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#ABCFinanza: che cos’è il carry trade?

In questa lunga epoca di tassi bassi (in alcune aree del mondo più che in altre), può capitare di sentir parlare di “carry trade”. Di cosa si tratta?

L’espressione “carry trade” indica una certa pratica speculativa che sostanzialmente consiste nel prendere in prestito denaro in Paesi caratterizzati da tassi d’interesse bassi per poi investirlo in aree geografiche con tassi più alti e in titoli con un rendimento tale da consentire non solo di ripagare il debito contratto ma anche di ottenere un guadagno.

Di solito, le operazioni di carry trade si orientano su:

  • valute con un cambio stabile, perlomeno nel lasso di tempo che intercorre tra il momento nel quale il prestito viene contratto e il momento in cui tale prestito viene restituito; in assenza di questa stabilità, le perdite sul cambio peserebbero sui guadagni realizzati fino ad annullarli;
  • strumenti a basso rischio, per esempio titoli di Stato.

Ma vediamo di capire un po’ meglio come funziona questo tipo di operazione.

 

Qualche esempio di carry trade

Quelle di carry trade sono operazioni di speculazione che vanno considerate un po’ poco ortodosse: l’obiettivo è guadagnare sulla differenza fra i tassi d’interesse delle diverse valute.

 

 

Tempo fa, per fare un esempio, parlammo di un carry trade del decennio passato, alquanto popolare tra i fondi speculativi, che si svolse così:

  • gli investitori si indebitarono sul mercato danese, stante il basso tasso d’interesse ai tempi applicato ai prestiti in corone (DKK);
  • ciò fatto, utilizzarono quei soldi per investire in obbligazioni a breve termine denominate in dollari australiani (AUD), divisa allora caratterizzata da tassi d’interesse relativamente elevati.

In questo modo si portarono a casa la differenza fra il tasso d’interesse in dollari australiani (più alto) e quello in corone danesi (più basso).

Dal 2001 al 2007, questa strategia di investimento ha viaggiato spedita come un razzo, a dispetto del fatto che, secondo la classica teoria economica, operazioni di questo genere non dovrebbero neanche esistere, o al massimo dovrebbero avere un’esistenza breve.

Questo perché in un mercato “ideale” verrebbero spazzate via in tutta fretta da operazioni di arbitraggio che ne azzererebbero rapidamente la convenienza. E invece, come altre “anomalie di mercato”, durano spesso mesi o anni.

Ma com’è finita la vicenda del carry trade dollari australiani-corone danesi? L’epilogo è stato quello più tipico: un gran botto nel giro di pochissimo tempo.

 

 

“Lungo termine”, ma è durato pochissimo

Altro caso è quello risalente al 1998, quando il celebre hedge fund Long Term Capital Management è collassato per via di una serie di carry trade, andati non benissimo, aventi in gran parte per oggetto l’acquisto di titoli di Stato ad alto rendimento (BTP italiani e i Bonos spagnoli in primis) finanziato con i bassi tassi d’interesse del mercato giapponese.

Sulla carta, il meccanismo avrebbe dovuto essere il seguente:

  • con un prestito in yen giapponesi al tasso dell’1% a carico del debitore, l’investitore prende in prestito 10.000 euro al costo di 100 euro annui;
  • i 10.000 euro vengono investiti in titoli di Stato ad alto rendimento che presentano un tasso a carico del creditore – e quindi a vantaggio del debitore-investitore – del 5%, tale da assicurare al debitore-investitore una rendita annua di 500 euro;
  • il profitto è dato dalla differenza tra i 500 euro di rendita annua e i 100 euro di costo del prestito in yen giapponesi, ed è quindi pari a 400 euro.

Per inciso, la crisi finanziaria e il rischio globale seguiti al fallimento del Long Term Capital Management indussero l’allora governatore della Federal Reserve Alan Greenspan a iniettare grandi quantità di denaro nel mercato, dando così avvio all’era del “doping monetario” la cui coda lunga è giunta fino a noi.

 

Morale della favola

Le nozioni fin qui condivise possono servire a cogliere meglio le implicazioni di ciò che talvolta si legge su giornali e siti web (quelli seri), o si ascolta in tv o alla radio. L’utilità di questo post, insomma, è quella di arricchire ulteriormente il vocabolario finanziario di ognuno, affinché possa dare un senso a quel che sente in giro.

Ma fare carry trade direttamente? Non scherziamo, per favore: è vero che i margini di guadagno, specialmente se si scelgono bene valute e titoli, possono essere interessanti, ma altrettanto “interessanti” sono i rischi, soprattutto per un non professionista. Tenetelo sempre a mente.

 


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