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HomeCAPIRE LA FINANZAFINANZA PERSONALEL’illiquidità non è brutta come la si dipinge (ma occorre cautela)

L’illiquidità non è brutta come la si dipinge (ma occorre cautela)

Ok, i rendimenti obbligazionari sono in recupero. Ma quando – com’è accaduto fino a non molto tempo fa – sono estremamente bassi se non addirittura negativi, trovare un’alternativa per portare a casa un rendimento soddisfacente diventa essenziale. Il che, però, comporta un aumento dell’esposizione al rischio.

Ora, un errore comune è quello di concentrare il rischio su asset tradizionali, come per esempio azioni e obbligazioni ad alto rendimento, che possono raggiungere valutazioni molto alte con il rischio di pesanti correzioni.

Ecco perché può avere senso inserire in portafoglio classi di attivo alternative, in grado di produrre performance poco correlate con i principali mercati, con ottimi effetti di diversificazione sul portafoglio. E ciò ci porta a guardare a strategie più illiquide.

 

Ma cos’è un investimento illiquido?

Si tratta di un investimento difficile da smobilizzare: uscirne costa e richiede tempo. Nella categoria rientrano gli investimenti alternativi come il private equity, il private debt, il real estate, il venture capital o il distressed debt.

Cosa li accomuna? Sono tutti caratterizzati una certa complessità, oltre che dall’illiquidità. E allora, perché investirci dei soldi? Cerchiamo di capirlo attraverso la teoria e la pratica.

 

 

La teoria: il premio d’illiquidità

Il ragionamento è il seguente: la maggior parte degli investitori reputa molto utile la liquidità, dal che discende la loro richiesta di essere ricompensati per detenere attività che non sono facilmente convertibili in liquidità. Questa remunerazione in più è il premio d’illiquidità, noto anche come illiquidity premium.

Il premio d’illiquidità è in sostanza uno dei “mattoncini” utili a costruire la performance del portafoglio. Il rendimento, infatti, va pensato come la somma di una serie di premi al rischio: in quest’ottica, il premio al rischio di illiquidità si aggiunge agli altri “blocchetti”, ossia:

  • il risk-free, che rappresenta il tasso d’interesse di un’attività priva di rischio;
  • il term-premium, che remunera la rinuncia a usare il denaro investito in altro modo e l’inflazione;
  • il credit premium, che ricompensa il rischio che il denaro non venga restituito;
  • l’equity premium, che remunera l’assunzione di rischio imprenditoriale.

Di più: da questo punto di vista, l’illiquidity premium può rivelarsi uno dei “mattoncini” più consistenti in termini di contributo al rendimento totale.

 

 

E poi c’è l’evidenza empirica

“Un premio di impopolarità va a chi se la sente di investire in strumenti finanziari con caratteristiche impopolari”, dissero non molto tempo fa (era il dicembre del 2018) Roger G. Ibbotson, Thomas M. Idzorek, Paul D. Kaplan e James X. Xiong circa la solidità economica e l’entità del premio d’illiquidità.

Per definizione, gli asset illiquidi hanno pochi prezzi, ragion per cui ottenere riscontri empirici non è facile. Però è possibile. Il grafico che segue mostra la relazione crescente che intercorre fra illiquidità e rendimento.

 

 

Calcolando una media delle stime dei premi di liquidità effettuate da studi successivi, si ricava un numero intorno al 3% annuo: non male.

Nella pratica, comunque, appare evidente come la differenza la faccia generalmente il gestore: in linea di massima, infatti, si tratta di mercati difficili e complessi, dove l’esperienza professionale incide eccome, diversamente da quel che accade su segmenti di mercato liquidi e affollati.

 

Come costruire un portafoglio con attivi illiquidi?

Posto che un premio d’illiquidità esiste e ha dimensioni appetibili, tale da migliorare sensibilmente la performance, come costruire un portafoglio che contiene anche attivi illiquidi?

L’esposizione a fattori “diversi” come private equity, private debt, attivi reali e via dicendo ha senso soprattutto nell’ottica di diversificare il portafoglio. E se parliamo di diversificazione, occorre tirare in ballo il concetto di correlazione1: tanto meno gli attivi illiquidi sono correlati con gli attivi tradizionali, tanto più elevato sarà l’effetto diversificazione.

Dando un’occhiata alle correlazioni, emerge come la correlazione media degli attivi illiquidi rispetto all’azionario sia intorno a 0,5: sufficientemente bassa da assicurare un buon effetto di diversificazione (tanto più elevato, lo ricordiamo, quanto più l’indice di correlazione è inferiore a 1).

Il processo di costruzione del portafoglio idealmente combina una decisione top-down e scelte bottom-up1.

Ma quale deve essere la quota di attivi illiquidi nell’asset allocation? Dipende dagli obiettivi e dal profilo dell’investitore: presso gli istituzionali di solito si posiziona fra il 5% e il 20%. L’importante è ricordarsi sempre che la liquidità deve bastare a fronteggiare le uscite di cassa.

Insomma, esistono buone ragioni per investire negli asset illiquidi, tenendo comunque presente che non esistono soluzioni di portafoglio “one size fits all”, così come non c’è spazio per le imprudenze e la superficialità.

 



1 – #ABCFinanza: performance di Borsa e rendimenti obbligazionari, una (cor)relazione complicata
2 – #ABCFinanza: top-down e bottom-up, definizioni e differenze

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Ultimi commenti
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    Buon pomeriggio. Parlate di venture capital, private equity e via dicendo, così vi chiedo come può un medio risparmiatore investire in questi strumenti? A quanto ne so certi fondi sono per investitori istituzionali. Ci sono alternative per noi comuni mortali per avvicinarci a questi investimenti illiquidi?

    • Maria Paulucci

      Buongiorno!

      Le rispondo io per conto della redazione e dopo esserci confrontati con i colleghi.

      Su Borsa Italiana è quotato l’Xtrackers LPX Private Equity Swap UCITS ETF (Isin LU0322250712). Su Xetra e London Stock Exchange è quotato anche l’iShares (Isin IE00B1TXHL60). Entrambi nell’ultimo anno hanno reso circa il 40% al netto delle commissioni di gestione.

      Va detto che molti prodotti che ricadono nell’asset class “illiquid asset” di cui si parla nel post sono inglobati in fondi total return, di asset allocation.

      La redazione resta a disposizione per ogni eventuale ulteriore chiarimento.

      Un saluto

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