Grande distribuzione tra i vincitori nel mondo della pandemia di Covid-19? A giudicare dai primi dati in parte sì, ma non sempre e non dappertutto. S’è parlato di riscoperta del negozietto di vicinato – il pizzicagnolo della nonna, il verduraio della zia, il lattaio della nostra infanzia – a scapito del mastodontico ipermercato di periferia, non per tutti facilmente raggiungibile durante il primo, durissimo, lockdown. Quali conferme arrivano, su questo?
La corsa al carrello ai tempi del Covid-19
Per mettere a fuoco l’impatto dell’emergenza sanitaria sul settore, Emanuela Ciapanna e Gabriele Rovigatti hanno dato corpo a uno studio intitolato “La corsa al carrello della spesa in tempi di Covid-19. Evidenze per l’Italia”, della serie dei Working Papers della Banca d’Italia 1.
“Il lavoro”, si legge nell’intro, “valuta l’impatto delle restrizioni alla mobilità nei mesi di marzo e aprile 2020 sui ricavi della Grande Distribuzione Organizzata in Italia (GDO)”, tenendo conto delle “differenze spazio-temporali nell’entrata in vigore delle misure, imposte dapprima nella provincia di Lodi, quindi in tutta la Lombardia e infine nel resto del Paese”.
I dati, si legge ancora, consentono di misurare l’andamento delle vendite di prodotti di largo consumo distinguendo quantità e prezzi in diversi tipi di punti vendita: supermercati, ipermercati, discount e minimarket.
Ciò che emerge – con poca sorpresa, forse – è che nel bimestre marzo-aprile 2020 i ricavi della grande distribuzione sono cresciuti su tutto il territorio nazionale, riflettendo aumenti sia nei volumi di vendita sia nei prezzi. E le restrizioni alla mobilità “hanno contribuito in misura significativa, ancorché diversa tra categorie di punti vendita”.
Secondo le stime, le vendite sono aumentate più nei minimarket che nei grandi punti vendita, posizionati in zone più periferiche. Su questi ultimi, anzi, solo le misure di restrizione alla mobilità, al netto del rischio di contagio, “avrebbero prodotto minori ricavi per circa il 10%”.
Viaggio nella grande distribuzione italiana
Due parole sulla geografia della grande distribuzione in Italia, che si compone di quattro “cantoni”, per così dire:
• gli ipermercati, ossia quelle strutture più grandi di 2.500 metri quadrati;
• i supermercati, più grandi di 1.500 metri quadrati;
• i minimarket (che nello studio sono definiti “superettes”), più grandi di 450 metri quadrati;
• i discount.
C’è da dire che nell’ultimo decennio il numero di punti vendita è diminuito di circa l’11%, passando dalle circa 29mila unità del 2009 alle 26mila del 2018.
Questo principalmente a causa della forte riduzione dei negozi di piccole dimensioni, aventi una superficie di vendita compresa tra i 100 e i 400 metri quadrati: hanno registrato infatti un -26,6%. Una contrazione in parte compensata dall’espansione dei discount, che hanno segnato invece un +24,2%.
Anche i supermercati sono cresciuti, seppure in misura minore (+1%), mentre gli ipermercati hanno subito un ridimensionamento.
In ogni caso, secondo lo studio “la grande distribuzione alimentare in Italia rimane uno dei mercati più atomizzati d’Europa”, con i primi cinque operatori che “si dividono poco più della metà del mercato (51,8%), mentre in Paesi come Germania, Francia e Regno Unito la quota è compresa tra il 75% e l’80%”.
Uno sguardo più attento, poi, rivela qualche differenza fra le varie aree geografiche: la più evidente riguarda la distribuzione dei tipi di negozio.
Ipermercati primi a Nord Ovest, il Sud promuove i discount
I supermercati rappresentano il “format” che va di più nella maggior parte del Paese, ma va detto che la quota di mercato cambia a seconda della macroarea: nel Nord Ovest, per esempio, i più popolari sono gli ipermercati, che invece coprono solo il 10% del mercato nelle regioni meridionali, nelle quali i consumatori sembrano preferire negozi di dimensioni più contenute.
I discount riportano non a caso un 27% del totale al Sud e un 16% appena nel Nord Ovest, cosa che secondo lo studio “riflette differenze cruciali nella struttura del mercato e nelle abitudini dei consumatori rispetto alle politiche di prezzi bassi seguite in questi negozi”.
La dinamica della dimensione media dei negozi tra il 2003 e il 2017 rivela che, in linea con i dati delle quote di mercato, è proprio nel Nord Ovest che i negozi sono più grandi. E sono cresciuti a un ritmo più elevato rispetto a quelli situati in altre aree del Paese fin dai primi anni 2000.
Non sorprende che ci sia un’associazione molto forte e positiva tra il numero di punti vendita e la densità di popolazione da un lato e la superficie totale di vendita dall’altro.
Correlazione negativa, invece, tra densità di popolazione e presenza di grandi superfici di vendita. E anche questo non è un caso: gli ipermercati, infatti, sorgono per lo più “fuori”, in aree periferiche, il che implica la necessità per i clienti di prendere l’auto o altro mezzo per poterli raggiungere.
Una caratteristica, questa, che fa luce sulle ragioni della più modesta dinamica delle vendite registrata da questa categoria di negozi rispetto alle altre durante le restrizioni alla mobilità Covid-correlate.
Il settore ha saputo reagire alla botta della prima ondata
Nel complesso, durante la prima ondata il settore ha saputo far fronte alle carenze, adeguare la logistica e aumentare le ore e i turni di lavoro: il tutto nel bel mezzo di una crisi senza precedenti, che ha vertiginosamente acuito l’incertezza e bloccato la maggior parte delle attività economiche.
Lo studio porta poi a galla come siano i cambiamenti nelle quantità acquistate, piuttosto che i movimenti dei prezzi, a spingere gran parte della dinamica dei ricavi. Ed è emerso anche come ci siano enormi variazioni tra aree e tipi di distribuzione sia nella quantità richiesta sia nei prezzi applicati.
L’idea che ha preso forma è che le misure di contenimento attenuino gli incrementi dei ricavi in misura considerevole, agendo in particolare attraverso il canale della mobilità: tale canale pesa soprattutto sui grandi punti vendita periferici, i cui ricavi sono stati inferiori di circa il 10% rispetto a quelli del gruppo di controllo.
Il rischio di contagio, invece, sembra giocare un ruolo minore, essendo i suoi effetti piuttosto omogenei tra le varie province.
1. La corsa al carrello della spesa in tempi di Covid-19. Evidenze per l’Italia