Cosa c’è nel futuro dell’Italia: crescita o austerity?
Le elezioni italiane 2013 si avvicinano e le agende politiche si vanno delineando (nei limiti stretti imposti dalle capacità dei politici italiani, ça va sans dire). È quindi caldissimo il dibattito tra coloro che sostengono che l’austerity sia fondamentale, perché è stata proprio la mancanza di rigore a generare questa crisi economico-finanziaria, e coloro che invece danno priorità al rilancio dell’economia, perché senza crescita non si va da nessuna parte.
Sento e leggo commenti tipo: “L’austerity è il primo passo, il resto dopo”, oppure “L’austerity è l’unica via per raddrizzare l’Italia”, e così via. Il filone è quello del moralismo economico.
Sarò brutale: penso che il problema non si dovrebbe nemmeno porre, a meno che non siate a corto d’argomenti di conversazione in una serata tra amici e intendiate animare l’ambiente con una bella rissa verbale…
Il motivo della mia secca opinione? Eccolo servito: la dinamica del rapporto tra debito pubblico e PIL è governata da (mi raccomando, non vi spaventate e state con me) un’equazione che, a differenza di tante fesserie modellistiche che girano nel mondo della finanza e dell’economia, è esatta. Sì, avete letto bene, è esatta: cioè non è una congettura, frutto di approssimazioni più o meno fantasiose della realtà, bensì si tratta di una relazione che è figlia primogenita della contabilità dello Stato. Deriva rigorosamente dalla struttura dei conti pubblici ed è semplicissima. Ci dice che il rapporto tra debito pubblico e PIL cresce se risulta maggiore di zero la seguente grandezza (ecco il passaggio più ardito):
Ora proviamo a ragionarci su in modo chiaro.
Innanzitutto una domanda: perché tutta questa enfasi sul rapporto debito/PIL? Pensate allo Stato come a una famiglia e al PIL come al reddito di questa famiglia: se questa famiglia è indebitata e smette di percepire reddito, come fa a ripagare il debito? Voi gli prestereste somme sostanziose? Ecco dunque spiegato perché si guarda insistentemente al rapporto tra debito e PIL di un Paese.
Come fare a ridurre questo maledetto rapporto debito/PIL?
Le variabili che un Paese può teoricamente manovrare sono
- i rendimenti dei titoli di Stato;
- l’inflazione (che erode il valore del debito e lo sgonfia);
- l’avanzo primario (ha un nome spaventevole, ma è solo la differenza tra le entrate, al netto degli interessi pagati sul debito, e le uscite dello Stato);
- la crescita economica.
Però questa è la teoria. Vediamo cosa succede nella pratica.
L’Italia non può agire direttamente sul rendimento dei titoli di Stato. Infatti, il rendimento dei Titoli di Stato è in mano ai mercati, a meno che il Paese non sia rimosso dall’arena finanziaria con un “bailout” (vedi ad esempio l’Irlanda e la Grecia): in tal caso il Paese viene messo in una specie di riserva indiana e paga tassi d’interesse “di favore”, eliminando una parte dei problemi.
Anche l’inflazione è una variabile fuori controllo per l’Italia, perché viene “gestita” a livello europeo dalla BCE.
Poi c’è la variabile che ci fa soffrire di più: l’avanzo primario, il cui conseguimento segna la via dell’austerità tanto amata dalla Germania. Come si percorre questa via? Bisogna aumentare le entrate e/o diminuire le uscite. Lo Stato può incrementare le entrate vendendo pezzi del suo patrimonio e/o aumentando le tasse (ma siamo già un Paese con pressione fiscale record!). Poi c’è il taglio della spesa pubblica, intervenendo sul costo della pubblica amministrazione, che in Italia è notoriamente un carrozzone. Ma significa anche colpire la scuola, l’istruzione e ridurre ulteriormente il “welfare”, intervenendo su pensioni e sanità. Questa continua diminuzione del “welfare”, in un Paese anagraficamente vecchio equivale a smantellare qualsiasi forma di Stato sociale. Sempre più spesso, infatti, le famiglie italiane attingono dai propri risparmi per sopravvivere e aiutare figli, genitori o fratelli in difficoltà. “Si riscopre il valore della famiglia”, dice qualcuno. Vero. Tuttavia così non si va lontano. In tale situazione i consumi sono depressi, il reddito scende e con esso il gettito fiscale, a parità d’altre condizioni. Bisogna allora tagliare qualcos’altro o imporre nuove tasse. Con un effetto depressivo sull’economia che supera i benefici sui conti pubblici: così il rapporto su debito/PIL continua a crescere, in un circolo vizioso.
