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La vera Brexit s’ha ancora da fare

“Cinque giorni che ti ho perso”, cantava Michele Zarrillo al 44esimo Festival di Sanremo. Nel nostro caso sono passati un po’ più di cinque giorni da quando, venerdì 31 gennaio, alle 23:00 ora di Londra, il Regno Unito ha ufficialmente cessato di essere uno Stato membro dell’Unione Europea e dell’Euratom.

E tutti – anche noi, ammettiamolo – a parlare di “divorzio”.

In realtà, ancora non siamo proprio al divorzio definitivo.

Non che si possa tornare indietro, intendiamoci. Ma forse, diciamo così, sarebbe più corretto parlare di separazione ufficiale. Il primo febbraio ha infatti preso il via il previsto periodo di transizione, che durerà fino al 31 dicembre prossimo (e che, in ogni caso, non potrà essere esteso oltre il 31 dicembre 2022).

 

Come siamo messi fino a fine 2020?

Come spiega l’Agenzia delle Dogane, non cambia nulla1: normativa e procedure UE in materia di libera circolazione di persone, servizi, capitali e merci resteranno vigenti nel Regno Unito.

Sarà solo dopo il 31 dicembre 2020 – salvo diverso nuovo accordo – che il Regno Unito non sarà più parte del territorio doganale e fiscale (IVA e accise) dell’Unione Europea: dal quel momento in poi – dunque non da oggi – la circolazione delle merci tra Regno Unito e UE verrà dunque considerata commercio con un Paese terzo.

Tale commercio potrà avvenire secondo le regole della World Trade Organization, se UK e UE non riusciranno a mettersi d’accordo su un altro set di norme e procedure condiviso da ambo le aree, oppure secondo i crismi e i criteri fissati da uno specifico accordo UK-UE.

Attenzione a non confondervi: non stiamo parlando dell’accordo già siglato e approvato da tutti – l’ormai arcinoto Accordo di Recesso (o Withdrawal Agreement), che ha scongiurato il no deal lo scorso 31 gennaio – ma di un Accordo di Libero Scambio, sul quale occorrerà che le due parti lavorino nei prossimi mesi.

Il 2020, quindi, sarà l’anno dei negoziati. UK e UE condividono l’obiettivo di arrivare a un accordo, e ok. Ma – e qui sta l’inghippo – hanno già messo l’accento su priorità anche molto diverse tra loro, come sottolinea un report della Danske Bank2.

 

Ma le due parti hanno idee e priorità diverse

All’UE stanno a cuore due cose: l’accesso alle acque britanniche per i pescatori europei e che il Regno Unito non diventi un paradiso fiscale riconoscendo alle aziende imposte agevolate, aiuti di Stato oppure obblighi più miti in termini di standard ambientali o diritti dei lavoratori.

Il primo ministro Boris Johnson, da parte sua, ha detto che preferirebbe porre il commercio sotto il cappello della World Trade Organization piuttosto che firmare un ALS in cui il Regno Unito ricade sotto la giurisdizione della Corte di giustizia UE3, cosa che invece rimane un punto all’ordine del giorno nell’agenda dell’Unione, se non altro in taluni casi.

Ma vediamo, punto per punto, tutte le divergenze.

 

Posizione del Regno Unito Posizione dell’Unione Europea
Obiettivo – Forse più propenso a stipulare accordi diversi da un’area all’altra
– Mira a un accordo di tipo UE-Canada, ma possono andar bene anche i termini UE-Australia (cioè i termini della WTO)
– Un unico quadro globale
Estensione – Nessuna estensione del periodo di transizione – L’estensione può essere una buona idea, considerando il poco tempo a disposizione
Scambio di beni – L’accordo di libero scambio dovrebbe rispecchiare le migliori pratiche internazionali recepite negli accordi già stipulati dall’UE (per esempio, UE-Canada)
– Zero tariffe, zero quote
– Nessun allineamento normativo
– Politiche indipendenti in settori quali concorrenza, sovvenzioni, ambiente e politica sociale
– Essenziale rispettare l’integrità del mercato unico e dell’unione doganale dell’UE
– Parità di condizioni (nessun aiuto di Stato, nessuna grossa riduzione dell’imposta sulle società, standard ambientali, diritti dei lavoratori)
– Il Regno Unito deve attuare le norme UE sugli aiuti di Stato
Scambio di servizi – L’accordo dovrebbe ridurre al minimo le barriere alla fornitura di servizi transfrontalieri, con la possibilità di andare oltre per quanto riguarda i servizi professionali e commerciali – Andare oltre gli impegni dell’Organizzazione Mondiale del Commercio
Servizi finanziari – Disposizioni rafforzate per la cooperazione in materia di regolamentazione e vigilanza con l’UE – Stretta collaborazione in materia di regolamentazione e vigilanza
– Le decisioni in materia di equivalenza dei servizi finanziari saranno unilaterali
Pesca – Negoziati annuali con l’UE sull’accesso alle acque, come Norvegia, Islanda e Isole Faroe
– Le acque britanniche sono prima di tutto per i pescatori britannici
– Accesso reciproco continuo
– Quote stabili, che possono essere modificate solo col consenso di ambo le parti
Corte Europea – Fine della giurisdizione della Corte UE – La Corte UE deve pronunciarsi solo nei casi riferibili al diritto UE
Stretto di Gibilterra – L’accordo dovrebbe coprire tutto il Regno Unito, compresa Gibilterra – L’accordo non dovrebbe riguardare Gibilterra
Circolazione delle persone – Fine della libera circolazione delle persone, nuovo sistema di immigrazione a punti – Nessuna discriminazione tra cittadini UE di diversi Paesi
– Nessun accesso al mercato unico senza la libera circolazione delle persone


