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Servizi finanziari e investimenti online: trappole e tutele

Sì, lo sappiamo: l’innovazione tecnologica sta radicalmente trasformando l’industria dei servizi finanziari. “Sempre più risparmiatori operano avvalendosi, spesso in modo pressoché esclusivo, dei servizi di home banking messi a loro disposizione dagli intermediari”, ci dice l’Arbitro per le Controversie Finanziarie attraverso la nota del presidente che illustra la relazione annuale sul 20201. Vi avevamo promesso che ci saremmo tornati , ed eccoci qua.

Il tema dell’operatività online – tradotto: fare operazioni d’investimento tramite le piattaforme digitali delle società di cui siamo clienti – è più che mai decisivo. Perché siamo nel bel mezzo di un processo evolutivo che con i periodi di lockdown ha subito una forte accelerazione.

Con l’operatività online, però, è aumentato anche il numero dei contenziosi legati all’uso del “canale telematico a fini d’investimento”. Il che ha rappresentato per l’ACF un’occasione “per definire alcuni orientamenti di portata generale”.

 

Le regole valgono per tutti, anche per l’online

Innanzitutto, vale anche per l’operatività online “l’impianto normativo che disciplina la materia degli investimenti finanziari”. Insomma, non deve diminuire la “soglia di diligenza richiesta al prestatore professionale di servizi d’investimento” né la protezione dell’investitore.

Gli intermediari, anzi, devono “munirsi di presidi tali da mettere a disposizione del cliente – mediante schermate dai contenuti chiari e conseguenziali, assistite da appositi pop-up e/o da richiami d’attenzione abilitativi dei successivi step – informazioni nel loro complesso idonee a farne scaturire scelte d’investimento informate e consapevoli”.

 

Il malfunzionamento non è solo un problema del cliente

Elemento generatore di maggior contenzioso è stato il malfunzionamento dei sistemi di home banking, laddove “abbia avuto effetti di ricaduta apprezzabili sull’ordinaria operatività di clienti” che, a causa di questo, hanno visto sfumare opportunità di mercato che avrebbero voluto cogliere.

Gli intermediari devono quindi “dotarsi di presidi tecnologici e organizzativi tali da assicurare alla clientela un ordinato, continuativo ed efficiente utilizzo delle piattaforme online”, perché solo questo consente di “ritenere adeguatamente assolti gli obblighi di correttezza, trasparenza e informazione previsti in materia di prestazione dei servizi d’investimento”.

Servono insomma sistemi informativi, tecnologie e processi operativi “costantemente dimensionati ai volumi delle transazioni gestite e tali da garantire il perdurante rispetto dell’obbligo di tempestiva esecuzione degli ordini impartiti dagli investitori”.

E occorrono “procedure e risorse adeguate per la gestione e la rapida rimozione di cadute, anche temporanee, dei propri sistemi online”, consentendo alla clientela di potersi comunque avvalere, temporaneamente, di canali alternativi e di recovery “tali da non pregiudicare in modo apprezzabile l’abituale operatività”.
 

Bocciate le clausole di esonero per malfunzionamento

Attenzione, perché questo è un passaggio decisivo se usate molto l’online: dall’esame di alcune controversie è emerso che il contratto quadro che disciplinava la prestazione dei servizi e delle attività d’investimento includeva clausole di esonero di responsabilità a favore dell’intermediario, per i casi di malfunzionamento della piattaforma informatica, “talmente ampie e indifferenziate nella loro formulazione da potersi rivelare vessatorie a danno del cliente, potendone impedire l’ordinaria operatività anche per un tempo indefinito e senza la previsione di alcun valido strumento alternativo”.

Sono clausole e soluzioni che non piacciono affatto all’Arbitro, che invece insiste sulla “piena tutela del risparmiatore” in quanto “contraente debole”.

 

 

Cambia il mezzo, ma gli obblighi sono gli stessi

Dal momento che cambia il mezzo ma non la sostanza – e dunque non gli obblighi di trasparenza e tutela – anche in questi casi l’intermediario deve “acquisire le informazioni necessarie per effettuare la valutazione di appropriatezza/adeguatezza” e mettere a disposizione dell’investitore ogni informazione prevista dalla normativa di settore.

Sulla piattaforma devono essere disponibili e liberamente consultabili, per esempio, le schede relative agli strumenti finanziari negoziabili.

Le verifiche effettuate dall’intermediario devono lasciare traccia – e l’investitore deve averne consapevolezza – tramite apposite schermate visualizzabili prima di poter impartire l’ordine.
 

Se l’operatività online diventa ludopatia

Ma ci sono anche alcune criticità a livello di comportamento degli investitori: per esempio, un’operatività online “reiterata e compulsiva”, degenerata “in forme qualificabili in termini di vera e propria ludopatia”. Con tutte le conseguenze annesse e connesse, in termini di scelte tutt’altro che assennate da parte di investitori retail, “che hanno poi ritenuto di poter addebitare all’intermediario la responsabilità per le perdite sofferte”.

Perdite peraltro di importo non trascurabile, ci dice l’Arbitro. Domanda: tra gli obblighi di diligenza e correttezza previsti dalla normativa c’è forse anche quello di scongiurare il rischio che un cliente ponga in essere “un’intensa e reiterata operatività” sulla spinta di impulsi non controllabili, tale da portare addirittura a un’esposizione superiore ai mezzi economici disponibili, com’è per esempio nel caso di operatività su strumenti particolarmente rischiosi.

Se da una parte l’operatività online può in effetti favorire “processi degenerativi siffatti”, date l’agevole e diretta accessibilità ai sistemi e la fruibilità senza mediazioni dei servizi digitalmente prestati, dall’altra – leggete bene – non rientra tra i doveri dell’intermediario l’assunzione di una funzione “tutoria” di tipo preventivo.

Quel che l’intermediario può e deve fare è invece segnalare attivamente e inoltrare sistematicamente al cliente appositi “warning”, allarmi, se registra un’operatività reiterata e a volumi crescenti, con un’esposizione complessiva al rischio abnorme e non compatibile con il suo profilo.
 

Leggete bene quello che c’è nel contratto

E no, il cliente non può pretendere che l’intermediario gli mandi comunicazioni in forme cartacee tradizionali se contrattualmente è stato individuato il canale telematico come strumento esclusivo di comunicazione tra le parti.

In ultimo, sottolinea l’ACF, l’accesso sempre più diffuso e alla portata di tutti alle nuove piattaforme digitali comporta “una generale riconsiderazione, in senso evolutivo e conformativo, degli assetti operativi e una reingegnerizzazione dei processi d’investimento”, con un doppio obiettivo: massimizzare i benefici dell’innovazione tecnologica e migliorare la qualità delle informazioni e il livello delle tutele dell’investitore individuale.

 



1. Nota illustrativa del presidente ACF sulla relazione 2020

 

Scritto da

Nata a Rieti, gli studi universitari a Roma, lavora a Milano dal 2007. Dopo un'esperienza di quattro anni in Class CNBC, canale televisivo di economia e finanza del gruppo Class Editori, si è spostata in Blue Financial Communication, casa editrice specializzata nei temi dell'asset management e della consulenza finanziaria. A dicembre 2017 si è unita al team di AdviseOnly.

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