Nell’anno della pandemia, gli italiani risparmiano di più, spendono meno e temono di non essere attrezzati per fronteggiare una spesa imprevista. Sono solo alcuni dei risvolti economici e sociali della crisi epocale innescata dall’emergenza sanitaria, i cui tempi di risoluzione sono tra l’altro ancora incerti. Del resto, le stime per il 2020 indicano una contrazione del Pil tra il 7,5% e il 10% per l’area euro e tra il 9% e il 13% circa per l’Italia, con un pesante impatto anche sul mercato del lavoro.
Il risultato è una forte riduzione del reddito disponibile -e quindi dei consumi- legata soprattutto alla contrazione dei salari e degli stipendi, solo parzialmente compensata dall’incremento dei sussidi pubblici.
Qual è l’effetto sul mondo degli investimenti?
Stando all’ultima indagine Consob sulle scelte finanziarie delle famiglie italiane, nel corso del 2020 si è assistito a un aumento consistente del tasso di risparmio (dal 10% nel 2019 a circa il 16% previsto per fine anno), dettato verosimilmente da una logica precauzionale vista la situazione di incertezza. Prosegue inoltre la tendenza – consolidatasi nel corso dell’ultimo decennio – che ha visto diminuire il peso di azioni e obbligazioni in favore di una maggiore liquidità.
Ça va sans dire, continua a prevalere l’avversione al rischio, accentuata quest’anno dalla sensazione di non disporre di risparmi adeguati a far fronte a situazioni di emergenza.
Più del 60% degli intervistati dichiara infatti che avrebbe difficoltà a fronteggiare spese inattese e che trova difficile fare progressi nella realizzazione dei propri obiettivi finanziari. Nel dettaglio, circa il 30% sostiene di non essere in grado di fronteggiare una spesa imprevista di mille euro, e poco più del 30% dice di aver subito una riduzione (temporanea o permanente) del proprio reddito nell’ultimo anno. Il 47% del campione ha contratto un debito negli ultimi 12 mesi, mentre dall’inizio della crisi il 35% ha ridotto le proprie spese a seguito della pandemia e circa il 14% ha intaccato i propri risparmi. Rispetto al futuro, prevale un diffuso pessimismo, con aspettative che, nella maggior parte dei casi, proiettano la ripresa dopo il 2022.
Crescono la cultura finanziaria e la partecipazione ai mercati
Un altro dei tasti dolenti dei risparmiatori italiani è la pianificazione finanziaria. Ancora oggi solo il 40% circa degli intervistati dichiara di avere un piano finanziario e meno del 20% sa (in modo preciso o approssimativo) quanti anni dovrà lavorare prima di poter andare in pensione, a quanto ammonterà la propria pensione mensile e quanto dovrebbe risparmiare per mantenere l’attuale tenore di vita.
Insomma, del 2020 non si salva proprio niente? In realtà qualche nota positiva non manca, scorrendo il report Consob di quest’anno. Per esempio, la cultura finanziaria risulta in lieve miglioramento rispetto alle rilevazioni precedenti, soprattutto nel sotto-campione degli investitori: in particolare, la quota di intervistati che ha risposto correttamente a domande sulle conoscenze finanziarie di base oscilla dal 38% (sul concetto di diversificazione) al 60% (rapporto rischio-rendimento).
È inoltre leggermente aumentata la partecipazione ai mercati finanziari, con il 33% degli intervistati che dichiarano di investire sui mercati, contro il 30% dello scorso anno.
A questo proposito, gli strumenti preferiti restano i certificati di deposito e i buoni postali, seguiti da fondi comuni d’investimento e titoli di Stato. Tra i fattori che disincentivano l’investimento, quelli più citati sono la mancanza di risparmi da investire, la mancanza di fiducia e il basso livello di conoscenza finanziaria.
La consulenza finanziaria? Mi fido più di Amazon…
C’è anche da dire che gli italiani continuano ad avere le idee piuttosto confuse in merito al rapporto con il consulente finanziario (a cui si affida circa il 41% degli intervistati): circa il 18% è convinto che il servizio di consulenza venga prestato a titolo gratuito e il 54% sostiene che comunque non abbia un costo per il cliente (invece il costo ce l’ha eccome, che sia esplicitato o contenuto all’interno della voce “commissioni di gestione”). Tra l’altro, solo il 32% degli individui intervistati si dice disposto a pagare per il servizio.
Un altro effetto curioso della pandemia è un balzo in avanti nella fiducia riposta in un operatore che nei mesi passati è entrato ancor più prepotentemente nelle vite degli italiani, anche quelli rimasti finora sulla difensiva: Amazon. Il risultato? Oggi la creatura di Jeff Bezos è ritenuta affidabile al pari della propria banca di riferimento, mentre gli intermediari finanziari in generale sono percepiti come inaffidabili dal 50% circa degli intervistati.
Sostenibilità e digitalizzazione hanno ancora strada da fare
Quanto agli investimenti sostenibili – cosiddetti Sri – nel 2020 il 52% degli intervistati non ne ha mai sentito parlare (una quota decisamente elevata, anche se in calo rispetto al 2019) e il 27% si dice genericamente interessato al tema. Va detto però che, nel sotto-campione degli investitori informati, l’interesse sale al 72%. Venendo infine al tema della digitalizzazione in ambito finanziario, il campione dichiara una scarsa familiarità nei confronti della consulenza automatizzata (4% i non investitori, 13% gli investitori), mentre il livello di conoscenza si alza leggermente quando si parla di criptovalute, crowdfunding e trading online.
Tra i fattori che potrebbero stimolare l’interesse nei confronti dei servizi finanziari digitalizzati emergono la possibilità di investire piccole somme e, nel caso specifico delle valute virtuali, la possibilità di guadagnare velocemente. Tra i deterrenti, invece, si citano più di frequente il timore di subire truffe e di non avere sufficienti competenze finanziarie e digitali.