Attenzione, l’Italia è stata capace, in anni recenti, di conseguire avanzi di bilancio: per il 2012 la stima del FMI è pari a +2,6%. Ma nel piano d’austerità europeo, pensato con teutonico rigore, si tratta di conseguire un avanzo primario del 5% nel 2014 e tenere duro fino al 2030: poco verosimile, una via crucis lunga sedici anni! Per convincersi basta guardare il grafico con il rapporto debito/PIL: nonostante le lacrime e sangue, continua a crescere, quindi qualcosa non va…
Quel “qualcosa” è la quarta variabile in gioco, cioè la crescita economica. Essa non si manifesta spontaneamente come la fioritura dei campi in primavera. Piuttosto, noi italiani siamo nella situazione di chi ha campi cosparsi di sale: difficilmente si avranno buoni raccolti. Insomma, per avere crescita economica, in un Paese soffocato da tasse e cunei fiscali impossibili, burocrazia, corporativismo e mafie, occorre agire in modo strutturato e strutturale. Pensate, quest’azione avrebbe anche un nome: si chiama “politica economica”.
In ultimo ci sarebbe un altro modo di ridurre il pesante fardello rappresentato dal rapporto debito/PIL: ridurre l’ammontare del debito con una ristrutturazione, un default insomma. Ritengo che sebbene l’Italia abbia un avanzo primario (e ciò renderebbe efficace, almeno nel breve termine, il ricorso ad un default) questa strada sia una delle più dolorose e delle meno sensate per il nostro Paese. Un ritorno alla lira (perché questa sarebbe l’implicazione di un default dell’Italia) farebbe, fra le altre cose, cessare qualsiasi canale di ingresso di capitali in Italia, ne impedirebbe l’accesso ai mercati finanziari internazionali, bloccherebbe qualsiasi politica di sviluppo. L’Italia deve fare l’opposto: puntare a tornare protagonista sulla scena internazionale, attraendo capitali ed investimenti esteri.
Tornando alla nostra equazione del debito, spero vi siate formati un’opinione personale, che vi invito a condividere. Ma credo sia chiaro a tutti che il problema del contenimento del debito vada affrontato da più fronti e che la crescita economica sia un’ovvia priorità: di sola austerità si muore. E il debito/PIL cresce comunque…
Le elezioni politiche sono imminenti: attenzione ai programmi di politica economica, l’Italia si gioca tutto lì.
Gianni / Gennaio 16, 2013
Votate quindi Beppe Grillo e poi emigriate.
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JenaBruna / Gennaio 16, 2013
Chi pensa che la crescita non sia un must è pazzo! Chi voterá per coalizioni sbagliate manderà il paese gambe all’aria!
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Gianni / Gennaio 16, 2013
Caro Zenti, francamente speravo che dicesse che l’equazione Debito/PIL non è esatta.
Invece la sua analisi come al solito lucidissima mi terrorizza alquanto, sopratutto perché si desume che l’unica speranza è contare sui politici, che equivale a dire: “presto gli spread torneranno sopra 500pb, emigrate, portate tutti gli euro che avete all’estero e si salvi chi può”
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Raffaele Zenti / Gennaio 16, 2013
Caro Gianni…Mai come in questo momento, sia negli USA (debt ceiling/fiscal cliff) che in EU (e in Italia, dunque), il mondo mette il suo prossimo futuro nelle mani dei politici. In effetti è preoccupante. Ma abbiamo una grossa occasione (molti pensano sia inutile e secondo me sbagliano di grosso): esprimere il nostro parere, con il voto. Pragmaticamente. Senza farsi incantare dagli imbonitori. Pensando non solo alle solite promesse elettorali di breve termine, ma anche ai figli, ai nipoti, a noi stessi da vecchi.
