Dopo oltre un mese di guerra e una serie di negoziati inconcludenti tra Russia e Ucraina, l’Europa sta valutando un quinto pacchetto di sanzioni contro Mosca. E si fa sempre più insistente l’idea di “disconnettersi” totalmente dal gas russo, da cui il Vecchio Continente è tradizionalmente dipendente.
Ma che impatto potrebbe avere una simile mossa sul percorso dell’Europa verso un’economia a basse emissioni di carbonio? E cosa significherebbe per gli investitori che scommettono sulla transizione energetica?
Quant’è complicato rinunciare al gas russo?
È chiaro che per ridurre l’uso di gas proveniente dalla Russia, l’Europa dovrà trovare un modo alternativo di produrre energia. E con ogni probabilità, farà più affidamento sul carbone, con buona pace dell’attenzione all’ambiente.
A dire il vero, il piano in dieci punti messo giù dalla Iea (International energy agency) per ridurre la dipendenza dell’Ue dal gas naturale russo lo scrive proprio nero su bianco: il Vecchio Continente dovrà aumentare l’utilizzo di carbone e petrolio per generare elettricità. Il che potrebbe far salire le emissioni di gas serra su scala globale nei prossimi cinque anni.
A fare i conti è un interessante articolo pubblicato sul blog di MSCI, che parte da un ragionamento molto lineare: può darsi che, per approvvigionarsi senza fare affidamento sulla Russia, l’Europa sia costretta a far ricorso a fonti energetiche non esattamente sostenibili e che questo rallenti il passo della transizione energetica nel breve termine.
Ma se dovrà mantenersi entro un “budget cumulativo” di emissioni nette pari a zero – e dovrà farlo – emissioni più elevate nel breve termine significheranno emissioni ancora più basse nel periodo successivo, in modo da bilanciare l’aumento. Insomma: la coperta è corta, che la si tiri da una parte o dall’altra non si allungherà.
I rischi di una transizione rallentata (ma poi accelerata)
Gli esperti di MSCI hanno utilizzato il Climate VaR (Value at Risk) per valutare il rischio finanziario dei titoli che costituiscono l’indice MSCI Europe Investable Market.
Si tratta di una metrica progettata per offrire una valutazione sul futuro, basata sul rendimento, per misurare i rischi e le opportunità legati al clima in un portafoglio di investimento. Il modello MSCI Climate VaR ha tre componenti principali, che possono essere utilizzate separatamente o in aggregato: rischio politico, opportunità tecnologiche e rischi fisici. Il modello, di tipo quantitativo, offre spunti sul modo in cui il cambiamento climatico potrebbe influenzare le valutazioni delle aziende in diversi scenari.
In questo caso specifico, sono stati considerati i rischi politici (negativi) e le opportunità tecnologiche (positive), calcolando poi il saldo netto tra le due componenti in due ipotetici scenari.
- Lo scenario “Sotto i 2 gradi Celsius”, con un graduale aumento del prezzo implicito del carbonio fino al 2050 e oltre.
- Lo scenario “Transizione rimandata”, in cui i prezzi del carbonio aumentano bruscamente negli anni 2030 per poi innescare la transizione.
Anche se può sembrare un po’ estremo, lo scenario “Transizione rimandata”, con i prezzi del carbonio che salgono oltre i 400 dollari per tonnellata negli anni 2030, può essere utile per comprendere i rischi e le opportunità derivanti dal ritardare l’azione per il clima, pur mantenendosi entro il budget netto zero.
I valori sono espressi come possibile cambiamento percentuale nel valore totale dell’equity nei vari settori.
Il grafico mostra il rischio netto – diviso per settore – associato al rischio politico (al ribasso) come i meccanismi di tariffazione del carbonio, e al rischio (al rialzo) associato alle potenziali opportunità per i fornitori di soluzioni per il clima.
Nello specifico, MSCI nota che:
- le perdite potenziali aumentano di circa 17 volte (facendo una media tra i settori) nello scenario della transizione rimandata rispetto allo scenario “Sotto i 2 gradi Celsius”;
- i rischi tra i due scenari cambiano soprattutto per il settore energetico e quello dei materiali, con un rischio netto al ribasso rispettivamente del 60% (“Transizione rimandata”) contro il 10% (“Sotto i 2 gradi Celsius”) e del 59% contro l’11%;
- nello scenario della transizione rimandata, i rischi per i servizi di comunicazione, i consumi di base e i consumi discrezionali portano a perdite finanziarie più alte rispettivamente di 24, 17 e 12 volte rispetto allo scenario alternativo.
Volatilità e incertezza guidano i mercati
L’analisi condotta da MSCI si riferisce all’Europa, vista la forte dipendenza del Vecchio Continente dall’energia russa. Ma il tema dell’aumento dei rischi si riscontra un po’ ovunque.
Negli Usa, per esempio, potrebbe esserci un rinnovato interesse per investimenti in combustibili fossili, visti i prezzi elevati e il fatto che l’amministrazione Biden non è riuscita finora a far approvare la legislazione che considera fondamentale per la lotta contro il cambiamento climatico. E la stessa amministrazione Biden, d’altro canto, sta insistendo da mesi per ottenere un incremento della produzione di oil per contenere i prezzi.
A prescindere dalla regione, comunque, le ultime settimane hanno mostrato chiaramente che incertezza e volatilità regnano sui mercati finanziari. E se nel breve termine i governi e i partecipanti ai mercati dovranno probabilmente trovare dei compromessi tra sicurezza energetica da un lato e progresso della transizione energetica dall’altro, sul lungo periodo essi dovranno fare i conti con la natura cumulativa delle emissioni, onde mantenere l’obiettivo di emissioni nette pari a zero entro i tempi previsti.
Monitorare rischi politici e opportunità tech
Analizzare diversi scenari – tra cui quelli legati al rischio climatico, che mostrano differenti traiettorie per la decarbonizzazione – può aiutare gli investitori a quantificare gli impatti potenziali che i cambiamenti dei rischi politici e le opportunità tecnologiche possono avere sul loro portafoglio.