Fonte: UE, governo britannico, Danske Bank

 

Un’altra questione, non di poco conto, è se l’accordo finale tra Unione Europea e Regno Unito vada ratificato solo dalle istituzioni UE o anche dagli Stati membri. La seconda ipotesi complicherebbe e non di poco le cose, come dimostra l’esperienza dell’accordo UE-Canada.

 

E veniamo alle tempistiche

Secondo l’Accordo di Recesso, le parti hanno tempo fino al primo luglio per accordarsi su:

  • estensione o meno del periodo di transizione;
  • condizioni della pesca;
  • condizioni dei servizi finanziari.

L’obiettivo rimane quello di definire l’accordo entro i primi di ottobre, per dare tempo all’UE e al Regno Unito di ratificarlo.

 

 

Ed è qui, tra le pieghe di questi tempi strettissimi, che riemerge il rischio di no deal: in questo caso, però, l’assenza di un accordo condiviso e approvato da tutti si risolverebbe, come detto, in una relazione alle condizioni della WTO.

 

Quali ripercussioni sull’economia e i mercati?

Essendo, di fatto, la Brexit appena agli albori, finora i riflessi sull’economia si sono visti ben poco (il che a giorni alterni spinge molti Brexiteer nostrani a dire: “Visto? Doveva succedere il finimondo e invece niente”).

Ma la Bank of England – come la BCE – c’è, pronta ad agire e, se del caso, a tagliare i tassi. In più, il primo ministro Johnson ha promesso un piano di investimenti monstre per i prossimi dieci anni.

Certamente, il fatto che si sia aperta una nuova fase di non facili negoziati – con punti di vista e priorità un pochino divergenti – mantiene elevato il grado di incertezza, la quale non incoraggia gli investimenti: le aziende probabilmente resteranno in attesa di vedere che piega prenderanno le trattative prima di dare corpo a nuovi progetti.

E già questo potrebbe avere un riflesso sulla crescita, spingendo la Banca d’Inghilterra a operare un taglio dei tassi verso metà anno.

Arriviamo così a quello che negli ultimi tre anni e mezzo è stato il principale rilevatore delle temperature nel confronto su Brexit: la sterlina. Sulla valuta nei prossimi mesi potrebbero pesare l’eventuale lentezza – o assenza – di progressi nei negoziati e l’incremento dei rischi di un no deal.

Per il momento, questa è la sintesi degli ultimi quattro anni che ci restituisce il Bloomberg Pound Index, il quale traccia la performance della sterlina britannica rispetto a un paniere di valute leader a livello mondiale4.

 

Brexit pound | amCharts

 



1 – Info Brexit, fonte: Agenzia Dogane Monopoli
2 – Brexit Monitor, Fonte: Danske Bank
3 – La Corte di giustizia dell’Unione Europea ha il compito di assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati. Fonte: CURIA
4 – Ogni valuta del paniere e il relativo peso sono determinati annualmente in base a una serie di criteri. L’indice parte dal 31 dicembre 2004 con un livello di base di 1.000.

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Nata a Rieti, gli studi universitari a Roma, lavora a Milano dal 2007. Dopo un'esperienza di quattro anni in Class CNBC, canale televisivo di economia e finanza del gruppo Class Editori, si è spostata in Blue Financial Communication, casa editrice specializzata nei temi dell'asset management e della consulenza finanziaria. A dicembre 2017 si è unita al team di AdviseOnly.

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