I fatti salienti della settimana
Caos immobiliare. Tutto il settore cinese sta affrontando una serissima crisi di liquidità a seguito della campagna avviata del governo per ridurre la leva finanziaria. Il mese scorso, almeno quattro società si sono rivelate inadempienti. E presto scadranno i periodi di grazia per il ritardo dei pagamenti degli interessi sui bond dovuti da Evergrande.
Da segnalare poi Kaisa Group e le sue unità quotate a Hong Kong, sospese dagli scambi dopo che questo operatore ha segnalato problemi di liquidità e fatto sapere di aver mancato i pagamenti sui prodotti wealth che ha garantito.
Rallentamento in Cina. L’economia cinese è alle prese con nuove pressioni al ribasso e deve tagliare tasse e imposte per affrontare i problemi delle piccole e medie imprese, secondo il premier del Paese Li Keqiang.
Li non ha specificato la portata della nuova “pressione al ribasso” né la sua causa, ma – spiega Bloomberg – i funzionari cinesi generalmente usano questa frase in riferimento a un’economia in fase di rallentamento.
Banche centrali, parte prima. La Federal Reserve ha detto che ridurrà il suo massiccio stimolo da 15 miliardi di dollari al mese a partire da novembre, anche se il presidente Jerome Powell ha sottolineato che il tapering non comporterà un incremento dei tassi a breve. Per tutta risposta, il dollaro è andato un po’ giù. Record invece per i mercati azionari: Milano, addirittura, da settembre 2008.
Banche centrali, parte seconda. Mercati obbligazionari globali in rally dopo la decisione a sorpresa della Banca d’Inghilterra di mantenere fermi i tassi d’interesse: ma la vera sorpresa, scrive Bloomberg, è stata la distribuzione del voto, 7 a 2.
I titoli a breve termine sono stati i più colpiti: il rendimento a cinque anni degli Stati Uniti è sceso vicino ai minimi da tre settimane, mentre i rendimenti dei titoli britannici con scadenza simile sono colati a picco come non accadeva dal voto sulla Brexit.
Che tempo farà. Il G20 di Roma si è concluso con un accordo sul clima che fissa il termine per la fine dell’era del carbone a un genericissimo “prima possibile”. L’hanno così avuta vinta i colossi emergenti, alle prese con una popolazione in aumento che chiede lavoro, cibo, riscaldamento e benessere, e con obiettivi di crescita che di questo devono tenere conto.
Per farla breve: rinunciare al carbone sì, ma con calma e senza spingere. E il riscaldamento globale? E i cambiamenti climatici?
Parola a Glasgow. Subito dopo la conclusione del G20 di Roma, si è aperta la 26esima Conferenza delle Parti dell’Onu a Glasgow (Cop26).
Il presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden ha annunciato che più di 90 nazioni hanno sottoscritto un impegno congiunto tra Stati Uniti e Unione europea per ridurre collettivamente le emissioni globali di metano del 30% rispetto ai livelli del 2020 entro il 2030.
Nel frattempo, cento Paesi, che rappresentano l’85% delle foreste mondiali, si daranno nove anni di tempo per fermare e invertire la deforestazione: altro nuovo importante impegno. L’India ha detto che azzererà l’inquinamento entro il 2070: non proprio dopodomani, ma per ora (e per i motivi che dicevamo sopra) tocca accontentarsi.
Patto d’acciaio. Stati Uniti e Unione europea hanno raggiunto una tregua commerciale su acciaio e alluminio che permetterà di rimuovere le tariffe su oltre 10 miliardi di dollari di export ogni anno. I due alleati cercheranno di far leva sull’accordo in un quadro globale più ampio che andrebbe a penalizzare quei Paesi che non soddisfano gli obiettivi di basse emissioni di carbonio per le esportazioni di acciaio e alluminio.
Prima citavamo Brexit. Credevate che fosse finita? E invece no. Scintille tra il primo ministro inglese Boris Johnson e il presidente francese Emmanuel Macron sui diritti di pesca. Per il momento, comunque, tali scintille non hanno provocato alcun incendio.
In compenso, Johnson ha rinnovato gli attacchi all’Unione europea sulla gestione dell’Irlanda del Nord.
E il Covid che fa? I casi sono in aumento, l’Italia al momento si difende, ma altrove in Europa la situazione è già critica. Non benissimo, per le prospettive economiche.