Quindi, il mio modestissimo consiglio è: guardate i programmi, riflettete e votate. Noi di Advise Only cercheremo di tenervi informati, anche nelle prossime settimane 😉
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francesco lenzi / Gennaio 16, 2013
dovremmo però innanzitutto considerare che non esiste in letteratura un limite univocamente identificato oltre il quale il debito non è sostenibile. Per cui non è detto che arrivati al 130%, o oltre, si presentino a Roma i “bond vigilantes” a chiedere il pagamento di quanto dovuto. E poi, si parla sempre di debito pubblico, ma se esiste un debito, esiste anche un credito. Chi ha prestato i soldi allo Stato e perché non dovrebbero più rifinanziarlo? Nell’ottica della “famiglia” da lei introdotta, il problema risiede nel fatto che questa famiglia si è indebitata con altre famiglie (estero). Se la famiglia avesse debiti tra padre e figlio, sarebbe veramente un problema? Forse analizzare la questione del debito pubblico in un’ottica di debito estero, o meglio analizzare il problema per quello che è, cioè eccesso di debito estero (soprattutto di natura PRIVATA) aiuterebbe a capire meglio la crisi dell’euro zona e le possibili soluzioni. Non crede?
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Paolo Sax Sassetti / Gennaio 17, 2013
salve, ho affrontato lo stesso tema con una simulazione in Excel: http://www.soldionline.it/notizie/economia-politica/sulla-mutevole-sostenibilita-del-debito-pubblico-italiano
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Eligio Bosco / Gennaio 18, 2013
Gentile Raffaele, complimenti per il
tentativo difficilissimo di parlare di economia e finanza a “pane e salame”, per citare un vecchio tuo post.
Quanto a questo post “Italia, crescita economica o default”, la mia umile opinione è che anche
questa è un ‘equazione esatta: o si avrà crescita economica o si avrà default.
Dove crescita economica è uguale a
PIL= C+I+G +Im-Ex.
Perché aumenti il PIL e si generi crescita è necessario che o diminuiscano le Importazioni (Im), o aumenti qualcuna della altre variabili.
La G (di governement) che rappresenta la spesa pubblica siamo già obbligati a diminuirla per riportare il
debito pubblico entro il 60% del Pil entro il 2032 (se non ricordo male), peccato che non si legga in nessuna agenda ed in nessun programma elettorale il come rispettare questo impegno.
La crisi che riduce i consumi (lettera C) spinge anche a ridurre o quantomeno a rimandare gli investimenti (I).
Per fortuna l’Export (Ex) tiene.
Tradotto, vuol dire che l’unica vera variabile lavorare sulla spesa pubblica riuscendo a spendere meglio
nonostante l’impegno a spendere meno.
Certo in un paese in cui direttamente tutti abbiamo banchettato al tavolo della spesa pubblica, chi con una
sola tartina e chi con ricchissimi pasti, questo vuol dire che, contestualmente, diminuendo la Spesa Pubblica (G), diminuiscono anche i consumi.
Reindirizzare la spesa pubblica verso ciò che è produttivo e richiesto dai mercati in crescita, favorendo
l’export potrebbe generare qualche sussulto negli Investimenti (I), ed avere effetto espansivo.
Questo per il conto economico, quanto al passivo dello stato patrimoniale, ovvero allo stock di debito pubblico, bisognerà fare tutto.
Non si può scegliere “o questo ” o“quello”, dovremo fare questo e quello:
1. vendere tutto ciò che è
possibile (che, attenzione non è tantissimo, perché la stagione degli immobiliaristi pesa, la maggior parte degli uffici pubblici ed anche delle caserme in uso sono già state vendute, e lo Stato ora paga l’affitto a ….);
2. tagliare e rimodulare tutto il welfare (al nido mio figlio pagava la retta massima 600,00 euro ma al comune il costo bambino era di 1.200,00);
3. aumentare la tassazione (già fatto? Non è finita…):
4.repressione finanziaria della ricchezza con tassi ufficiali artificiosamente più bassi dell’inflazione,
5. una rinegoziazione di almeno una parte del debito (domestico?, Una nuova Rendita Italiana 5%?).
