretto alle dimissioni. La prospettiva per il Paese nordeuropeo è quello di elezioni subito dopo l’estate e un probabile downgrade delle agenzie di rating. La sfiducia elettorale per le istituzioni europee è ancora più chiara in Francia, non tanto (o non solo) per la sconfitta al primo turno di Nicolas Sarkozy, “raccomandato” di ferro della Germania della Cancelliera Merkel, ma soprattutto per il voto chiaramente anti-europeista che ha portato l’estrema destra di Marine Le Pen a sfiorare quota 20%.
A questo punto la domanda che ci si pone è: ma vale davvero la pena restare nell’Euro? E perché fare tanti sacrifici in termini di crescita per rimanere nell’Euro? Non si stava forse meglio prima?
Guardando il grafico (PMI Euro e Paesi) l’euroentusiasmo viene meno. Anche in Germania il dato sull’indice dei direttori degli acquisti del mese di aprile ha registrato un brusco calo a 46,3 e un dato sotto 50 fa presagire una contrazione.
Indice PMI di Italia, Francia, Germania e Zona Euro. CLICCA PER INGRANDIRE.
Su questo blog si è già scritto degli effetti disastrosi di un abbandono dell’Euro da parte di un Paese o del fallimento del progetto della moneta unica ma, di fronte a questi segnali, è certo che non si possa rimanere impassibili.
I politici europei, e mi rivolgo soprattutto al trio Merkel, Monti e Sarkozy dovrebbero recepire e tradurre questi segnali. L’austerità a qualunque costo non è la soluzione alla crisi, non porta a correggere i problemi strutturali dell’Euro ma anzi, in questa fase, li aggrava. Poco comprensibile è la scelta di introdurre nella nostra Costituzione l’obbligo del pareggio di bilancio se la strada per raggiungerlo è un aumento continuo delle tasse, proprio come hanno scritto Tito Boeri e Fausto Panunzi in un post su lavoce.info.
Condivido in pieno i commenti di alcuni economisti (Megan Greene in un bell’articolo sull’Independent) che stanno ponendo l’accento sul fatto che la crisi Euro non sia unicamente una crisi di debito derivante da scarsa disciplina fiscale (la tesi tedesca) ma una crisi di “crescita”. Come sostiene Krugman: l’austerità senza la crescita economica genera un circolo vizioso che peggiora la malattia che vorrebbe curare.
Riusciranno i leader europei a spezzare questo circolo vizioso?