La pandemia di COVID-19 è un fenomeno globale, ce lo dice la parola stessa – pandemia deriva dal greco pan-demos, “tutto il popolo”. Eppure, sembra che l’attenzione sia concentrata quasi esclusivamente sul mondo sviluppato: Stati Uniti ed Europa in primis.
Ma come stanno affrontando l’emergenza i Paesi più poveri? Proprio a questo tema è dedicato un approfondimento della Federal Reserve di St. Louis, che riflette come questa volta, nella gestione della crisi, non sia possibile “pensare solo per sé”: se i Paesi Emergenti1 e in via di sviluppo non saranno messi nelle condizioni di sconfiggere il nuovo coronavirus, sradicarlo nei Paesi Sviluppati sarà semplicemente inutile, perché il contagio tornerà ancora e ancora, facendoci cadere in un circolo vizioso.
Cosa succede nei Paesi emergenti?
Proprio come nei Paesi Sviluppati, anche nel mondo emergente l’epidemia di COVID-19 avrà conseguenze economiche devastanti. Con l’aggravante che tutto ciò andrà a sommarsi alle difficoltà pregresse.
Qualche esempio? Molti di questi Paesi sono stati colti dall’emergenza – sanitaria ed economica – nel bel mezzo di importanti transizioni politiche e, soprattutto, le regioni più povere del mondo non dispongono di risorse finanziarie sufficienti a fronteggiare la crisi – e sappiamo che invece servirebbe una quantità enorme di liquidità.
È proprio questo il cuore della riflessione della Fed di St. Louis: in che modo si potrà coprire l’aumentata domanda di liquidità nei Paesi poveri ed emergenti del mondo? E quale politica monetaria dovrebbe mettere in atto una banca centrale nazionale che si trova stretta tra esigenza di nuova liquidità da un lato e pressioni inflazionistiche dall’altro?
A chi toccherà aprire i rubinetti?
Per rispondere alla prima domanda, il pensiero corre al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale, tradizionalmente prestatori di ultima istanza. Entrambi sono già entrati in azione, con il FMI che ha messo sul tavolo una capacità di prestito pari a 1.000 miliardi di dollari, mentre la Banca Mondiale, così come lo stesso FMI, stanno chiedendo ai creditori bilaterali – tra cui la Cina – di sospendere la riscossione dei debiti in capo a un gruppo di 76 Paesi a basso reddito.
Si tratta di mosse sicuramente utili, commenta la Fed di St. Louis, ma non sufficienti per risolvere il problema della liquidità. Alla luce di queste considerazioni, le principali banche centrali, come Fed, BCE e BoJ, potrebbero trovarsi costrette a sopperire alla carenza di liquidità nel resto del mondo prima ancora di fornire quella necessaria ai propri rispettivi Paesi e aree geografiche.
Non solo. Come accennato, per i mercati emergenti le difficoltà non si esauriscono con il bisogno di liquidità. Tra le difficoltà “extra” più frequenti con cui questi Paesi devono fare i conti ci sono una brusca frenata – se non la vera e propria interruzione – dei capitali in entrata e una forte dipendenza della propria economia dal petrolio (tra il 2% e il 15% del PIL nazionale), in un momento in cui i prezzi dell’oro nero sono estremamente bassi.
Valute in picchiata e pressioni inflazionistiche
Tutto questo può tradursi facilmente in deprezzamenti significativi della valuta, i quali hanno storicamente generato massicce pressioni inflazionistiche, spingendo le banche centrali di questi Paesi a tenere i tassi di interesse alti e la liquidità bassa in tempi di crisi – per esempio nel biennio 2007-2008. Ma questa volta la fame di liquidità è troppo forte per poter ipotizzare una strategia simile.
Certo, se il calo della domanda risultasse abbastanza accentuato da controbilanciare le pressioni inflazionistiche derivanti dal deprezzamento della valuta, allora non ci sarebbero problemi dal punto di vista della politica monetaria. Ma presumibilmente il calo del prezzo del petrolio e i deflussi di capitale dureranno più a lungo rispetto allo shock della domanda.
Quindi il compito delle banche centrali di Paesi poveri ed emergenti sarà particolarmente arduo: dovranno infatti riuscire a fornire liquidità nel brevissimo termine, senza però compromettere il proprio mandato di tenere l’inflazione sotto controllo nel medio periodo.
Insomma, se la situazione ci sembra complessa nel mondo sviluppato, basta pensare ai mercati emergenti per rendersi conto che c’è chi naviga in acque ancor più agitate. E questa volta la crisi delle economie più povere non può essere etichettata come un problema altrui e gettata nel dimenticatoio: il problema, lo abbiamo visto, riguarda tutti.