Come si sono mossi i mercati
Movimenti azionari. Venerdì mattina avvio prudente per le Borse europee dopo il recente rally favorito dalla Fed “colomba” sul rialzo dei tassi.
Lo stallo dei chip. Forse – ed è un grande “forse”, ma comunque meglio di niente – per la carenza di chip che affligge la produzione mondiale si avvicina la fine: un’ipotesi che, agli occhi degli investitori, ha avuto conferma nel momento in cui il gigante statunitense Qualcomm ha rilasciato una previsione ottimistica per l’ultimo trimestre, con riflessi sulle quotazioni del titolo.
L’azienda ha detto che sta trovando abbastanza offerta per soddisfare la domanda. Eppure, ha ammesso, le difficoltà persisteranno fino alla seconda metà del prossimo anno, costringendo l’industria a continuare a lottare per ottenere le componenti di cui ha bisogno.
La canna del gas. L’Europa sta affrontando un’ulteriore stretta sui rifornimenti di gas naturale dopo che i flussi russi sono diminuiti e l’Algeria ha fermato quelli diretti in Spagna (l’accordo per l’invio algerino attraverso il Marocco è scaduto). I futures del gas di riferimento sono quindi saliti di nuovo.
Giù i prezzi del petrolio, invece, in una cornice in cui gli Stati Uniti hanno aumentato la pressione sull’Opec+ affinché riveda al rialzo le sue forniture. Il presidente Biden ha incolpato l’alleanza di aver alimentato l’inflazione. Ma dopo un breve riunione, la suddetta alleanza ha deciso di mantenere il suo modesto ritmo di aumenti mensili (+400.000 barili al giorno anche a dicembre).
Separatamente, il segretario di Stato Antony Blinken ha fatto pressione sugli Emirati Arabi Uniti per una maggiore fornitura. Stante il rimbalzo della domanda che ha prosciugato le scorte, fa notare Bloomberg, nel 2021 il WTI è salito di circa il 70%.
Quasi amici? Stati Uniti e Iran riprenderanno i colloqui il 29 novembre sul rilancio dell’accordo del 2015 che ha imposto limiti al programma nucleare di Teheran. Date le implicazioni che questo potrebbe avere sull’offerta (in salita se la produzione iraniana torna sul mercato), nei giorni scorsi il prezzo del petrolio ha esteso i suoi cali.
Indici azionari | Performance settimanale | Performance da inizio mese |
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Azioni Italia | 2.13% | 6.25% |
Azioni Europa | 1.60% | 5.96% |
Azioni Usa | 1.61% | 7.83% |
Azioni Cina | -0.37% | 5.07% |
Indici obbligazionari | Performance settimanale | Performance da inizio mese |
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Bond governativi eurozona | 0.53% | -0.65% |
Bond governativi usa | 1.28% | 0.36% |
Bond corporate usa | 0.22% | 0.70% |
Spread Btp-Bund | 115 punti | 11,39% |
Materie prime | Performance settimanale | Performance da inizio mese |
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Oro | 1809.21 (0.94%) | 1.29% |
Petrolio Wti | 81.02 (-2.90%) | -1.77% |
Valute | Performance settimanale | Performance da inizio mese |
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Cambio Eur/Usd | 1.1550 (-0.44%) | -0.36% |
Cambio Eur/Gbp | 0.8567 (0.89%) | 0.71% |
Indici di mercato. Dati aggiornati ore 17.00 dello 05/11/21
I market movers della prossima settimana
Martedì 9 novembre gli occhi saranno puntati sulla rilevazione Zew del sentiment sull’economica tedesca. Attenzione anche all’indice dei prezzi alla produzione negli Stati Uniti a ottobre. Mercoledì 10 i riflettori non si sposteranno dagli Stati Uniti: da qui, arriverà l’aggiornamento sull’indice dei principali prezzi al consumo a ottobre e sulle scorte di petrolio.
Giovedì 11 sarà la volta della produzione industriale cinese, con la variazione annuale a ottobre. Nel Regno Unito il focus sarà sulla variazione trimestrale e annuale del Prodotto interno lordo nel terzo trimestre dell’anno. Ma l’agenda del giorno prevede anche la produzione manifatturiera mensile a settembre. La Banca centrale europea, poi, rilascerà le sue previsioni. La settimana si chiuderà venerdì con – tra gli altri dati – i nuovi lavori JOLTs a settembre.