Se non riusciamo c’è solo il default, con Pil in caduta libera e l’esplosione della “I” di Import visto che
noi Italioti siamo energivori, sia privati che aziende.
Chi spera nella liretta per esportare si ricordi che negli anni 70 eravamo come i cinesi “labour intensive”, per cui pago gli operai in lire e vendo in marchi, mentre oggi siamo “technology intensive”, per cui pagheremmo
l’energia in valuta forte e non potremmo essere più competitivi di adesso.
Certo, poi potremmo diventare la Germania dell’EuroMed(iterraneo), ma questa è fantapolitica e fanteconomia.
Per fortuna, politici permettendo, siamo ancora la quarta economia mondiale per consumi di macchine utensili (qui si lavora!) ed il nostro debito è troppo grosso perchè
i creditori vi rinuncino.
Infatti, osservo cos ha fatto Monti per convincere i creditori:
1.riforma immediata delle pensioni
(dateci tempo, facciamo sul serio, spenderemo meno)
2.incovertabilità immediata della lira con l’euro
(se non mi date tempo faccio crack e torno alla lira).
Chi sono i creditori, chiede Francesco Lenzi: i paesi con con forti avanzi primari ed i fondi Sovrani, loro e non solo, se non credete a me leggete questo di Consob
http://www.consob.it/main/consob/pubblicazioni/studi_analisi/discussion_papers/dp3.html
Scusatemi molto ma la sintesi non è il
mio forte!
buon lavoro e buona vita a tutti
/
Eligio Bosco / Gennaio 18, 2013
Scusate nell’equazione del Pil c’è un’inversione di segni tra Import ed Export
PIL = C+I+G- Im+ Ex
Scusate
buon lavoro e buona vita
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Raffaele Zenti / Gennaio 19, 2013
Mhhh…in che senso?
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Eligio Bosco / Gennaio 19, 2013
Avevo scritto un commento con la formula errata. Non so perchè ma è apparso solo il commento di correzione al primo! Ieri sera l’ho scritto nuovamente…. Ma non c’è. Pazienza penso che la community possa sopravvivere pur non conoscendo la mia opinione. Buon fine settimana e buona vita.
Eligio Bosco
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Eligio Bosco / Gennaio 18, 2013
Scusate ho scritto un post, l’ho corretto ma vedo solo al correzione, pertanto, ve lo rimando.
Gentile Raffaele, complimenti per il tentativo difficilissimo di parlare di economia e finanza a “pane e salame”, per citare un vecchio tuo post.
Quanto a questo post “Italia, crescita economica o default”, la mia umile opinione è che anche questa è una equazione esatta: o si avrà crescita economica o si
avrà default.
Dove crescita economica è uguale a
PIL= C+I+G -Im+Ex.
Perché aumenti il PIL e si generi crescita è necessario che o diminuiscano le Importazioni (Im), o aumenti qualcuna della altre variabili.
La G (di governement), che rappresenta la spesa pubblica, siamo già obbligati a diminuirla per riportare il
debito pubblico entro il 60% del Pil entro il 2032 (se non ricordo male), peccato che non si legga in nessuna agenda ed in nessun programma elettorale il come rispettare questo impegno.
La crisi che riduce i consumi (lettera C) spinge anche a ridurre o quantomeno a rimandare gli investimenti (I).
Per fortuna l’Export (Ex) tiene.
Tradotto, vuol dire che l’unica vera variabile lavorare sulla spesa pubblica riuscendo a spendere meglio nonostante l’impegno a spendere meno.
Certo in un paese in cui direttamente o inderattamente tutti abbiamo banchettato al tavolo della spesa pubblica, chi con una sola tartina e chi con ricchissimi pasti, questo vuol dire che, contestualmente, diminuendo la Spesa Pubblica (G), diminuiscono anche i consumi.
Reindirizzare la spesa pubblica verso ciò che è produttivo e richiesto dai mercati in crescita, favorendo
l’export potrebbe generare qualche sussulto negli Investimenti (I), ed avere effetto espansivo.
