Che dietro la performance di un titolo azionario potesse esserci un “X factor” s’era intuito già negli anni Venti, quando, nel 1923, Edwin Lefèvre pubblicò il libro Reminiscences of a stock operator, fotografando il fattore Momentum1.
Pochi anni dopo, nel 1934, Benjamin Graham e David L. Dodd arricchirono la bibliografia con il loro Security analysis, nel quale proposero una teoria sull’approccio Value.
Ma la svolta vera è arrivata nel 1976, con un articolo di Stephen Ross apparso sul Journal of Economic Theory. Il titolo era “The arbitrage theory of capital asset pricing”: fu un contributo che aprì la strada a una nuova teoria, l’Arbitrage Pricing Theory.
Andiamo a vedere di cosa si tratta.
Dalla teoria al fattore
L’APT ci spiega che i rendimenti di un’azione dipendono da diversi fattori, che si possono suddividere in tre categorie. Quali? Eccole.
- Fattori macroeconomici: inflazione, crescita, eccetera;
- Fattori statistici: ottenuti applicando appunto tecniche statistiche;
- Fattori fondamentali: catturano caratteristiche come il valore intrinseco delle azioni che si può desumere da indici di bilancio (Value), il dividendo (Yield o Dividend), la dimensione (Size), il Momentum, il settore, la bassa volatilità e via dicendo.
Nei decenni successivi si è progressivamente imposta l’idea che puntare su alcuni di questi fattori potesse rivelarsi premiante. Ed è proprio questa l’idea di fondo dell’investimento fattoriale, il cosiddetto Factor Investing.
In questo senso, i fattori che vanno per la maggiore sono proprio quelli fondamentali, in virtù della loro capacità di spiegare le performance passate combinata a connotazioni economico-finanziarie tutto sommato chiare. Insomma, sono i più semplici da cogliere.
Ma, alla fine, che cos’è un fattore? Prima di procedere, possiamo abbozzarne una definizione: il fattore è sostanzialmente la caratteristica di un gruppo di azioni in grado di spiegarne statisticamente performance e rischio.
Come si arriva al factor?
Innanzitutto, bisogna individuare almeno una metrica che possa aiutare a catturare l’idea sottostante, quella cioè che rappresenta lo “spirito” del fattore intorno al quale vogliamo modellare il nostro portafoglio azionario.
Mettiamo, per esempio, di voler costruire un portafoglio di azioni contenente titoli caratterizzati da bassa volatilità, partendo dall’idea che non c’è alcun reale vantaggio nel detenere i titoli più volatili e dunque potenzialmente più rischiosi.
Qual è la metrica (una o anche più di una) che mi consente di andare a individuare i titoli in grado di incarnare questa idea? La più efficace è quella della volatilità storica.
Discorso simile per gli altri fattori, secondo lo schema che riportiamo qui di seguito.
Ecco un altro esempio che può aiutarci a capire meglio di cosa stiamo parlando. Mettiamo che ci convinca di più il fattore dividendo: l’idea sottostante, qui, è che possa darci più soddisfazione detenere in portafoglio azioni di società capaci di pagare con regolarità dividendi interessanti. La metrica più utile, in questo caso, può essere quella del dividend yield.
Ora, il fattore Dividend (o Low Volatility, o Value, eccetera) è dato da un portafoglio nel quale si vanno a comprare (si va “long”, direbbero gli espertoni) i titoli con il dividend yield (o altre metriche) più elevato e invece si vendono (si va “short”, come direbbero i professoroni) quelli con il dividend yield (o altre metriche, a seconda del fattore che si vuole andare a catturare) più basso.
In questo modo, la performance è depurata dall’effetto mercato generale e ci permette di incassare il cosiddetto factor premium: ovvero, la performance specifica del fattore.
Quanto detto, quindi, presuppone un discorso long-short. Diverso, invece, il criterio adoperato dalla maggioranza dei fondi e degli ETF basati sul factor investing, che si limitano a comprare i titoli con i punteggi più alti in riferimento alle metriche che vanno a intercettare i vari fattori.
Non tutti i fattori sono uguali
Non solo alcuni fattori in passato hanno ottenuto performance migliori rispetto ad altri, ma in linea di massima tendono a comportarsi in modo diverso in funzione del ciclo economico e dei mercati. Eccone la prova.
Ed è proprio questo comportamento eterogeneo che li rende ideali in un’ottica di diversificazione del portafoglio. Ma come realizzare un investimento fattoriale?
Investire con i fondi e gli ETF
Realizzare un investimento fattoriale senza assistenza può essere molto complicato, perché come si può intuire si tratta di un’impresa che richiede un discreto grado di conoscenze e competenze tecniche.
L’alternativa al “fare-da-sé”, ovviamente, c’è: sul mercato esistono diversi strumenti finanziari, principalmente ETF2 e fondi comuni d’investimento, che rappresentano i vari fattori, già belli e pronti per essere inseriti in un portafoglio azionario.
1 – #ABCFinanza: il momentum
2 – #ABCFinanza: tutto quello che devi sapere per investire in ETF