Questo per il conto economico, quanto alal passivo dello stato patrimoniale, lo stock di debito pubblico, bisognerà fare tutto.
Non si può scegliere “o questo ” o “quello”, dovremo fare questo e quello:
1.vendere tutto ciò che è possibile (che, attenzione non è tantissimo, perché la stagione degli immobiliaristi pesa, la maggior parte degli uffici pubblici ed anche delle caserme in uso sono già state vendute, e lo Stato ora
paga l’affitto a ….);
2. tagliare e rimodulare tutto il welfare (mio figlio al nido pagava la retta massima di 600,00 euro ma il costo bambino al comune era pari a 1.200,00 euro, la mia tartina!)
3. aumentare la tassazione (già fatto? Non è finita…):
4. repressione finanziaria della ricchezza con tassi ufficiali artificiosamente più bassi dell’inflazione;
5. una rinegoziazione di almeno una parte del debito (domestico? Una nuova Rendita Italiana 5%).
Se non riusciamo c’è solo il default, con Pil in caduta libera e l’esplosione della “I” di Import visto che
noi Italioti siamo energivori, sia privati che aziende.
Chi spera nella liretta per esportare si ricordi che negli anni 70 eravamo come i cinesi “labour intensive”, per cui “pago gli operai in lire e vendo in marchi”, mentre oggi siamo “technology intensive”, per cui pagheremmo
l’energia in valuta forte e non potremmo essere più competitivi di adesso.
Certo, poi potremmo diventare la Germania dell’EuroMed(iterraneo), ma questa è fantapolitica e fantaeconomia.
Per fortuna, politici permettendo,siamo ancora la quarta economia mondiale per consumi di macchine utensili (qui si lavora!) ed il nostro debito è troppo grosso perchè
i creditori vi rinuncino.
Infatti, come ha fatto Monti per convincere i creditori:
1.riforma immediata delle pensioni
(dateci tempo, facciamo sul serio, spenderemo meno);
2. incovertabilità immediata della lira con l’euro (se non mi date tempo faccio crack e torno alla lira).
Chi sono i creditori, chiede Francesco Lenzi: i paesi con con forti avanzi primari ed i fondi Sovrani, loro e non solo, se non credete a me leggete questo di Consob
http://www.consob.it/main/consob/pubblicazioni/studi_analisi/discussion_papers/dp3.html
Scusatemi molto ma la sintesi non è il
mio forte!
buon lavoro e buona vita a tutti
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Paolo Rossi / Febbraio 13, 2013
Apprezzo molto la chiarezza e la semplicità dell’articolo. Specificherei magari che si può tagliare la spesa pubblica in maniera importante senza toccare per forza pensioni, sanità e scuola, perché degli 800mld di euro di spesa pubblica annuale, solo la metà è rappresentata da voci fondamentali e non tagliabili.
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Raffaele Zenti / Febbraio 14, 2013
Ottima puntualizzazione.
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Gianni / Settembre 18, 2013
Nell’articolo si dice: “Anche l’inflazione è una variabile fuori controllo per l’Italia, perché viene “gestita” a livello europeo dalla BCE.”
Ma l’aumento dell’IVA non consente invece all’Italia proprio di creare inflazione?
Lo chiedo perché stavo proprio pensando in questi giorni che l’Italia forse sistemerà tutto con dei begli aumenti di iva (il 22% tra poco sarà solo l’inizio di un lunga serie).
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Raffaele Zenti / Settembre 19, 2013
L’aumento dell’IVA fa aumentare i prezzi al dettaglio, chiaro. Ma lo scopo non è certo quello di creare inflazione per erodere il debito pubblico (che è una mossa di politica monetaria, controllata dalla BCE), bensì aumentare le entrate nel breve (politica fiscale, che è formalmente in mano agli Stati, seppur nei limiti dei parametri europei). Ovvio che se aumentano le entrate, a parità di altre condizioni migliora la situazione debitoria (migliora l’avanzo primario).
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Davide Marchi / Maggio 19, 2016
IDIOTI, MANCA LA SARDEGNA NELLA VIGNETTA!
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